Su La Repubblica di oggi Stefano Bartezzaghi
interviene sul misterioso Learco Pignagnoli. Vi posto l’articolo. A
proposito di, diciamo, fake, segnalo inoltre che è on line una tesi di laurea
di estremo interesse. È quella di Luca Muchetti su Luther Blissett. Qui.
La pubblicazione delle Opere complete di Learco Pignagnoli
(di Daniele Benati, Aliberti editore, pagg. 174, euro 13) va salutata con
sollievo. Non si rischia più la gaffe e il dileggio, nel caso in cui alla
domanda «che cosa hai letto, di recente?», non avendo pronta una risposta
sincera e dignitosa, si millanti «mah, sto leggendo Pignagnoli», o addirittura
«mah, sto rileggendo Pignagnoli». Infatti sinora era possibile aver sentito
parlare di Pignagnoli, ma non era possibile averlo letto. Di questo autore
emiliano («è nato a Campogalliano e a San Giovanni in Persiceto», specifica il
risvolto di copertina») si sono occupati diversi simposi, in particolare un
convegno che si è svolto, a Modena, nel 2003, nell´ambito del Festival della
Filosofia. In certi ambienti letterari, particolarmente emiliani, un alone di
leggenda accompagna il nome di Pignagnoli, che viene evocato non senza discreti
ammicchi per capire se l´interlocutore è fra gli iniziati, se invece è
all´oscuro di Pignagnoli, se in questo secondo caso meriti di essere iniziato e
– se sì – fino a che punto. Ora che c´è il libro, non ci sono più dubbi del
genere: e chi vuole può iniziarsi da solo andando in libreria.
La parte più corposa della produzione di Learco Pignagnoli è composta da 245
«opere» in prosa, ognuna delle quali può occupare lo spazio di un aforisma o al
massimo di un racconto da un paio di pagine. Opera numero 1: «Conoscevo uno che
sbagliava sempre le parole. Una volta voleva dire polipo, ha detto flauto»; la
critica considera particolarmente significativa la numero 13: «Tranne me e te,
tutto il mondo è pieno di gente strana. E poi anche te sei un po´ strano» (da
notare l´uso di «te» come soggetto, non grammaticale ma diffusissimo nel
discorso orale). Il libro è poi completato da un romanzo autobiografico in
sedici pagine intitolato Giacomo (racconta la storia della vocazione letteraria
di Pignagnoli, e si interrompe quando il protagonista incomincia a scrivere,
come una Recherche in miniatura), una fulminea opera teatrale di argomento
matematico e sei poesie, l´ultima delle quali dice: «Era come il modo che ti
guarda il cane / Così implorante e allo stesso tempo fiero / La tua vita che
andò fra speranze vane / Nel gioco della mente soprappensiero».
Il risvolto del libro, però, contiene il nome di due autori: oltre a quello di
Learco Pignagnoli, quello di Daniele Benati (che è nato in un luogo solo,
Reggio Emilia, e ha pubblicato da Feltrinelli un romanzo e una raccolta di
racconti). E´ l´unico indizio esplicito che possa confermare il peraltro
inevitabile sospetto che lo scrittore Learco Pignagnoli sia un personaggio
inventato dallo scrittore Benati, che prima di raccoglierne le opere in volume
le ha fatte circolare su riviste come Il Semplice e ha organizzato burlesche
tavole rotonde su Pignagnoli avendo come complici altri scrittori come Ermanno
Cavazzoni, Ugo Cornia, Paolo Nori.
