Facciamo così. Vi racconto la storia di un Motel e bar e ristorante. Si chiama Motel Carnevali, si trova in località La Maddalena, a Muccia, in una zona dove c’era anche un centro commerciale, negozi di surgelati e di abbigliamento, il benzinaio, il bancomat. Un non luogo, diranno i miei piccoli lettori? No, perché a differenza di quanto avviene altrove, era comunque una parte del paese che conservava l’aspetto di piccola comunità: insomma, ci si ritrovava dai paesi vicini, anno dopo anno, a comprare le squisite braciolette del centro commerciale, a prendere il caffè da Carnevali, a mangiare la pizza, anche.
Un tempo si chiamava Motel Agip, e chi desiderava rimaneva a dormire e poi, la mattina, raggiungeva i paeselli limitrofi. Un tempo si mangiava solo la pizza. Poi sono arrivati giovani chef che proponevano azzardi rivelatisi ottimi, come il riso allo zafferano e al Dark Varnelli (liquore al cioccolato) insieme alle tagliatelle al tartufo.
Poi è arrivato il terremoto.
Tutto finito, bar e hotel e ristorante inagibili. Però, da subito, i gestori hanno allestito un tendone riscaldato da stufe dove continuavano a preparare caffè e panini, e avevano anche provveduto a un angolino con un paio di poltrone e un televisore, per quelli che lavorano, per i volontari, e per quelli che dalle coste, mestamente, tornano ogni giorno a guardare le macerie della propria casa. Il caffè era sempre squisito. Loro, i gestori, erano in piedi, infagottati in scialli e giubbotti, dietro due tavolacci di legno.
Agli inizi di febbraio apre un prefabbricato dove il bar può essere ospitato dignitosamente. A spese dei gestori. E con mille difficoltà burocratiche, peraltro. Il ristorante è altrove, ospitato in un agriturismo.
Cosa voglio dire con questa storia, uguale a centinaia di altre? Che quando parliamo dei terremotati non parliamo di un’entità astratta. Che i ritardi e l’indifferenza che li riguardano non sono accolti con recriminazioni, ma con dignità, e certo dolore, e anche spirito di iniziativa, sia pure ostacolata. Che non si capisce perché questa storia non susciti centinaia di reazioni, e, sì, di reportages, e persino di libri.
Non servono, mi si è detto ieri.
Non servono. Forse no. Perché è ovvio che servirebbe quello che è avvenuto vent’anni fa: luoghi dove ritrovarsi e capire come ricominciare, anche se sarà lunga e molto, la ricostruzione. Ma finché non ci saranno i villaggi provvisori nei luoghi distrutti serve continuare a dirlo, finché non non ne potrete più.
Qui un video molto semplice, solo fatti, sui due terremoti a vent’anni di distanza. Ecco, di questo occorre continuare a parlare.