5. CONTRO LA VIOLENZA: DISCUSSIONE

Gli interventi sono ancora numerosi, e subito dopo Pasqua ne proseguirò la pubblicazione.  Vi segnalo, intanto, un post su quanto avvenuto nei giorni scorsi a Firenze (non si parla di letteratura, tranquilli, ma dell’intervento di un gruppo di pro-life davanti ai consultori). Buona Pasqua a tutto il commentarium.
Francesca Izzo
Dalle molte e notevoli osservazioni che sono riuscita ad ascoltare ricavo la conferma che affrontare il nodo della violenza in modo non subalterno, inefficace e deprimente (come purtroppo è già accaduto) sia cosa non semplice.
Innanzitutto perché attorno ad esso si giocano come in uno specchio la nuova fragilità dei maschi (lo hanno detto in molte ) che fanno fatica, non riescono ad accettare la libertà, la forza femminile e quindi per angoscia e impotenza arrivano a rompere lo schema di rapporti “civili” tra i sessi, a picchiare, uccidere, ma anche la debolezza delle donne. Quella debolezza che nessuna delle donne “affermate” ( le dirigenti di cui ci parlava Lorella Zanardo), nessuna delle ragazze, delle più giovani (Giorgia) vuole sentirsi ributtare addosso, perché ricorda a tutte, specie a quelle che sentono di primeggiare per sapere, competenza, finezza, ricchezza di educazione sentimentale, di correre il rischio dell’atavismo della prova di forza fisica a cui gli uomini ricorrono per riaffermare il loro potere.
Noi dovremmo riuscire a fare fronte a questa duplice paura, a portarla allo scoperto. Coinvolgere gli uomini, innanzitutto.
Coinvolgere donne “importanti” che simbolicamente testimonino che la violenza non è, non deve essere un ulteriore segno di disvalore delle donne.
Cecilia D’Elia
Io non userei la parola emergenza perché può essere fuorviante. Direi che si tratta di una priorità di cui la politica dovrebbe occuparsi e che dovrebbe essere al centro del discorso pubblico. Che la violenza sessuale non sia un’emergenza del momento lo possono raccontare le donne che lavorano nei centri antiviolenza, che organizzano i corsi nella scuole per discutere di sessualità. La violenza sessuale continua ad essere problema che riguarda le relazioni tra uomini e donne, è figlia di una concezione possessiva e predatoria della sessualità maschile. Interroga una cultura machista oggi molto in voga nel nostro Paese. Dobbiamo lavorare su questo incrocio di modernità e di arretratezza. Mi convinceva la proposta di Izzo di fragilità maschile e debolezza (fisica) femminile. Rimettere al centro i corpi. Dobbiamo farlo con gli uomini.
La violenza è la prima causa di morte delle donne, anche nell’Occidente “sviluppato”. Conosciamo di più perché si denuncia di più. Nel 2007 l’Istat fece la prima indagine, importante perché basata sulle interviste alle donne e non solo sulle denunce. Veniva fuori che era un’esperienza “di massa”, con sfumature diverse, nella vita delle donne, dunque anche degli uomini, i nostri uomini, quelli che amiamo e stimiamo, anche colti e raffinati.
La violenza va aggredita su più fronti, quello culturale è essenziale, politiche pubbliche, tutto quello che è stato fatto è stato fatto dagli enti locali (centri antiviolenza, ecc) insieme all’associazionismo femminile. Manca una politica nazionale. La Spagna si è data una legge che interviene anche sui tribunali, sul percorso dopo la denuncia e se non sbaglio sui centri. Bisogna poi formare gli operatori, tutti. La polizia, i pronto soccorso, ma anche quelli che fanno lavori notturni, dai fiorai agli autisti degli autobus ai tassisti, su come intervenire se si vede o si suppone ci sia un caso di violenza. Questo per costruire su strada una rete di solidarietà.
Ad un dibattito che facemmo in provincia su un numero di Questione Giustizia dedicato alla violenza contro le donne Paolo Fallai, giornalista del Corriere, raccontò molto bene come costruivano la notizia. Io penso che la stampa vada tirata dentro, anche gli uomini, perché il tipo di discorso pubblico che veicoliamo è decisivo.
