Sotto l’articolo dedicato alla querelle (titolo, a proposito, La cultura di sinistra? E’ diventata troppo popolare), ne viene pubblicato un secondo, sempre di Cristina Taglietti. E’ un’intervista a Edoardo Sanguineti.Vado a copiare:
“La sinistra si occupa troppo del popolare? Secondo me non lo fa abbastanza. Invece di dedicare quaranta righe a un raffinato poeta sconosciuto, parliamo di un fenomeno come quello della Lecciso. Parliamone, ma per capire perche’ e’ diventata cio’ che e’ diventata, perche’, su qualunque canale, tutti si preoccupano di dibattere se sa o non sa ballare, come va la sua storia con Al Bano, come si veste e che cosa sa fare”.
Sembra una provocazione, quella di Edoardo Sanguineti, in realta’ e’ la conseguenza di un’interpretazione in un certo senso gramsciana della cultura” “Certo, perche’ Gramsci che si interrogava su che cosa leggeva la gente, sul romanzo di appendice e sul linguaggio che usava e’ stato molto piu’ fecondo di tante analisi crociane. In Gramsci il nazional-popolare rifletteva un problema di comunicazione, riguardava le grandi masse che spesso vivevano isolate, che parlavano il dialetto, legate al folklore, a certe tradizioni, le cui forme di espressione erano i bollettini parrocchiali. Quello e’ il tipo di analisi che dovremmo continuare a fare. E solo la sinistra puo’ farlo perche’ ha una tradizione forte in materia”.
Insomma il nazional-popolare a Sanguineti non fa paura: possiamo essere tutti d’accordo sul fatto che i libri che entrano in classifica sono, tranne qualche eccezione, opere poco raccomandabili dal punto di vista della qualita’. E questo vale un po’ per tutti i generi: satirico, comico, saggistico, narrativo. Da quando esiste l’industria culturale, d’altronde, al centro del problema c’e’ il ricavo, l’obiettivo di ottenere il masimo del profitto. Di qui l’ossessione del bestseller”.
Ma che cosa devono fare i critici in questa situazione? Dovrebbero, come sostiene la Benedetti, affondare il bisturi e stroncare? “Ci sono due possibilita’: la prima e’ silenzio e disprezzo. Mi ritiro nel mio hortus letterario e lascio che il mondo vada dove vuole. L’altra e’ accogliere il fenomeno e giudicare. A me questo sembra l’atteggiamento giusto: parlare del bestseller, cosi’ come della tv e del cinema, cercando di capire che cosa lega tutto questo meccanismo”.
E’ evidente che, a questo punto, il giudizio critico sulle singole opere non e’ cosi’ importante. “Certo: piu’ che dire ‘attenzione, questo non e’ un capolavoro, bisogna capire e spiegare, perche’ la gente lo compra, quale ideologia veicola, che cosa significa il fatto che molti bestseller siano fatti in serie”. Sanguineti non ha paura di essere identificato con quei membri della cultura di sinistra appiattiti sul pop: “Anziche’ spendere pagine e pagine per riproverarsi di essere caduta nel populismo, l’intellighentsia di sinistra avrebbe dovuto spendere energie e spazi per capire, per esempio, un successo come quello del film Matrix. Cercare di capire che cosa si consuma, che tipo di gialli si leggono, che calendari si fanno con le Veline, che messaggi vengono convogliati da Sanremo e’ molto piu’ politico di tanti discorsi o talk show sulla politica. D’altronde anche Marx ed Engels non discutevano soltanto dei classici economici. Non dimentichiamo che fecero l’elogio del “reazionario” Balzac, per i suoi romanzi realisti, rapppresentazione dei costumi della societa’ e si occuparono addirittura di feuilleton come I misteri di Parigi di Eugene Sue, indagandone minuziosamente l’ideologia sottesa. Libri, tra l’altro, che nella prima meta’ dell’Otttocento, furono dei veri e propri format, a cui poi si ispirarono moltissimi autori, non soltano francesi”.
Andrea, non essendo una correttrice di bozze, ogni tanto i refusi mi scappano, come il famoso orinare/ordinare.