Il caso non è certo inedito. Ma anche se Fernando Pessoa
non è nato né a Campogalliano né a San Giovanni in Persiceto (né in entrambi i
luoghi), è curioso come la linea della letteratura italiana contemporanea che
ha nella pianura emiliana il suo ambiente d´elezione tenda a produrre scritture
di scritture, e quindi autori fittizi e alias. Non si può parlare di una
scuola, anche se negli anni si è raccolta attorno alle riviste Il Semplice e,
in parte, Il Caffè: sono gli scrittori complici di Benati sul caso Pignagnoli,
accomunati dall´attitudine appartata, dal lavoro sugli eccentrici e sui
lunatici, dalla ricerca di una dimensione orale nel racconto e dall´avere come
punto di riferimento Gianni Celati. Lo scrittore di cui Nottetempo ha appena
pubblicato le Vite di pascolanti, e che fin nel cognome tradisce la vocazione
alla copertura, ha più volte usato schermi narrativi, lasciando filtrare la
propria scrittura attraverso la maschera del resoconto antropologico (Fata
Morgana), o lo sdoppiamento fantastico dei protagonisti di un viaggio
(Avventure in Africa) o infine il resoconto di una pièce teatrale e la pubblicazione
di sonetti di un leggendario attore italiano (Recita dell´attore Vecchiatto nel
teatro di Rio Saliceto), che di Pignagnoli sarà poi l´immediato antecedente.
Una tribù di scrittori solitari mette in scena una tribù
di scrittori solitari: personaggi invecchiati in qualche modo, acciaccati,
disillusi, le cui parole sono trascrizioni di pensieri e dialoghi segnati da
deviazioni grammaticali e logiche. L´emblema della «semplicità» è felicemente
paradossale: designa direttamente un´aspirazione e un´apparenza (in confronto
alla letteratura e alla critica dei termini magniloquenti), ma per antifrasi si
riferisce invece a quanto sia complicato avere un rapporto di semplice
osservazione nei confronti del mondo, rinunciando alle rituali mediazioni del
cerebralismo. E´ così semplice «il modo che ti guarda il cane»?
All´interno di questa tribù dispersa, il caso Pignagnoli ha ambizioni
soprattutto comiche: le sue «opere», scrupolosamente numerate e in successione
come i post di un blog, propongono temi ricorsivi, dalla solitudine dell´autore
ai suoi sfoghi contro Moravia ed Elkann, fra teorie e osservazioni dissennate
sul mondo e frasette nonsense. E´ divertente, ma non è solo un divertissement:
e, con i suoi giochi situazionisti e i suoi sfoghi bizzosi, questa letteratura
dell´io posticcio quanto meno ci riposa della tanta letteratura posticcia
dell´io che riempie classifiche e scaffali, e dei suoi autori veri, che poi
sono più finti, molto più finti, di Learco Pignagnoli.
L’allusione circa la “letteratura posticcia dell’io” è del giocolento Bartezzaghi?
Leggendo l’articolo, ho capito che sopravviverò benissimo anche senza acquistare le 245 «opere» in prosa di Pignagnoli, compresa quella che fa: «Conoscevo uno che sbagliava sempre le parole. Una volta voleva dire polipo, ha detto flauto»:-/ [Si deve ridere?]
Pignagnoli è difficile, non per tutti…
Questo è sicuramente un apocrifo di Pignagnoli che ho letto sull’Autogrill di Fiorenzuola durante una minzione: Mattinale 318 “Stamattina mi son svegliato con un brufolo sul naso come un pulsante. L’ho schiacciato e non è successo niente.”
Il fatto che nessuno sceglierebbe appositamente di stare dalla parte del torto dimostra certamente che NOI abbiamo ragione!
curioso…
tra gli anagrammi possibili di Lucio Angiolino c’è anche
culo annoi gli io
Sempre abissali le osservazioni di capastìna. Avercene, di cape simili!
… fa impressione, essendo rientrata oggi da San Giovanni in Persiceto (festival di artisti di strada) trovarne un sì eccellente figlio addirittura qui.
Ed io che mi pensavo che il massimo Persicetano fosse Raffaele Pettazzoni.
Ah, averlo saputo in tempo!
;-))
Nel caso volesse sfogliare una versione ‘cartacea’ della tesi su Blissett e Wu Ming, mi scriva. Grazie per l’apprezzamento.