Donatella Ferrante
Dopo l’incontro di venerdì 23 mi è rimasta dentro la consapevolezza di un passo molto importante per Snoq. E anche per me come persona.
Andare avanti come ci siamo dette… Immagino che il 13 abbia avuto una genesi analoga: affrontare una complessità enorme e trovare la chiave giusta, politica e popolare per dare un senso, un direzione al disorientamento e una speranza di cambiamento.
Difficile anche nominare la violenza se solo ci avviciniamo ad essa con profondità, voglio dire se oltre al piano della denuncia, dei numeri terribili, della solidarietà, proviamo a cercare di capire quel buco nero, l’enigma che c’è dietro a quella foto di Stefania che Cristina ha sul computer. (E’ un’ altra cosa, ma ho pensato al film “Quando la notte”, a come Cristina ha lì esplorato un altro enigma e un’altra soglia)
Tempo fa ho letto il libro della Melandri “Amore e violenza”. Trovo che sia un contributo importante, soprattutto i due capitoli centrali, Madri e amanti e Il circolo degli uomini. Qui, tra l’altro, si cita una intervista a dieci uomini su un numero di Liberazione del 2005 sul tema “Maschi perché uccidete le donne?”. Potrebbe essere utile per capire come coinvolgere gli uomini, prospettiva che, pur tenendo conto dei rischi, trovo anch’io un elemento innovativo e cruciale.
Mi chiedo dove e perché e come e quando la condizione culturale, la divisione del potere che viviamo diventa violenza. I reati sono l’ultima fase di violenze crescenti, di un continuum che parte anche da piccole umiliazioni o negazioni/intimidazione della/alla nostra autonomia, un percorso che è parallelo a quello che ci porta dall’accettare -quasi senza accorgercene- di “stare al nostro posto”, alla negazione della brutalità, alla vergogna di dire, anche quando l’interlocutore, magari, è una nostra amica.
Ieri proponevo anche questo tema: non c’è violenza, ma prepotenza del mondo maschile o “maschilizzato”, in alcune dinamiche nel mondo del lavoro dove ci accontentiamo della concessione di qualcosa, piuttosto che reclamare i nostri diritti.
Certo, dobbiamo evitare di far sentire colpevoli tutti gli uomini, ma dobbiamo essere un punto di forza per le donne e di consapevolezza per entrambi ( anche per le manager che fuggono…..)
Molte di noi già sono in contatto con centri antiviolenza, associazioni: penso che ascoltare le loro esperienze sia importante. E poi sicuramente Maschile Plurale.
Sul tema del rapporto tra violenza e esclusione dai luoghi di decisione politica e non solo. Ieri ne parlavo con Renata a telefono, raccontandole la nostra riunione e lei mi faceva notare come nel nord Europa ( dove sono molto più avanti di noi sulla presenza femminile) i dati statistici sulla violenza sulle donne sono molto elevati. Come interpretare tutto ciò? Dobbiamo metterci in contatto con qualcuna che conosce la situazione nei paesi scandinavi.
Infine sulle ministre: l’impegno che abbiamo davanti è enorme, abbiamo solo iniziato. Ppersonalmente non sono d’accordo con una interlocuzione con loro in questo momento, proprio per la profondità e la radicalità di ciò intorno a cui stiamo lavorando, abbiamo detto che ci davamo un tempo giusto e adeguato e andare a parlare con loro ora per me non ha molto senso, anzi rischia di esser qualcosa che da un lato disperde le nostre energie e dall’altra le contiene, le chiude in un dialogo che apparirebbe veramente troppo stretto e forse intempestivo. Rischiamo di far prevalere una interpretazione del nostro intervento parziale o di sola denuncia ( che pure serve, è chiaro), ma non così potente in termini politici, come ciò che abbiamo intrapreso e che stiamo costruendo.