Ma non in questo caso. Non dico che questo sia quel che ha scritto Carla Benedetti. Dico, e confermo, che questo e; quanto Cristina Taglietti, autrice dell’ articolo, ha riportato a proposito di Benedetti.
Verifica, se vuoi, con la copia cartacea del Corriere.
Oh, ma tocca discutere sui refusi con tutte le cose tirate in ballo da Sanguineti?
Credo ci sia nell’articolo copiato un errore di battitura, un po’ come quello di qualche post fa dove si scriveva di “orinare” i libri agli editori. In questo caso è scritto che la Benedetti sostiene che i critici devono “affondare il bisturi e stroncare” cosa che non risulta da nessuna parte.
Secondo me bisognerebbe evitare certi errori di battitura se vogliamo fare discussioni serie.
Se invece ci si vuole divertire, se sono discussioni d’evasione, continuiamo pure.
“Pienamente d’accordo a metà ” col mister. Diciamo che Eugenio Sue non era la Lecciso, ecco, e oggi Marx avrebbe un gran mal di testa 🙂
Negli ultimi tempi, sulla rivista Atelier, ci siamo occupati della critica, che secondo me rappresenta il vero nodo problematico della questione (non il “popolare”). Se è interessata a riceverne copia, gentile Lipperini, ci segnali il suo recapito e provvederemo molto volentieri.
Una frase intera non può essere un “errore di battitura”, quindi Andrea sta accusando Loredana di avere -falsificato- il contenuto dell’articolo sul Corriere. Siccome il giornale l’ho letto anch’io, posso dire che è un’accusa demenziale?
Andrea somiglia sempre di più a Valchiria. Se chi si somiglia si piglia, consiglio un trasferimento a Napoli.
Si ecco, bravi, la sinistra si occupi delle Lecciso, si, c’è tempo da perdere, si, bravi. Gramsci e le Lecciso, Sanguineti e le Kessler, si, e via andare, fate così, si, fumate, fumate, il fumo fa bene, fa bene…
sciltian, ovetti & compagnia di ballo non se ne impipano una emerita cippetta della letteratura, né tantomeno di popolo e popolare; usano ciò che gli è possibile usare, dopo essere stati disintegrati dai loro stessi padri (che non perdono occasione per ridicolizzarli), per fare cronaca del giorno dopo, ovettale e rododentrale. sono veline. tu sei una velina?
C’è una cosa detta da Caliceti che condivido molto, cioè quando si dichiara stufo di sentir elogiati i romanzi “di genere” come gli unici in grado di affrontare la contemporaneità. Poi cerco di ricordare chi l’ha detto. A parte il fatto che “di genere” (con cui mi pare si sottintenda il più delle volte gialli, noir ecc.) è una definizione demenziale. Succede una cosa strana: quasi tutti i nomi e cognomi che mi vengono in mente non l’hanno detta proprio così. Hanno fatto delle distinzioni, magari in contesti in cui si opponevano alle più svariate difese dell’arte alta e pura spesso, per giunta, data per morta. Ma come del discorso di Adorno sulla poesia dopo Auschwitz è rimasto in circolo sono una battuta che lo distorce fondamentalmente, così sulle nostre lettere aleggia quel luogo comune.
Non è in quanto luogo comune che mi insospettisce. E’ invece per il sospetto che questa posizione si dia la zampa col suo apparente opposto, ovvero la sopracitata negazione che esista oggi in Italia una letteratura che si occupa del nostro mondo e nostro tempo. Mentre è proprio questa, a mio avviso, la grande novità di questi anni. Alla faccia di tutti quanti hanno per anni pontificato l’impossibilità di tornare a fare una letteratura impegnata, politica, critica. Sociale. Comunicativa. E mettici pure il punto e virgola.
La frontiera passa anche dentro il “genere” o no? Fra i noiristi bozzettistici e garbati e quelli che cercano di restituire qualcosa di diverso del colore locale.
