Su Railibro, Tullia Fabiani intervista Vittorio Sabadin,
giornalista de La Stampa, a proposito del suo libro, L’ultima copia del «New York Times»,
pubblicato da Donzelli. Se ne discute parecchio in giro e non mi pare
inopportuno riproporre qualche passo della conversazione.
Dunque, per i giornali di
carta pare cominciato il conto alla rovescia: chi ne data l’estinzione al 2043
(come Philip Meyer); e chi molto prima (l’editore del New York Times si è chiesto se stamperà ancora il giornale fra
cinque anni). Lei se la sente di fare un pronostico preciso?
In realtà non è possibile. Credo comunque che Philip Meyer sia stato
eccessivamente ottimista e l’editore del New York Times, Arthur Sulzberger jr.,
eccessivamente pessimista. La realtà dell’informazione cambia troppo in fretta
per poter fare qualunque previsione. Come dice Rupert Murdoch, sopravviverà chi
sarà più veloce, chi potrà cioè adeguarsi rapidamente ai cambiamenti in corso.
Ad essere in pericolo sono le aziende editoriali che ancora si illudono che
tutto potrà tornare come prima e che rifiutano ancora di vedere le grandi
possibilità di espansione del business rese possibili dalle nuove tecnologie di
comunicazione. Credo che esisteranno sempre giornali di carta, ma dovranno
essere molto diversi da quelli che si stampano adesso: più concentrati
sull’analisi e meno sulle notizie. Costeranno di più, perché la qualità costa,
avranno meno pagine e venderanno meno copie ad un prezzo più alto.
Perché questa fine dopo secoli di lustro?
I giornali hanno perso il monopolio dell’informazione e non sono riusciti a
seguire con tempestività i mutamenti sociali. Se un evento accade alle 9 del
mattino, la gente ha ora infinte possibilità di documentarsi subito sullo
stesso evento attraverso il web, la tv o la telefonia mobile. Nessuno aspetta
più l’edizione del giorno dopo del suo giornale per sapere che cosa è successo.
Se mai, dal suo giornale su carta vuole capire perché un fatto è accaduto.
Faccio un esempio banale: moltissimi giornali, il lunedì, si ostinano a fare
titoli in prima pagina tipo: il Milan pareggia con l’Inter 1 a 1, cosa che tutti i tifosi
del Milan e dell’Inter sanno già da molte ore. Inoltre, la raccolta
pubblicitaria si sta trasferendo altrove: sul web cresce del 30-40 per cento
all’anno, a fronte di incrementi del 2-3 per cento dei giornali su carta. Per
la prima volta ci sono in giro pericolosi concorrenti e i giornali lo hanno
capito con grande ritardo.
La free press potrebbe essere l’unica superstite nel panorama dei quotidiani
cartacei?
È una possibilità. Molti giornali che prima erano a pagamento sono diventati
gratuiti. Ma la free press, per come è fatta adesso, non risponde al valore
sociale che i giornali devono avere. Bisogna trovare il modo di salvaguardarlo.
Ma quali sono le origini e le caratteristiche del cambiamento in corso?
Nelle redazioni di tutto il mondo ci sono direttori e giornalisti un po’
tramortiti, convinti che bisogna fare qualcosa ma per nulla sicuri di che cosa
bisogna fare. In Europa si sono ridotti i formati e si è lavorato sul design;
negli Usa si è lavorato di più sui contenuti, cercando di produrre giornali che
fossero di nuovo vicini ai bisogni e alle istanze sociali della loro comunità.
I giornali locali che hanno seguito questa linea stanno andando bene, a
conferma del fatto che il recupero dello spirito di servizio pubblico che ha
caratterizzato i giornali fin dalla loro origine può essere una delle
soluzioni. Ma la stampa di un giornale su carta è un processo ormai lento e
costoso in rapporto ai new media, che sono più veloci ed economici. I giornali
dovranno imparare a servirsene, la carta da sola non potrà più sopravvivere.
(…)
Quali sono i rischi che il giornalismo corre nella mutazione cui è
sottoposto? E quali vantaggi a fronte?
I rischi per il giornalismo sono strettamente legati alle politiche degli
editori. La tendenza generale è quella di ridurre lo staff redazionale: negli
Usa si è perso in pochi anni il 18% dei posti di lavoro. Per risolvere la crisi
molti editori americani stanno tagliando la qualità giornalistica, cosa che li
porterà inevitabilmente alla rovina. Inoltre, molti giornali in difficoltà
vengono acquistati da gruppi industriali il cui core business non è
nell’editoria e che ritengono che il possesso di un quotidiano li aiuterà nei
loro affari. Queste persone non sono molto interessate alla qualità
giornalistica o al servizio pubblico che un giornale dovrebbe svolgere. Infine,
i giornalisti con maggiore esperienza vengono sostituiti da giovani con
contratti a tempo indeterminato, più ricattabili dallo staff dei manager e
della proprietà. Per i giornali che invece potranno continuare ad esercitare il
loro ruolo con serietà si aprono nuove prospettive e qualche vantaggio: grazie
al web e alle nuove tecnologie di comunicazione i giornalisti potranno, se lo
vorranno, smetterla di predicare da una torre d’avorio ed entrare in contatto
diretto con i loro lettori, ascoltandoli. Se lo faranno, sarà una vera
rivoluzione, che porterà benefici a tutti.
Ben fatto, Loredana.
Se sei d’accordo inserirei il contenuto di questo post (con relativo link, tua citazione, ecc.) come commento all’interno del post su letteratitudine che tu conosci. Che ne dici?
Oh, mi par di riconoscere la prefazione a una raccolta di post. Parlava di blog e di fine dei giornali cartacei…
io scommetto ancora nel futuro dei tatzebao
“Infine, i giornalisti con maggiore esperienza vengono sostituiti da giovani con contratti a tempo indeterminato, più ricattabili dallo staff dei manager e della proprietà.” suppongo voglia dire DETERMINATO!
Io ho la netta impressione che quando le potenzialità di internet saranno ulteriormente sviluppate e, quindi, dal punto di vista giornalistico, si proporranno sia le notizie flash sia gli approfondimenti in modi interessanti e in tempi veloci sempre più, la carta stampata morirà in modo definitivo.
Un giornalista di una certa età forse non lo riesce a vedere, anche perché con il suo giornale di carta sotto il braccio la mattina fa il dandy e la parte dell’intellettuale, ma tanti giovani della mia età girano con il portatile a tracolla… il giornalismo cartaceo morirà, può piacere o non piacere, ma mettiamoci il cuore in pace.
Questo muterà molti ordini tradizionali: la comunicazione, l’autorità della scambio d’informazioni, il lavoro del giornalismo e la stessa cultura che potrà ricevere stimoli nuovi su cui posare le proprie basi.
beh, condivido il fatto che fra ottimismo e terrorismo la verità stia…nel mezzo. E comunque io sono una vecchia appassionata della carta stampata che ora, approdata nelle nuove tecnologie, se la gode un sacco. Davvero si potrà fare molto. i giornali non moriranno ma cambieranno. oh sì, se lo faranno!
un caro saluto, loredana