33 pensieri su “5. CONTRO LA VIOLENZA: DISCUSSIONE

  1. LOredana – magari la sensazione cambierà con la lettura di altri interventi, ma io avverto questa discusssione come troppo sbilanciata sugli aspetti genericamente culturali e genericamente comunicativi del problema, e poco sulla riflessione su categorie specifiche e ci risiamo – competenze specifiche – implicate nell’affrontare il fenomeno. Solo qua e la un guizzo, un dato, una riflessione sul lavoro, o sulla marginalità sociale. Sono contenta certamente che finalmente ci sia una riflessione condivisa su questi temi, che ci sia la voglia di fare, ma tutto rimane molto mediatico, culturale politico, come se questo orizzonte – esaurisse la questione. La discussione appare molto più reattiva alla violenza che preventiva della violenza, amplifica il potere dell’ideologia nel produrre violenza, e non mi sembra che rifletta suffcientemente sul perchè l’ideologia offra una pretestualità così congrua. Penso che in un’altra occasione singole cose accennate qua e la (certo la prospettiva dle disagio sociale e della psicopatologia non c’è mai ed è un fatto grave, se non messa tra parentesi) fossero discusse e amplificate. In questo senso io un dialogo con il governo lo vedo come una cosa positiva, che se fallisse – che è probabile, sarebbe colpa del governo medesimo non del fatto che la questione è inopportuna. Se no vuol dire che vogliamo sempre parlare di cultura maschilista ah ih oh dobbiamo reagire, e queste cose non sono mica tanto nuove.

  2. Sì, secondo me che pure pratico un altro mestiere, manca la patologizzazione. E ho un certo disagio, pur essendo grata a Loredana per il lavoro e lo spazio offerto, per una categoria “violenza sulle donne” troppo onnicomprensiva di atteggiamenti diversi tra loro. Di certo la molestia è una delle forme della violenza – e non va sottovalutata – ma non tutte le molestie conducono all’omicidio. Così come non tutte le molestie sono la prima tappa di uno stupro. Mescolare tutti questi livelli in un unico grande calderone, in mia modesta opinione, crea confusione invece di illuminare un fenomeno. Parere personale.

  3. @Barbara
    Lei ha pienamente ragione, ma non credo abbia compreso appieno la strategia retorica dispiegata dalla categoria “violenza sulle donne”. Se si volesse davvero capire il fenomeno, le protagoniste saprebbero benissimo come impostare il tema, quali priorità darsi e quali discipline interrogare. Invece lo scopo sembra essere perseguire il vittimismo a tutti i livelli, qualitativi e quantitativi, per instillare nell’ascoltatore maschile una sorta di senso di colpa nei confronti del femminile. Raggiunto questo scopo si può tentare l’azzardo che introduce l’indebito collegamento tra violenza sulle donne e diritto al potere (economico politico) nella società, presentato a mo’ di indennizzo.
    Ora, io posso anche condividere parzialmente le finalità del discorso. Il problema di questa strategia è che si nutre di statistiche farlocche e retoriche da fiera, quindi il rischio è creare il circolino in cui ci si parla tra di noi e gli argomenti sono autoreferenziali. Come si fa infatti a persuadere razionalmente il prossimo con inesattezze truffaldine del tipo che la violenza sarebbe la prima causa di morte delle donne, anche nell’Occidente “sviluppato”, o che l’Onu si sarebbe espressa nei confronti dell’Italia parlando di femminicidio? Come si fa, dico io?

  4. Io sceglierei un altro termine – da quello di “patologizzazione” patologizzazione vuol dire, almeno io lo intendo così – leggere come patologico un comportamento invece normale. Non equivale cioè al riconoscimento di una psicopatologia a monte, ma a una specie di distortsione in quel senso. Questo lo dico soprattutto per Barbara, magari Andrea Barbieri invece aveva un intento polemico, che potrei capire, anche se naturalmente non concordo.

  5. Sì, ho usato il termine scorretto. Intendevo dire che c’è estremo bisogno di riconoscere la psicopatologia monte di certi comportamenti. Una patologia che la cultura può rinforzare o confermare ma che la precedono. E qui mi fermo perché sto davvero sconfinando in un territorio non mio per competenza.

  6. @Zauberei
    Invece di fumisterie da libri di psicodinamica, chiariscimi i punti del tuo nebuloso discorso: di quale psicopatologia vogliamo parlare? Una psicopatologia dell’individuo o della specie? E con quale frequenza si riscontra? Si può prevenire e sarebbe quindi sensibile all’elemento culturale oppure no? E nella (dubbia) ipotesi che lo sia, è prevenzione da banco di scuola o da lettino dello psicopompo?

  7. secondo me parliamo hqr di patologie nello spettro dei disturbi di personalità, ma in alcuni casi di area psicotica. Ma pochi per me, per me di più i disturbi di personalità. Sono quindi psicopatologie dell’individuo ma che trovano nella cultura e nelle condizioni socioeconomiche il terreno su cui attecchire più agevolmente. Non tanto per la messaggistica culturale – quanto per l’assenza di strutture supportive per la famiglia. Tramite i servizi alla famiglia e i servizi di assistenza alla famiglia si si puà fare una bella opera di prevenzione. Qui ci si occupa molto di omicidi, ma quelli sono la punta dell’iceberg le statistiche importanti e che vanno prese in considerazione dovrebbero riportare i casi di violenza fisica. Io mi riferisco anche a quella.