Questa chiamiamola “estroversione” io la vedo negli esempi più lontani. Ad esempio nel modo di restituire gli anni sessanta/ settanta nella “Più grande balena bianca della Lombardia” di Aldo Nove, che elabora il genere più intimista per eccellenza, l’autobiografia.
O nel modo in cui l’ipercolto Michele Mari in “Tutto il ferro della Torre Eiffel” allestisce il suo teatrino degli orrori del novecento, mostrando come mai un saggio sarebbe capace, la rovina tragica di illusioni e vite.
O forse anche Voltolini nel racconto citato ai suoi tempi da Covacich nella celebre querelle, un racconto dove non c’è altro che un paesaggio insieme “naturale” e industriale ad essere narrato.
Sono esempi parziali ed estremi che servono solo a indicare ciò che a me pare il risveglio. Giuro di non ricordare nessun libro che mi è parso importante in questi anni in cui non abbia trovato questo aspetto. Magari – per riallacciarmi al post sotto – cerchiamo di collocarci “fuori” (o dentro, dipende dal punto di vista) in modi diversi di cui alcuni non convincono, ma ci stiamo provando.
Negarlo tout court, asserire che non ha ancora dato esiti degni del passato, concedere che solo “il genere” è capace di restituire qualche fetta di realtà, diventa un coro che converge all’effetto di ribadire che non è successo un tubo, che non bisogna ripensare le certezze di ieri.
Molti fra quelli dediti al “genere” hanno un’idea molto più seria e politica del popolare di quanto non sospettano i sponsor dall’abbraccio ambiguo. E gli altri idem.
Lippa, grazie della pazienza certosina. Torno nel letto.
Helena
Vedo che qualcosa di parzialmente simile lo dice Wu Ming uno nel post sotto: tanto meglio.
Ah, sopra la risposta era per Loredana.
Dunque, se non ho capito male, il tema è: coloro che si sentono “intellighentsia” politica (o, se preferite, élite culturale, di solito di sinistra ma non solo) devono o non devono occuparsi del nazional-popolare? Naturale che devono occuparsene, ma dovrebbero farlo in un modo “intelligente”. Mi spiego: se io fossi un leader politico dovrei (oltre ad avere delle grandi competenze di politica economica, estera e forti nozioni amministrative) sapere pure che tipo di programma fa la De Filippi, dal momento che ha un vasto successo popolare. Però dovrei anche cercare di capire cos’è che rende quel programma così speciale per alcuni di milioni di persone, tra le quali una forte maggioranza appartiene a quella che una volta si sarebbe chiamata la “classe proletaria”. Questo mi serve in termini sociologici e anche elettorali, perché se poi io desidero spiegare, o meglio, comunicare le mie idee politiche e le mie soluzioni a quel “popolo”, dovrò pur avere in mente un modo di risultare loro intelleggibile.
Quel che io invece pavento è che gli uomini politici italiani spesso non hanno alcuna competenza loro propria, ma magari sono aggiornatissimi sulle Lecciso e la De Filippi, perché vivono in una dimensione televisiva, dove l’immagine e la comunicazione vanno molto oltre il contenuto.
Infine: ciò che ho detto per gli uomini politici non credo (ma qualche dubbio l’ho) che debba valere anche per l’intellettuale tout-court, che magari non desidera neanche giocare un ruolo politico. Vado all’esempio: se Riccardo Muti non sa chi sia la De Filippi, secondo me non perde nulla come artista, ma se D’Alema o Prodi non sanno chi sia, ne perdono in immagine e comunicabilità presso quei milioni di De Filippi-dipendenti. Sono stato spiecato?
Il passante di sopra è un fake! Passante è Andrea, i passanti sono gli Andrea e le Valchirie! Guglielmo, il mio amico, al popolo tiene davvero, come Amedeo. Invece questi sono parassiti, adesso parassitano anche la passanza! Canibbalone, che fai, usurpi il nick al popolo? In Siberia! Cinque anni! Anzi, cinque più cinque! Anzi, facciamo direttamente venticinque e non se ne parli più.
