DITE AMICI

Negli ultimi tempi alcuni fra i miei amici e amiche (quelli in carne e ossa, intendo, quelli che mi conoscono e frequentano non solo sui social) si preoccupano per me. Che farai, mi chiedono, dal 30 giugno? Non temi, dicono alcuni fra gli alcuni, di perdere visibilità? Di non sapere come impiegare il tempo?
Alle amiche e agli amici rispondo un no netto alla seconda domanda, perché almeno chi mi conosce davvero sa che me ne infischio sul serio: non avendo mai avuto alcuna posizione di potere, e non avendola particolarmente cercata, o non avendo vissuto il mio lavoro come un esercizio di potere, non mi interesso del potere o di quello che viene ritenuto tale. Rispondo un no anche alla terza domanda: o meglio, so benissimo che il tempo concitato che negli ultimi anni sto vivendo non si replicherà, ma credo anche che sia un bene, visto che, e non è un mistero, la spinta in avanti di questi ultimi tre anni non è benefica per nessuno.
Sulla prima domanda non ho ancora risposte. O meglio, ho risposte parziali ma che non riguardano la mia trascurabile esistenza ma in generale il modo in cui viviamo la cultura negli ultimi tempi. Provo a spiegarmi.
Leggo le cronache, leggo molti articoli sulle egemonie culturali, di destra o sinistra, attuali e pregresse, e trovo che ancora non si discuta abbastanza sul funzionamento del sistema culturale medesimo. Non sono convinta che possa continuare così come lo conosciamo: grandi eventi, grandi festival, grandi teatri, insomma, con la concentrazione di produzioni e manifestazioni in alcuni luoghi-totem. Credo che dovremo studiare, tutte e tutti, una direzione diversa. Sapere quale è un bel problema, ma non dubito che in tempi neanche troppo lontani diventerà abbastanza chiaro.
Quello di cui sono certa è che bisogna puntare molto, moltissimo, sulla famosa intelligenza dei gruppi: che non ha niente a che vedere con il famigerato amichettismo (©Fulvio Abbate), o con quello che si immagina come reciproco favoritismo. Lascio questo tipo di discussioni a chi ha voglia di farle.
Per intelligenza dei gruppi intendo quel manifestarsi di idee collettive che chiunque abbia provato sa riconoscere: è un’energia comune, proveniente da persone anche molto diverse, che è quasi tangibile e che riesce a delineare un progetto e il modo per raggiungerlo, laddove lo si ritenga importante, nuovo, utile (©Annamaria Testa).
E qui fatemi aggiungere una cosa. Nel primo anno della pandemia personalmente ho sofferto moltissimo perché gli amici si dividevano, almeno in moltissimi casi. Naturalmente non smettevano di volersi bene, anche se l’idea di affetto sembrava allora, trasognata, non definibile: affetto è abbracciarsi, per le persone molto fisiche come me, sfiorare i capelli, stringere mani, e naturalmente fare tutto quello che in una vita intera abbiamo fatto, senza poter pensare che avremmo smesso di farlo. Anche nei miei periodi di isolamento già narrati (due volte in ospedale, a lungo, un’altra, più recente, in convalescenza dopo un’operazione) non ho mai smesso di vedere amici, accarezzarli, baciarli, lasciare che si sedessero sul mio letto, o sul divano accanto, per chiacchierare senza misurare distanze, e senza mascherine, e senza guanti, e senza restrizioni di sorta.
La divisione di  allora era nell’atteggiamento verso quel che abbiamo vissuto, un’increinatura che si allargava e di cui non sempre ci si rendeva conto. E’ passata: non del tutto, ma è passata.
Ora, però, siamo in una nuova oscurità, nazionale e internazionale.
Gandalf direbbe che “è ora che gli amici si riuniscano per difendersi contro la distruzione”. Non sono sicura che stia avvenendo, non sempre, non ovunque. E non parlo, ovviamente, delle altre punture di spillo, che male comunque fanno: delle piccole incrinature, delle invidie che si muovono sott’acqua o cavalcano le onde, dei piccoli e grandi voltafaccia che sono normali anche in tempi anormali. Immaginavamo che la natura umana divenisse chiara e limpida e coraggiosa nel momento del pericolo, ma la storia ci si insegna che non è mai stato così, e sciocchini noi che continuiamo a sognare utopie (sciocchina io, via, non generalizziamo).
Dunque che farò? Sicuramente passerò più tempo con le amiche e gli amici, e vedremo cosa accadrà. Per ora, lascio che i pensieri camminino per me.  E che si inseriscano nella scia dei sogni e delle visioni. Qualunque cosa accada, quelli ci restano, quelli ci confortano. Come l’idea che possa esistere un drago, da qualche parte.
“Un drago non è una fantasia oziosa. Quali che possano essere le sue origini, nella realtà o nell’invenzione, nella leggenda il drago è una potente creazione dell’immaginazione umana, ricca di significato più che il suo tumulo sia ricco d’oro”. J. R. R. Tolkien.

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