  8. Hommequirit, che faccia tosta ci vuole nel negare la violenza maschile contro le donne! Mi stupisce che sia tollerata in questo blog la presenza di un intento così apertamente in malafede volto a ribaltare la questione a vantaggio del soggetto che vuole sostenere industurbato il massacro delle donne con il semplice quanto indegno atto di negarlo. Siamo a un punto di non ritorno se oltre al danno ci vogliono infliggere anche la beffa. Che vergogna e che fascismo!

  9. Giovanna, io se fossi il gestore di questo blog mi vergognerei piuttosto di un commento come il suo.
    1) Reagisce stizzita senza alcuna argomentazione a opinione difforme dalla sua
    2) Qualifica di malafede e accusa di fomentare il male chi ne da una diagnosi diversa
    3) Per finire con l’accusa di fascismo al medesimo dissenziente
    4) Invocando implicitamente l’esclusione-espulsione dal commentarium del medesimo.
    Se dovessi dare una definizione dei danni prodotti dall’ideologia e dall’inevitabile scivolamento nel totalitarismo il suo intervento sarebbe da manuale.

  10. condivido molto il discorso di Zauberei che già si era affacciato in uno dei post precedenti.
    Anche a me sembra che molti di questi interventi restino sul generico. Il punto come ha scritto Zauberei non è solo reagire ma anche – soprattutto – prevenire. Forse anche insegnando come si riconoscono i disturbi di personalità, oltreché ovviamente lavorando sulle possibilità di curarli o quantomeno contenerli.

  11. Signor Binaghi, il mio argomento è che si sta cercando di negare un fenomeno in tragico aumento: la violenza contro le donne. Credo basti e avanzi. E per favore non giudichi oltre il necessario spendendo così tante parole nell’offesa di una appartenente al genere oggetto di violenza maschile , a meno che anche lei la pensi come Homme. Se è così la saluto, anzi, la saluto comunque.
    Passando oltre questi stupidi episodi. La prevenzione è fondamentale e penso che uno dei modi per attuarla sia anche quella di non concedere ulteriore spazio al negazionismo. Conoscere gli argomenti di questi soggetti può aver avuto la sua importanza per comprendere le cause del fenomeno, dopo di che siamo alla propaganda.

  12. Cioè, chi giudica l’intervento goffamente aggressivo di una donna si rende ipso facto colpevole di negazionismo o istigazione al femminicidio?
    Si faccia una ragione, signora, l’appartenenza al genere femminile non esime dall’uso del raziocinio e soprattutto non santifica.
    S’impegni di più, e vedrà che riconosceremo anche le sue ragioni, se avrà la bontà di metterle in campo. Finora siamo ai balbettii.

  13. Leggo “S’impegni di più, e vedrà che riconosceremo anche le sue ragioni, se avrà la bontà di metterle in campo. Finora siamo ai balbettii.” [Binaghi]
    .
    Mi chiedo che senso abbia esortare Giovanna a mettere in campo le ragioni che riguardano la violenza di genere, quando queste ragioni sono abbondantemente e accuratamente in campo da decenni.
    Direi: o si è molto sprovveduti, o si punta al ribasso in una specie di mercanteggiamento sulla dignità femminile.

  14. “Ma pochi per me [riferito alle psicosi], per me di più i disturbi di personalità.” [Zauberei]
    .
    Chiediamoci qual è la storia dei ‘disturbi della personalità’.

  15. Andrea guarda alla domanda, storia dei disturbi di personalità c’è parecchia gente che risponde, basta fare una ricerca bibliografica. La quale risponde, almeno allo stato attuale dell’arte, con una matrice biopsicosociale, ossia una vulnerabilità biologica sulla quale hanno buon gioco condizioni ambientali e situazione familiare, l’aspetto ideologico interviene dopo che queste tre concause hanno fatto la loro parte. Allora se si vuole prendere sul serio il problema della violenza sulle donne, bisogna lavorare concretamente su questi livelli, non fermarsi al piano ideologico perchè semplicemente, non basta manco un po’. Poi attenzione alle domande retoriche che viene spontaneo fare alle discipline, pensando che certa critica epistemologica non sia stata abbondantemente masticata e discussa fino alla nausea.