Il passante di sopra è un fake! Passante è Andrea, i passanti sono gli Andrea e le Valchirie! Guglielmo, il mio amico, al popolo tiene davvero, come Amedeo. Invece questi sono parassiti, adesso parassitano anche la passanza! Canibbalone, che fai, usurpi il nick al popolo? In Siberia! Cinque anni! Anzi, cinque più cinque! Anzi, facciamo direttamente venticinque e non se ne parli più.
Il problema è proprio che la linea del popolare si sta spostando sempre più in basso. Questo è il vero problema di cui si dovrebbe occupare la sinistra (sempre che qualcosa si possa fare)
“Senza nulla a pretendere”
Con questa frase terminava la lettera di Totò e Peppino alla “malafemmena” che malafemmena non era.
Per l’appunto, senza nulla a pretendere, chi come me volesse essere guidato in un mondo di sane letture senza incappare in Costantino, Leccisio e merdate varie cosa deve fare?
Io aspetto ancora una risposta.
SENZA NULLA A PRETENDERE…..
naturalmente.
Ma non ti sembra che quell’espressione sia fuori da quello che la Benedetti sostiene e che citarla serve solo ad aumentare la polemica?
(di passaggio, una tantum, ti ringrazio per la cordialità che non è dovuta e a me fa sempre piacere, specialmente perché diciamo quasi sempre cose diverse)
Chapeau, Biondillo.
certo che è dura,pensarla come sanguineti. quindi, secondo il maestro- una cisti maligna e luciferin-bitorzoluta del secondo novecento italiano, che per mezzo della sua opera creativa ha irraggiato i tentacoli nel tessuto ludico della cultura italiana di sinistra-sarebbe ora di farsi allegare i denti, andando a capire le ragioni del nazional-popolare odierno. buon per lui! sarebbe questo il “fuori vero”, quello insomma di ciuccio genna e ozzy monina? o la scommessa sta in una totalità irradiante dall’alto,in ascesa, in costruzione, becco! e becco chi lo segue!!
grazie per la trascrizione, il dibattito è sempre più interessante. anche sanguineti….
Spesso a furia di parlare si trova una soluzione, e certe posizioni (tesi, antitesi) che paiono divergenti in partenza si risolvono alla fine in una buona sintesi finale. E’ quello che mi pare stia accadendo in questi giorni.
Non è una lotta fra critica pro-popolare e anti-popolare.
Primo distinguo: popolare NON è populistico. (insomma la tradizione “popolare” italiana da Boccaccio a Fenoglio e oltre non è mica merda, è roba di valore altissimo. Per non dimenticarci dei contadini toscani che recitavano Dante a memoria, etc. etc.)
Non è una guerra fra “genere” e “Letteratura”. Quest’ultima è genere altrettanto, è “genere letteratura”.
Non è un: “gli scrittori di oggi non parlano del reale” (chi lo dice è fermo al massimo ai “cannibali”) né un: “solo quelli di genere parlano della realtà”.
Non è forse neppure “oltre la porta, oltre la TV, c’è il mondo vero”, o “solo la TV ci racconta il mondo di oggi.”
Aggiungerei che Kafka o Dostoevskij sono a tutti gli effetti ottimi “long seller”, che Faletti non c’entra una fava in questo discorso, che un sacco di merda si pubblicava anche 20 come 100 anni fa e nessuno si ricorda più nulla di questa gente.
Che di per sé un autore che vende 1000 copie non è migliore o peggiore di uno che ne vende 100.000.
Che il bisogno vitale, estremo, disperato quasi, di chi scrive oggi è parlare del mutamento. Ed è il mutamento antropologico (pasoliniano) avvenuto sui nostri corpi. Ed è la mutazione in atto nella società. Ed è psicologia non più attorcigliata su se stessa ma anche sociologia. Non è più SOLO dentro ma ANCHE fuori.
Non è più “la Cina è vicina” ma “la Cina è qui” (e non è come la immaginavamo).
E’ (ecco, ecco, ci siamo) questo (come dice in un commento su NI Carla Benedetti): “La vera opposizione è tra scrittura inerte e scrittura viva. La scrittura inerte la si trova dappertutto, non solo tra i prodotti per il grande pubblico, ma anche in quelli per il mercato di nicchia degli sperimentalismi stanchi, patinati e pieni di lustrini culturali.”
