STAGIONI RIPETUTE: LE COPIE VENDUTE, LE PERFORMANCE DEGLI SCRITTORI, LE ALTERNATIVE (SE CI SONO)

Per una serie di circostanze, in questi giorni malaticci ho pensato parecchio al sistema editoriale e a cosa si chiede a chi scrive. Intanto, come è ovvio, si chiede di vendere, e di vendere possibilmente subito, nel giro di due settimane. Qualora non ci si riesca, come ben sanno coloro che scrivono, non solo il libro torna in resa, ma il numero di copie vendute peserà sui libri successivi come il cuore dell’ingiusto nella psicostasia egizia, e le prenotazioni verranno ridotte ai minimi, innescando una spirale di condanna silenziosa da parte di (alcune) librerie e di (alcuni) editori. Come se fossero gli autori a dover vendere e non gli editori e i librai a contribuire alla vendita, visto che in fondo gli autori dovrebbero solo scrivere, ma facciamo finta che sia così.
La logica è comprensibile, trattandosi di un mercato: che sia anche una logica pagante è tutto da vedere, però. Anche perché per bilanciare quell’esiguità di vendite si chiederà dunque all’autore o all’autrice di spendersi in presentazioni, di essere presente il più possibile con il suo corpo e la sua eventualità abilità di performer. Che però dovrebbe essere un altro lavoro: l’intrattenitore o intrattenitrice, appunto, e non lo scrittore o la scrittrice.
Ieri leggevo le bozze del nuovo libro di Morgana, Il corpo della madre, fra non molti giorni in libreria per Mondadori (ne parlerò più a lungo, eh). Chiara Tagliaferri e Michela Murgia inseriscono fra le Morgane anche Elena Ferrante, e scoprirete perché. E dicono:

“Se fate un lavoro creativo, vi sarà sicuramente capitato di incontrare prima o poi qualcuno che avrà cercato di pagarvi con la cosiddetta “visibilità”; speriamo non ci siate cascati e abbiate preteso i soldi, ma il punto della visibilità resta focale: niente sembra essere escluso dalla pista del circo sociale in cui ognuno guarda mentre viene guardato. Persino l’attività solitaria della lettura sembra non potersi più dire completa se non include periodicamente anche la vista del corpo fisico di chi scrive. Per questo c’è sempre la folla ai festival letterari, come se, senza la controprova della carne viva di chi li ha scritti, i libri perdessero consistenza”.

Addirittura, i corpi sono ormai interscambiabili. In questi giorni mi è capitato anche che mi venisse chiesta un’intervista: ho declinato perché malaticcia, appunto, e la richiesta, da persona mai vista e sentita in vita mia, è stata dunque: “bene, allora mi dica chi altro posso intervistare”. Alle mie rimostranze (“ma dovrebbe saperlo lei, mica io”) si è offesa. Io non mi sono offesa ma, appunto, ho rimuginato ulteriormente: perché siamo intercambiabili e serviamo solo a riempire una pagina, un calendario eventi, un pomeriggio di festival. E lo facciamo anche volentieri, attenzione, più per il piacere di parlare con le persone che per vendere, perché d’abitudine agli incontri si vende pochissimo, e tutti e tutte lo sappiamo, e quella faccenda per cui se sei presente vendi è una balla.

In Morgana è riportata anche una considerazione della stessa Elena Ferrante. Questa:

“I media, specialmente quando connettono foto dell’autore a libro, performance mediatica dello scrittore a copertina dell’opera, vanno proprio in direzione opposta. Aboliscono la distanza tra autore e libro, fanno in modo che l’uno si spenda a favore dell’altro, impastano
il primo con i materiali del secondo e viceversa. […] Perché dovrei affidarmi ai media? Ho il timore fondato che essi, privi di un reale ‘pubblico interesse’, tenderebbero a ridare privatezza a un oggetto che è nato proprio per dare un significato meno circoscritto all’esperienza individuale.”

Cosa voglio dire, infine? Niente che chi scrive non sappia già. Ovviamente resta la libertà di sottrarsi, di dire no, di fare spallucce e di continuare a scrivere quello che si ritiene giusto. Mi chiedo soltanto per quanto tempo questo sistema potrà sopravvivere e quanto, alla fine, dei corpi degli autori e delle autrici si farà a meno: perché lo spettacolo va bene, ma troppo spettacolo finisce con l’allontanare. Poi, al solito, io resto convinta che siano le reti a funzionare, che siano le connessioni fra piccole realtà, dove i numeri di copie vendute e la performance contano molto meno dei progetti comuni. Ma magari ho torto, anzi di sicuro.

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