NON CE NE ACCORGIAMO

Ho passato metà mattinata al laboratorio di analisi: sembra facile operarsi all’anca, vero? Credo di aver reso felice il conte Dracula con tutti i prelievi fatti negli ultimi tempi. Comunque, mentre aspettavo il mio turno, facevo quel che faccio sempre: guardavo e ascoltavo, perché le persone continuano a essere più interessanti dei telefonini. Il problema, e non dico nulla di nuovo, è che la maggior parte dei presenti (parecchi, c’era fila) guardavano proprio i telefonini. Anzi, a un certo punto si sono incontrate due coppie, e si sono messe a mostrarsi le foto presenti sui cellulari formando un capannello che impediva il passaggio a tutti agli altri, vecchiette novantenni incluse.
Che sarà mai, mi sono detta: non se ne accorgono.
Ma è quel “non se ne accorgono” su cui mi arrovello parecchio, negli ultimi tempi. Ci sono molti modi per “non accorgersi” di quel che ci avviene intorno, di confondere la propria persona con il proprio ruolo, di scambiare il dolore e la delusione con rabbia da social, di non vedere le problematiche degli altri, e tutto quel che le ultime settimane ci hanno confermato, o, in alcuni casi, svelato.
Ho parlato con molte persone, nella trascorsa settimana torinese, ed è stato sempre un bel parlare, magari problematico, e per fortuna anzi problematico perché porta a rivedere molte proprie posizioni. Un’amica, in particolare, mi ha fatto pensare a lungo. Ha parlato di chi, come lei, prende uno stipendio che basta a malapena per pagare l’affitto e mangiucchiare qualcosa: lavora nel settore culturale, che continua a essere trascurato sotto questo aspetto per venire considerato semplicemente privilegio. Eppure anche nella cultura si lavora, e pure tanto, e si viene tutelati ancor meno a causa dell’odioso semi-ricatto “fai qualcosa che ti piace, fai qualcosa di bello”. E quest’amica, sospirando, mi diceva che comincia a capire la disaffezione comune per le battaglie sui diritti. “Come fai”, diceva dunque, “ad appassionarti ai diritti quando non riesci a pianificare niente, figuriamoci una famiglia, perché a fine mese non ci arrivi?”.
E’ innegabilmente il punto su cui agiscono le destre, e trovano terreno fertilissimo, come si nota dal discorso della premier ad Atreju.
E però, è anche vero che non siamo più capaci di narrare come dovremmo. Ho ripescato un intervento di una decina di anni fa di Stefano Rodotà su Micromega. Dove diceva:

“I tempi dei diritti sono sempre difficili. Le ragioni delle difficoltà sono molte. I diritti incidono sull’ordine costituito.
Redistribuiscono poteri, e perciò si cerca di neutralizzare questa loro intima capacità di cambiamento contrapponendo loro doveri sempre più aggressivi, imponendo limiti costrittivi, subordinandoli a convenienze politiche talora meschine e così pianificando scambi tra sacrificio di diritti sociali e mance di diritti civili. Si è inclini a dimenticare che i diritti sono indivisibili e che le vere stagioni dei diritti sono quelle in cui diritti individuali e diritti sociali procedono insieme. È il modello, non dimentichiamolo, della nostra Costituzione. È quello che è accaduto negli anni ’70, quando il congiungersi del “disgelo costituzionale” e della capacità della politica di cogliere senza timidezze le dinamiche sociali cambiò davvero l’Italia, senza reazioni di rigetto determinate dal fatto che le richieste di diritti hanno sempre la loro origine nello sguardo lungimirante e nella cultura delle minoranze escluse”.

Dunque? Magari avere risposte nette, care e cari. Di certo, non possiamo più permetterci di “non accorgerci”. Dobbiamo aprire occhi e orecchie. E sporcarci le mani.

2 pensieri su “NON CE NE ACCORGIAMO

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