Non è un problema di scandalo (scandalo?) non è un problema di audience (audience?).
E’ resistenza.
E quale sarebbe la “scrittura viva”? Quale sarebbe “la resistenza”? 🙂
Lunar, il mio consiglio è:
Matteo Melchiorre, “Requiem per un albero, edizioni Spartaco 2004. Una vera sorpresa. L’editore ne aveva tirato solo 500 copie, poi c’è stato il passaparola e adesso ne ha tirate altre mille. Melchiorre ha 24 anni, il libro ho scritto due anni fa. Un fulmine colpisce un vecchio olmo secolare nella frazione di Tomo, comune di Feltre (BL). L’autore, incuriosito, vuol sapere esattamente quanti anni aveva l’albero e comincia a fare domande ai suoi compaesani, pian piano si appassiona al tema e si mette a leggere vecchi libri, testimonianze, cronache antiche, qualunque testo in cui venga menzionato l’Alberón, anche di sfuggita. In pratica, ricostruisce la storia di Tomo, partendo dal tronco abbattuto e muovendosi a spirale verso l’esterno. Qui non troverai né leccise né costantini.
Però non facciamo gli alzarcaui: anche ne *I viaggi di Mel* di Philopat viene nominato Maurizio Costanzo, ma non è certo un libro che si appiattisce sulla sub-cultura tresciona televisiva…
Beh, io nel post qui sotto ho fatto diversi nomi di autori la cui scrittura ritengo alive and kicking.
E’ strapieno di letteratura non inerte, l’oggi. Soltanto, non si ha la profondità delle proprie esigenze, che vedo essere sempre canoniche: si pretendono canoni, irrigidimenti. Una questione di reazionariato, questa: consolidare il presente, continuamente, perché mamma mia sennò arriva la morte, andiamo dove non sappiamo. E’ l’atteggiamento antitetico a quello che pratico io nella lettura dei miei contemporanei. Non mi frega niente se Carlotto resta o se lo si dimentica tra vent’anni. Mi interessa la potenza di immaginario che Carlotto mobilità nella realtà. Mi interessa una valenza politica dell’immaginario. Certe scene, frasi, storie, destini, salti e scoscendimenti letterari mi entrano, mi trasformano e mi formano. La mia forma non è mai stabile: vividdio il sangue non ristagna, scorre sempre, anche se non visto, il metabolismo è in moto, nulla si sottrae al divenire, se non la pretesa che tutto sia fossile. La critica non è un problema e, detto con franchezza, non vedo mai il problema: non c’è problema. Il diveniente è una festa continua fatta di gioie e lutti. Sento la letteratura come una comune parigina che la vince, sia sul breve che alla lunga. Per entrare e fare festa non si paga, non si deve pagare. Però, per entrare, si deve avere l’intenzione di entrarci. E’ dunque sul piano delle intenzioni, che non sono mai razionali ma espressioni di desiderio, che io misuro le deflagrazioni dell’immaginario. In questo contesto, vorrei abbattere l’etichetta trash, l’etichetta nazi-pop, l’etichetta alto/basso, l’etichetta genere. Chi scrive e pensa alle gabbie è per me un idiota, come chi legge affidandosi alle gabbie. Quelli contenti delle gabbie mi sembrano gli utili idioti al servizio del funebre, al servizio funebre.
E su molti di quelli siamo d’accordo. Ma la resistenza senza “scandalo” è possibile? O, Germinale è così bello è importante perchè Zola era scandaloso – non alla Bataille, beninteso – cioè semplicemente si metteva in gioco? E allora si può dire così, che la scrittura è viva quando tu senti che dietro la pagina c’è qualcuno che non prende e – ancora più importante – non si prende in giro? E che abbia successo o no, è vero, che importanza ha? Io però avrei paura della scrittura inerte – di chi è capace di farla – quanto dei “cruciverba”. Anzi, ben venga un cruciverba ben riuscito – anche se inerte – servirà al bravo editore a finanziare un romanzo “non inerte”.