  16. Veramente non mi interessa un’eventuale teoria sulle cause, né un’eventuale teoria epistemologica.
    Mi interesserebbe soltanto leggere dei fatti empirici messi cronologicamente in fila.
    I fatti empirici riguardano le descrizioni dei ‘disturbi della personalità’. Come sono state formate, quali soggetti hanno coinvolto, come sono cambiate. Poi mi formo la mia idea autonomamente su eventuali ‘ideologie’.
    Esiste uno studio di questo tipo, non Foucault, qualcosa di più aggiornato con un taglio pragmatico da filosofia analitica per intenderci (non amo le cortine fumogene)?

  17. “Poi attenzione alle domande retoriche che viene spontaneo fare alle discipline, pensando che certa critica epistemologica non sia stata abbondantemente masticata e discussa fino alla nausea.” [Zauberei]
    .
    Direi piuttosto: attenzione a ritenersi in grado di leggere il pensiero nella testa altrui (mi riferisco al tuo “pensando che…”).

  18. a me interessa capire ad esempio, quando un’amica mi telefona in lacrime perché sta provando a lasciare il suo ragazzo e questo la minaccia di azioni distruttive non sulla persona ma sulla sfera professionale, se ha ragioni di temere anche violenza fisica. Se “avrebbe dovuto accorgersene prima”; a quali segni avrebbe dovuto suonare l’allarme.
    Non che voglia una risposta io ora ovviamente: intendo dire che nella concretezza c’è bisogno di questo tipo di risposte.

  19. Laura, una risposta certamente non scientifica, e non competente: nel caso che citi, il campanello d’allarme sta già suonando. Chi minaccia di distruggere una persona moralmente è già qualcuno da cui fuggire, e a gambe levate (parere personalissimo).

  20. Barbieri, con questi toni non possiamo andare lontano. Forse ho sbagliato a risponderti subito.
    Invece, per quel che dice Laura – si direi che Loredana ha ragione. Cioè ecco Laura facci caso. Che sistema di coppia quello del tuo esempio, un esempio che a me è capitato un sacco di volte in sede di volontariato, tirocinio e lavoro: Lui ci ha una patologia incentrata sulla violazione dell’altro, e lei sulla negazione di se, e sono stati tranquilli e bellini fino a un fattore terzo che rompe l’equilibrio. Tipo lei trova uno più carino (due volte su tre stronzo come il precedente) e lui allora salta. Allora chiama in lacrime – ma te scopri che tutta una serie di azioni violente precedenti non erano state registrate come tali. Addirittura interpretate come segni di una attenzione desiderata. Nei centri antiviolenza si lavora moltissimo su questa acquisizione di consapevolezza nelle donne, per evitare che ricadano in relazioni simili dopo. Ma non esiste quasi niente che faccia questo per gli uomini. Ad esempio.

  21. “Forse ho sbagliato a risponderti subito.” [Zauberei]
    .
    Veramente l’unica domanda che ho fatto non ha ricevuto risposta.
    Il fatto è che i discorsi nella forma “lui ha una patologia, lei ha una patologia” mi preoccupano un po’, specialmente quando le patologie sono in quell’ambito dalla scientificità pericolante dei ‘disturbi della personalità’.
    Poi per carità, capisco le buone intenzioni.

  22. Sono i toni andrea – risultano sgradevoli, risultano carichi di un pregiudizio a monte. Non mi va di partecipare a una discussione con questo tipo di toni. Quello che cerchi c’è da molto tempo. Fai una ricerca evaluta tu. Poi con quelle che tu chiami buone intenzioni le persone fanno buone prassi, mica salotto su internet. Non sono cose che servono solo qui a dibattere, ma che aiutano tante persone a uscire da sistemi di vita che fanno stare molto male, per le quali i servizi sociali tolgono i figli. Se tu hai un’idea diversa che pratichi. Condividila. Se hai dei sospetti sulle pratiche degli altri, approfondiscile. Ma a me che tu fai una battutina ironica qua e la, e ci illumini dicendo che sei scettico insomma, che ci facciamo noi? L’hai detto e bon mo ce ne ricordiamo, ma insomma andiamo oltre.

