“Vivere in paese è un quotidiano assoluto atto d’amore, così completo da far sembrare ciò che fai con tua moglie nel cigolante lettone banale come una stretta di mano. Vivere in paese è prosaico, sensuale, alcolico. E, nel buio, il paese è tuo e tu sei del paese e insieme dormite il sonno dei morti, proprio come le pietre ammonticchiate nel tuo campo settentrionale. Non c’è vita qui, ma la lenta morte dei giorni; sicché quando il Male allarga le sue nere ali, la sua venuta appare ineluttabile, dolce, obliosa, quasi che il paese già sapesse che il Male stava giungendo, e conoscesse anche la forma che avrebbe assunto. […]
Ecco i segreti del paese: alcuni saranno in seguito conosciuti, altri non lo saranno mai. Il paese li terrà definitivamente celati dietro il suo volto impenetrabile”.
Stephen King, “Le notti di Salem”.
“Quando parliamo di un terremotato ricordiamoci sempre che, tecnicamente, stiamo indicando genericamente una persona che è stata colpita o ha subito danni dal terremoto. Ma come nel cosiddetto cratere troviamo contemporaneamente paesi appena sfiorati e paesi distrutti, nella categoria dei terremotati troviamo di tutto. Morti, feriti, sfollati, proprietari di seconde case, ricchi, poveri, stronzi, delatori, volontari, migranti, pastori, imprenditori, scrittori, speculatori, rifugisti, pessimisti, ottimisti, anziani, neonati e potremmo continuare all’infinito. Gli effetti del terremoto su queste persone sono stati gli stessi? Tutti hanno reagito o hanno avuto la possibilità di reagire allo stesso modo? Hanno tutti la stessa idea di futuro e di sviluppo del loro paese e della loro regione? Ecco che vista così la categoria del terremotato inizia ad apparire per quello che è: conflittuale e multiforme. Le storie di chi è stato colpito dal terremoto diventano immediatamente più articolate. Le differenze e le similitudini tra le persone non sono più determinate solo dal vivere ad Amatrice o a San Severino, ma soprattutto dall’avere o no la possibilità di ricostruire un futuro, materialmente e non solo, a seguito di quanto accaduto. Il vero confine è quello tra l’alto e il basso, tra chi decide e chi subisce le decisioni, tra chi è costretto ad arrangiarsi e chi può permettersi di scegliere, tra chi ha possibilità economiche e chi non le ha.
A ben vedere quindi la situazione dei “terremotati” non è molto diversa da quella che ritroviamo nel resto della società. Le scosse hanno solo fatto emergere tutte insieme le contraddizioni e le problematiche di un modello di sviluppo predatorio e discriminante che alimenta i privilegi di pochi e impoverisce le relazioni umane. Se noi per primi non riusciremo a cogliere questo elemento, se noi per primi non riusciremo a capire che “le Peppine” dei vari paesi hanno molto più in comune con i rifugiati sgomberati a Roma questa estate che con chiunque altro, non andremo lontano. Partendo da qui dobbiamo essere in grado di distinguere gli amici dai nemici, chi aiuta da chi specula, i lupi dagli sciacalli (che sono tra i pochissimi animali che proprio non vogliamo inserire sui Sibillini). Non sempre sarà facile, perché il tentativo in atto dai fautori della strategia dell’abbandono è quello di spaccare ulteriormente le comunità mettendo contro chi si trova nella stessa situazione di difficoltà”.
Terre in moto Marche, qui.
“La vittima è l’eroe del nostro tempo. Essere vittime dà prestigio, impone ascolto, promette e promuove riconoscimento, attiva un potente generatore di identità, diritto, autostima. Immunizza da ogni critica, garantisce innocenza al di là di ogni ragionevole dubbio.
Come potrebbe la vittima essere colpevole, e anzi responsabile di qualcosa? Non ha fatto, le è stato fatto. Non agisce, patisce. Nella vittima si articolano mancanza e rivendicazione, debolezza e pretesa, desiderio di avere e desiderio di essere. Non siamo ciò che facciamo, ma ciò che abbiamo subíto, ciò che possiamo perdere, ciò che ci hanno tolto”.
Daniele Giglioli, “Critica della vittima”
Detto questo, continuiamo a raccontare. Anzi. Facciamolo di più, facciamolo meglio.