Io trovo “grande” il mister, come lo chiama Wu Ming (Sanguineti). E mi pare che ci azzecchi pure il paragone ‘800 – Lecciso, magari non con Sue. Sicuramente in Mastro Don Gesualdo c’è una “figura di attrice”, una che non sa fare molto sul palcoscenico, ma che in compenso è capace di far “innamorare” i notabili del paese. E dalli tutti quanti nel camerino, i vari Don Ninì, e questo e quello a invitarla, a portale dolcetti, a corteggiarla. Che la gente sia curiosa – della Lecciso – perché – che lei lo sappia o no – il suo non è un ruolo “nuovo”? Non è mancata neanche la scenetta dal notabile – ad alto livello stavolta, a palazzo Grazioli – che la invita a cena, con la “sensala- Venier”. Vorrei più Sanguineti.
genna, il suo problema è nella dissociazione. quando teorizza, i sui discorsi non fanno una piega. molto acuto e intelligente. il problema sorge quando scrive i suoi romanzi.la negazione delle buone intenzioni. ha tutto, meno che il talento dello scrittore.si fa passare per scrittore, in realtà è un paraculo. con osservanza e senza offesa.
… mi riferivo ai titoli citati da WuMing nel post sotto, cioè, I Malavoglia, Germinal, I promessi sposi. Su cui – sono molto d’accordo con Sanguineti – è molto più importante fare delle “critiche strutturali” -ruolo dei personaggi all’interno, modo in cui è costruita la trama, modo in cui l’autore si pone rispetto ai romanzi dello stesso genere – piuttosto che prenderli tutti in gruppo e distinguere: sono popolari, o non popolari?
Non conosco bene il dibattitto precedente (Lipperini/Benedetti), ho letto stamattina l’intervista a Sanguineti e mi è venuta voglia di intromettermi. Mi trovo d’accordo con Genna quando parla della “potenza dell’immaginario” che ad esempio Carlotto mobilità nella realtà, e della valenza politica dell’immaginario. Se si vuole costruire un’immaginario letterario, che permetta una riattivazione dei nostri desideri di cambiamento della realtà, che ci faccia percepire il cambiamento che ci sta davanti,non vedo quale sia il problema se questo sia fatto utilizzando il linguaggio trash della Lecciso, il noir il rosa o la bestemmia… Credo che “nazional-popolare” sia qualcosa dove necessariamente siamo immersi e credo che la letteratura possa farci accorgere fin dove. Comunque in generale mi sembra che talvolta il dibattito cada nell’eterna discussione se per essere scrittori (e lettori) di sinistra bisogna essere realisti o si può anche leggere Kafka e il romanzo poliziesco.
ahahaha… in italia solo i narratori si mettono in gioco…ahahahah che ridere?!!
si vede che è proprio al bui!!! :-)))
è di una delicatezza e profondità straordinari!!!
Ilpostodeilibri scrive:
‘la resistenza senza “scandalo” è possibile? O, Germinale è così bello è importante perchè Zola era scandaloso – non alla Bataille, beninteso – cioè semplicemente si metteva in gioco?’
Il punto è proprio questo. Mettersi in gioco. Io credo che oggi, in Italia, vi siano narratori che si mettono in gioco.
guardati in casa, furbone…
Questo blog comincia a soffocare per eccesso di battute cedevoli puntellate a faccine. WM1, ma ti sei scopato tutte le loro fidanzate? Forse sì.
Le ho scopate tutte io le fidanzate degli altri…
Finalmente con gli ultimi “scritti teorici” il nazional-popolare è entrato nel blog. Chissà se è inerte come sembra.
E’ gas inerte, il nazionalpopolare! Belin, è una vita che lo dico! Pippo, tu mi hai scoperto e anche tu, come me, hai scoperto l’acqua calda. Qui se non si è nazionalpopolari non si è nessuno! Te la do io la letteratura!