  23. @Loredana, parere assolutamente condiviso, anch’io penso che in presenza di distruttività di qualsiasi tipo ci sia da fuggire alle prime avvisaglie – se proprio non la si è riconosciuta per tempo.
    Meglio sarebbe averla riconosciuta: ma forse viene fuori solo nelle contrarietà, assenti in un primo periodo della coppia.
    @Zauberei: lei non è una sprovveduta, ma ha avuto un’adolescenza difficile in famiglia, analizzata poi in terapia. Questo però è il primo caso di uomo “pericoloso”, non è recidiva. Spero veramente che riesca a lasciarlo senza conseguenze.
    Il problema è che lui per primo dovrebbe curarsi, mentre ovviamente
    non ne ha la minima intenzione – per lui le colpe sono tutte degli altri. Questo mi sembra, socialmente, il nodo più difficile.
    Convincere a curarsi chi non crede (patologicamente) di averne bisogno.

  24. Zauberei, ho fatto n. 1 battuta dichiarando che era una battuta, cioè disinnescandola. Se questi sono i toni sgradevoli…
    Continui ad attribuirmi intenzioni che non sono mie, in particolare non ho intenzione di ‘illuminare’ nessuno.
    Semplicemente da un po’ di tempo, cioè da molto prima di questa discussione, mi chiedo come funzionano i cosiddetti ‘disturbi della personalità’ perché so per esempio che cambiano col tempo, che alcuni scompaiono, che altri vengono ridisegnati, che cambiano le soggettività, che alcuni curiosamente sono sessuati benché non abbiano una base biologica, eccetera. Domande che rispondono a una mia sensibilità sul come configuriamo gli altri. Quel che so è poco, quindi figuriamoci se penso di ‘illuminare’ qualcuno. Vorrei che qualcuno illuminasse me piuttosto. Ma nessun problema, farò da me. Insomma non sono proprio pronto per una condivisione. Del resto in altre occasione, quando ritenevo di avere le idee chiare, le ho esposte.

  25. Laura, fuggire sarebbe la cosa più sensata, ma spesso non e’ possibile. A fronte di certe reazioni che rientrano appieno nello stalking, rimane il problema di come difendersi e la solitudine e’ il pericolo numero 1. Tu scappi, ma lui ti trova comunque, e lui e’ già fuori di testa, perché chiunque cerchi di mantenere un rapporto attraverso minacce e violenze ha già perso la lucidità.

  26. @claudio: (chiarisco che non sono io in pericolo :-))
    fortunatamente i due abitano in città diverse.
    Però “perdita di lucidità” non è una definizione che mi soddisfa – di lì a spiegare tutto col solito “raptus” il passo è breve: per me l’uso della minaccia indica che il problema era a monte, e mi chiedo chi (anche nella rete relazionale di lui), e a che punto, avrebbe dovuto rendersene conto.
    E quanti potenziali “disturbati” passino inosservati fino al punto di rottura.

  27. La perdita di lucidità a cui mi riferivo non ha necessariamente nesso con il raptus, intendevo che non capisce più un tubo se crede di poter riallacciare un rapporto coercitivamente. Lascio alle piscologhe/i la risoluzione del problema, quello che è importante, a mio avviso, è mettersi al riparo da conseguenze nefaste, dopodichè si può disquisire su cause, contesti e sintomi premonitori. Mai pensato che tu fossi in pericolo 🙂

  28. Non so che rapporto preciso ci sia tra la responsabilità penale e un riconosciuto disturbo della personalità. Sicuramente ha una qualche funzione in senso lato di giustificazione, quando si accerta se era presente l’elemento psicologico del reato, o perlomeno nella quantificazione della pena.
    Quindi a mio parere i pericoli sono due:
    1. utilizzare categorie patologizzanti incerte (che magari cambiano i criteri diagnostici dopo poco, perché esce un nuovo manuale di riferimento);
    2. giustificare processualmente in parte la violenza di genere.
    Questi sono i miei due cents, chiaramente.

  29. @andrea, infatti l’altro nodo cruciale è il fatto che l’ordinamento giuridico non sta al passo con la psichiatria.
    Chi è più titolato di me può dirlo meglio, ma è un fatto che tra la psicosi che porta alla riduzione della pena per “incapacità di intendere etc. etc.” e la sanità di mente ci sono molti gradi che non dovrebbero rientrare nella prima casistica.

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