LA FINE DELLA LETTURA COME LA CONOSCIAMO. FORSE.

Grazie a un post di Giovanni Arduino, sono andata a leggere un articolo piuttosto inquietante, quanto vero, su The Atlantic. Parla degli studenti di Letteratura alla Columbia University. Parla di quanto sia difficile, per loro, stare al passo con i libri che si chiede loro di leggere. Anzi, parla del fatto che non riescono proprio a leggere e non sono preparati a farlo quando iniziano l’università: una studentessa, infatti, confessa che a scuola non le è mai stato chiesto di leggere un libro per intero, ma solo estratti, o poesie, o articoli di giornale.

“Vent’anni fa, le classi di Dames non avevano problemi a impegnarsi in discussioni sofisticate su Orgoglio e pregiudizio una settimana e Delitto e castigo la successiva. Ora i suoi studenti gli dicono subito che il carico di lettura sembra impossibile. Non è solo una questione di ritmo frenetico; fanno fatica a prestare attenzione ai piccoli dettagli e contemporaneamente a seguire la trama generale”.

L’articolo non fornisce statistiche, né forse sarebbero possibili: raccoglie però le dichiarazioni di diversi docenti, che raccontano come sia complicato imbattersi in studenti dal vocabolario ampio, o disposti a confrontarsi con qualcosa che non capiscono al primo impatto, o a rimanere concentrati. Qualcuno dà la colpa a telefonini e social:

“Leggere libri, anche per piacere, non può competere con TikTok, Instagram, YouTube. Nel 1976, circa il 40 percento degli studenti delle scuole superiori ha affermato di aver letto almeno sei libri per divertimento nell’anno precedente, rispetto all’11,5 percento che non ne aveva letto nessuno. Entro il 2022, quelle percentuali si sono invertite”.

Colpa, anche, delle diverse pratiche adottate nelle scuole:

“le nuove linee guida avevano lo scopo di aiutare gli studenti a formulare argomentazioni chiare e sintetizzare i testi. Ma così facendo, abbiamo sacrificato la capacità dei giovani di confrontarsi con i testi lunghi”.

E ancora:

“Che sia per atrofia o apatia, una generazione di studenti legge meno libri. Potrebbero leggere di più invecchiando (gli adulti più anziani sono i lettori più voraci), ma i dati non sono incoraggianti. L’American Time Use Survey mostra che il bacino complessivo di persone che leggono libri per piacere si è ridotto negli ultimi due decenni. Un paio di professori mi hanno detto che i loro studenti vedono la lettura di libri come un’attività simile all’ascolto di dischi in vinile, qualcosa che una piccola sottocultura potrebbe ancora apprezzare, ma che è per lo più una reliquia di un’epoca precedente”.

Ora, la tentazione di stracciarsi le vesti è ovvia. Ma prima sarebbe interessante capire cosa succede agli adulti, ai lettori che leggono per piacere, come riporta The Atlantic. Sulla sua newsletter, Servizio a domicilio, Giulia Blasi ha scritto una confessione, lo scorso 1 ottobre. Che comincia così:

“Non riesco più a leggere. All’inizio pensavo fosse solo una questione di tempo, ma in realtà il tempo, a volerlo trovare, una lo trova. Un podcast di meno, un libro in più. Invece ascolto podcast (di solito mentre cammino, cucino o faccio le pulizie in casa), mi abbrutisco sul divano o guardo serie TV che mi piacciono (Slow Horses e Only Murders in the Building, in questo momento), faccio la spesa, pulisco, riordino, lavoro (duh), ma non leggo.”

Dice, Blasi, che non legge perché è assediata:

“I libri mi circondano, premono su di me. Sono ovunque. Non riesco a leggerli. Mi viene l’ansia. Quando li compro, mi sento in colpa: ne ho già così tanti! Si accumulano. Non riesco a recuperare. Sono come Topolino in quel segmento di Fantasia intitolato L’apprendista stregone, quando scopre come si fa a far portare l’acqua alle scope ma non sa come farle smettere”.

E c’è, in effetti, una causa:

“Questo assedio è l’effetto collaterale di un fenomeno più ampio e molto più grande, che ha a che vedere con l’eccesso di produzione editoriale ma anche con la diminuita rilevanza della critica letteraria ai fini delle vendite, e al conseguente spostamento di parte del peso promozionale sui social. Nei sogni degli uffici stampa, tutti i libri fanno il boom de La canzone di Achille o della serie di Colleen Hoover di cui non serve faccia il nome. Nella pratica, non è così. Ma ci si prova sempre.
(…)
Anche parlare di libri mi piaceva, amavo consigliarli, raccontarli, spiegare perché mi erano piaciuti. Non lo faccio più. Non mi sento a mio agio nella dinamica del marketing, nemmeno quando i testi che mi arrivano sono potenzialmente interessanti per me: non riuscendo a stare al passo, finisco per perderlo. Sono sempre indietro. Sta diventando frustrante. E so bene che anche io dipendo da questa dinamica di ricerca dell’attenzione, e che le cose che scrivo si accumulano su altri scaffali, altre scrivanie, accanto ad altri comodini, alimentando ansie analoghe alla mia”.

Due testi che ci dicono qualcosa di molto simile: la lettura intrapresa per puro piacere è seriamente insidiata. Dalla sovrapproduzione, dalle troppe richieste, dalla distrazione, da quel che volete. Ma sarebbe il caso di pensarci, prima che sia tardi (poi, certo, le storie possono trovare mille strade, e leggere romanzi o saggi potrà anche diventare una faccenda elitaria. Però. Però).

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