Al di là dei consueti tentativi degli sciocchi e dei pavidi che cercano di forumizzare il blog per annullarne il valore, tento di riprendere il senso di quel che diceva Sanguineti. Mi pare che l’accenno a Matrix sia stato molto azzeccato: quel film aveva vari livelli di lettura, popolare, colto, addirittura filosofico. Indubbiamente i critici dovrebbero rifletterci. Ma forse anche gli scrittori.
Passanti, we are not amused.
Il problema sollevato da Sanguineti sul “capire e spiegare, perche’ la gente lo compra, quale ideologia veicola, che cosa significa il fatto che molti bestseller siano fatti in serie”, penso che dovrebbe essere esteso a tutto il campo letterario, anche all’editoria a progetto, alla nuova narrativa. Vi chiedo, non è anche questa legata all’industria culturale, alla pubblicità? Hanno un diverso “modo”di acquistare i lettori non di bestseller? Alcune delle copertine di narrativa “altra”non sono qualcosa di appiccicoso di sinistra? Le quarte di copertine “altre” non sono piene di elogi controculturali, di creazioni di miti ad uso e consumo del momento attuale del mercato? Il mettersi in gioco sollevato da WM1, non dovrebbe coinvolgere anche l’editoria non solo di bestseller, nel senso di veicolare diversamente il libro che ha intenzione di vendere? O dobbiamo vivere continuamente sotto il regime dell’estetica di copertina contro, anti, trash, splatter, cyber, sado, che forse ha già fatto il suo tempo?
Anche qua mi tocca leggerlo ‘sto cognome: Lecciso,
porcadunavacca,
Io non sapea chi erano esse loro o lei o chicchessia e pure mi tocca sorbire ‘sto cognome nuovamente e sentirne qui parlare banfare dire e strafogare quasi si parlasse di San Simeone stilita redivivo vergine e martire o le Undicimila Vergini con San Orsola e con Sanguineti pure che gli innalza il labaro o il gagliardetto.
Ciò francamente mi nausea assaissimo e mi rivolta i precordi.
Ne ho più che abbastanza;
io che mai sapevo ne visto avevo dette puttanelle o saltimbanche o squacchere di basso varietà.
Absit injuria verbis
http://www.miserabili.com/archives/2005/02/siamo_vivi_bast.html
Passante, io non ho capito chi siano gli “ovetti” e cosa tu voglia dire con “ovettale” e “rododentrale”…
Io velina? Boh, esiste anche il pubblico del sado maso, no? E allora potrei esserlo anche io, velina. 🙂
Certo! Gramsci si sarebbe preso cura della Lecciso così com’è vero che io sono la reincarnazione di Jimi Hendrix.
Ma quanto ancora durerà ancora questo sparare cazzate immani zenza capo ma con la coda sì, con una coda molto lunga, perché vergogne e menzogne son sempre palesi.
Per forza che non c’è più critica militante: con certa roba che gira in giro, che critica vuoi fare? Arrampicarsi sugli specchi per i critici seri non è un esercizio che gli faccia bene, quindi lasciano perdere l’immondizia che si puo’ criticare solo dicendola tale, ed è già onore troppo grande.
Buon risveglio.
Torno ai miei affari.
Iannox
OT: per chi fosse interessato, un’intervista ad Eraldo Baldini, a mio avviso, molto interessante. Era già apparsa, ma penso sia giusto riproporla, perché più che mai attuale, come attualissimi e importanti i libri di Eraldo Baldini. I motivi li ho spiegati, e correva l’anno 2002…
Qui:
http://biogiannozzi.splinder.com/1107429620#3977346
Saludos
Iannox
insulti e contumelie a parte, a me quello che dice Sanguineti sembra di una semplicità forse troppo intelligente! senza buttarla in politica, è la politica che ci viene addosso: secondo me Sanguinetti propone quello sforzo di analisi-comprensione-superamento che sarebbe utile non tanto alla ‘sinistra’, quanto al nostro paese. Diciamo che Klaus Davi al TG3 e consulente personale di Fassino (e anche opinionista al Processo del Biscardo e compariello di Simona Ventura) è un quell’esercizio riuscito solo a metà. Invece del superamento, il supermercato. Cosa c’entra questo con la letteratura? Niente. O molto, invece.