1. CRONACHE DA LAMPEDUSA: L'ISOLA DEL DUBBIO

Sconfinare a Lampedusa nasce seguendo una strada e poi la cambia, e ancora adesso la cerca. Nasce, dunque, da una conversazione con Evelina Santangelo e Davide Camarrone, sulla possibilità di gemellarsi con Gita al faro a Ventotene: scrittori che restano una settimana sull’isola, osservano, la raccontano nell’ultimo giorno. Scopriamo quasi subito che non può essere così. A Ventotene tutto è già avvenuto: il confino di Giulia, figlia dell’imperatore, il carcere borbonico a Santo Stefano, la morte di Gaetano Bresci, Altiero Spinelli, il manifesto per l’Europa.
Ecco, l’Europa. Quando arrivi a Lampedusa capisci che qui tutto sta accadendo, invece, e che c’è un mondo millenario che sta vacillando (il centro vacilla, dice Yeats, e non sapeva quanto fosse profetica questa frase) e una mutazione che non è ancora raccontabile, e che sicuramente in molti, moltissimi, non vogliono neppure provare a raccontare.
E tu, puoi raccontarla? Puoi farlo senza la presunzione di essere la straniera che con l’arroganza di chi ha letto, magari moltissimo, non ha avuto l’esperienza diretta per farlo? E quell’esperienza che puoi fare in una manciata di giorni, sarà, lo sai subito, insufficiente. Perché devi prima scrollarti di dosso tutto quello che immaginavi prima, e poi dovrai tentare di mettere insieme le cento verità in cui ti imbatti.
“Non siamo eroi”. Se dovessi dare conto della frase più ascoltata, sarebbe questa. Non siamo quelli del Nobel per la pace, quelli di Fuocoammare, quelli del papa. Ma, penso io, siete pur sempre anche questo. E ancora. Non siamo diversi dagli altri. Siamo quelli che hanno problemi con la militarizzazione dell’isola, con i radar, ma anche con le fogne e la raccolta differenziata e gli abusi edilizi degli anni Ottanta e la questione ambientale e la tartaruga Caretta Caretta. E ancora. Siamo quelli che si rimboccano le maniche per dare i nomi ai migranti morti, ma lo facciamo perché va fatto, non c’è nulla di speciale in questo. Non siamo un palcoscenico. Non siamo un fondale. Eppure siete quelli che accolgono perché così è, così va fatto, e così è persino inevitabile perché non si fermerà, non può fermarsi, anzi aumenterà.
Io non so cosa sia esattamente Lampedusa. E, alla fine di questa settimana, non lo sanno neanche i compagni di viaggio: oltre a Evelina e Davide, Melania Mazzucco, Davide Enia, Hamid Ziarati, e le attente e amabili Paola Gallo e Dalia Oggero. Non possiamo saperlo perché appunto mille e diecimila sono le verità, e dunque si proverà a cogliere un frammento, quando sarà il tempo di scrivere.Questo, per me, è intanto il tempo della restituzione, in cinque post, di almeno una parte di quel frammento.
Comincia così.
E’ sera, e le sere arrivano tardi perché è comunque estate, e mercoledì lo scirocco non c’è ancora, e come in ogni sera di estate, anche se gialla e arsa come molto nell’isola, ci sono le strade principali, che si chiamano quasi sempre via Roma, come questa. E sulla strada, su cui si affacciano bar e ristoranti e arancinerie e negozi (e una sola biblioteca, la Ibby ostinatamente voluta, ma giocoforza con orari di apertura limitati e no, nessuna, nessuna libreria). E tu passeggiando per quella strada non vedi nulla di diverso da quello che troveresti in qualsiasi luogo di vacanze: le infradito e le magliette e i costumi, e le spugne naturali (e tu non lo sai ancora che non si trovano più, a Lampedusa, le spugne), e le granite di mandorla e finocchietto, e i turisti che appunto sono seduti ai tavolini dei bar e mangiano gelati e guardano la partita.
La discrepanza, che infine arriva, è nei ragazzi neri che a gruppetti guardano anche loro la partita, ma in piedi. Nella ragazza che ti chiede di telefonare. Sono gli ospiti dell’hotspot che teoricamente dall’hotspot non dovrebbero uscire e teoricamente nell’hotspot dovrebbero stare poche ore. Ma non va così perché non può andare così, e forse te li sei pure sognati, quei ragazzi, visto che l’isola è come tutte piena di rumori e spiriti e fantasmi, però se fossero veri loro sarebbero in piedi e i turisti seduti, perché con quali soldi pagherebbero la consumazione visto che, di fatto, non sono là? E cosa è Lampedusa?
Questa è la prima cosa che imparo. Non è possibile fermarsi alla prima immagine. Non è possibile non avere dubbi. Non è possibile pretendere di raccontare altro se non lo specchio che mi riflette, e le contraddizioni che, qui, non possono che venire a galla, ed esplodere.

2 pensieri su “1. CRONACHE DA LAMPEDUSA: L'ISOLA DEL DUBBIO

  1. Una volta qualcuno mi “riconobbe”.
    Allora una donna dalle labbra livide che stava dietro me e che, sicuramente non aveva mai sentito il mio nome, si riscosse dal torpore che era caratteristico di tutti noi e mi domandò in un orecchio (lì parlavano sussurrando):
    «Ma questo lei può descriverlo?»
    E io dissi:
    «Posso».
    Anna Andreevna Gorenko che un giorno disse a suo padre tieniti pure il tuo nome io mi chiamerò Achmatova.
    Ecco il compito straordinario di ogni poeta il potere più alto che ci possa essere; raccontare raccontare raccontare e allora racconti Loredana, noi che non siamo poeti e che guardiamo senza capire ne abbiamo bisogno e le saremo sempre grati.
    Grazie Andrea

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