La Repubblica anticipa oggi il
testo di un intervento che Roberto Saviano terrà a Milano. Ve ne porgo un lungo
estratto.
Nelle
lunghe discussioni con Vincenzo Consolo, Goffredo Fofi, Corrado Stajano, ho
appreso che la necessità prima dell´intellettuale è presenziare al dolore
umano, mantenersi sentinella della libertà umana, non delegare mai ad altro il
proprio imperativo di difesa della dignità umana. Non all´interno di una sorta
di nuova ideologia ma come unica capacità di fare del talento, della scrittura,
necessità: «Esiste la bellezza e l´inferno degli oppressi, per quanto possibile
vorrei rimanere fedele a entrambi», scrive Albert Camus. Fedele alla bellezza e
all´inferno dei viventi, è il canone estetico che preferisco.
La scrittura
letteraria è labirintica, multiforme, non credo possano esserci strade
univoche, ma quelle su cui credo debbano posare i miei piedi le riconosco.
Primo Levi, in polemica con Giorgio Manganelli che rivendicava la possibilità
di scrivere oscuro, affermò che "scrivere oscuro è immorale". Quando
Philip Roth dichiara che dopo Se questo è
un uomo nessuno può più dire di non essere stato ad Auschwitz. Non di non
sapere dell´esistenza di Auschwitz. Ma non si può più dire di non essere stati
in fila fuori ad una camera a gas.
Questa la potenza di quelle pagine. Libri che non sono testimonianze,
reportage, non sono dimostrazioni. Ma portano il lettore nel loro stesso
territorio, permettono di essere carne nella carne. In qualche modo questa è la
differenza reale tra ciò che è cronaca e ciò che è letteratura. Non
l´argomento, neanche lo stile, ma questa possibilità di creare parole che non
comunicano ma esprimono, in grado di sussurrare o urlare, di mettere sottopelle
al lettore che ciò che si sta leggendo lo riguarda. Non è la Cecenia, non è Saigon, non
è Dachau, ma è il proprio luogo, e quelle storie sono le proprie storie. Ed il
rischio per gli scrittori non è mai di aver svelato quel segreto, di aver
scoperto chissà quale verità nascosta, ma di averla detta. Di averla detta
bene. Orhan Pamuk, Salman Rushdie, Anna Politkovskaja hanno avuto in modalità
fortemente diverse la responsabilità di fare delle storie che raccontavano
vicende riguardanti ogni essere umano e non più circoscritte alla geografia di
un territorio. Questo rende lo scrittore pericoloso, temuto. Può arrivare
ovunque attraverso una parola che non trasporta soltanto l´informazione, che
invece può essere nascosta, fermata, diffamata, smentita, ma trasporta qualcosa
che solo gli occhi del lettore possono smentire e confermare.
Questa potenza non puoi fermarla se non fermando la mano che la scrive. La
forza letteraria continua ad essere questa sua incapacità a ridursi ad una
dimensione, ad essere soltanto qualcosa, sia essa notizia, informazione o
sensazione, piacere, emozione. Questa sua fruibilità la rende in grado di
andare oltre ogni limite, di superare le comunità scientifiche, gli addetti ai
lavori, e di andare nel tempo quotidiano di chiunque, divenendo strumento
ingovernabile e capace di forzare ogni maglia possibile. La potenza stessa che
faceva temere di più ai governi sovietici Boris Pasternak e Il dottor Zivago e I Racconti di Kolyma di Salamov che gli investimenti del
controspionaggio della Cia. Mentre i saggisti venivano isolati, relegati in
riviste accademiche, lasciati sfogare, gli scrittori dovevano essere eliminati,
le pagine nascoste, le parole rese cieche e mute.
Quando mi capita di ascoltare le litanie sulla vacuità della scrittura, o
quando io stesso mi lascio convincere dal vizio della letteratura come palestra
per onanisti con poco talento per la vita, penso sempre alla figura di
Kostylev, personaggio del libro di Gustaw Herling Un mondo a parte, un libro per anni marginalizzato e boicottato.
Kostylev era stato un uomo che aveva dedicato la sua vita alla causa
bolscevica. Poi iniziò a leggere Balzac, Stendhal, Constant e trovò in quei
testi "un´aria diversa, mi sentivo come un uomo che, senza saperlo, era
stato soffocato tutta la vita". Kostylev abbandonò il lavoro di partito,
concesse tutto il suo tempo alla lettura desideroso di conoscere le verità che
gli erano state nascoste. I libri stranieri che si procurava clandestinamente
lo fecero arrestare. La polizia segreta lo accusò d´essere una spia e
torturandolo fu costretto a confessare la mendace accusa. Kostylev si ustionava
di sua volontà il suo braccio esponendolo alle fiamme vive, preferiva avere un
braccio piagato e gonfio, piuttosto che lavorare per i suoi carcerieri. Nella
baracca dove, esentato dal lavoro, passava le giornate, non c´era attimo in cui
non leggesse libri. La lettura che gli aveva cambiato l´esistenza portandolo
nei campi di lavoro, continuò ad essere la maggiore espressione della sua
umanità in quel girone infernale.
Non mi interessa la letteratura come vizio, non mi interessa la letteratura
come debole pensiero, non mi riguardano belle storie incapaci di mettere le
mani nel sangue del mio tempo, e di non fissare in volto il marciume della
politica e il tanfo degli affari. Esiste una letteratura diversa, può avere
grandi qualità e riscuotere numerosi consensi. Ma non mi riguarda. Ho in mente
la frase di Graham Green: «Non so cosa andrò a scrivere ma per me vale soltanto
scrivere cose che contano». Cercare di capire i meccanismi. I congegni del
potere, del nostro tempo, i bulloni della metafisica dei costumi. Tutto diventa
materia. Danaro, taglio della coca, transazioni, assessori, documenti,
uccisioni, proclami, preti e capizona. Tutto è coro e materia, con registri
diversi. Senza il terrore di scrivere al di fuori dei perimetri letterari,
prescegliendo dati, indirizzi, percentuali e armamentari, contaminando con ogni
cosa.
Se devo scrivere devo farlo in emergenza, dove le bestemmie sono più sincere
delle preghiere. E dove la realtà ha slabbrature maggiormente in grado di
mostrare verità. Il rap in Europa sembra essere anni luce più avanti della
letteratura nella capacità di fare della parola parte della carne del presente,
rapper parigini che si trasferiscono a Napoli per raccontare il mediterraneo,
filippini e gallaratesi che si lanciano in slang comuni e codificano nuovi
sguardi, foggiando nuove grammatiche del racconto. E narrano di un mondo dove
tutto è meccanismo di potere, danaro, affermazione, dove la politica è sempre
tradimento e dove la parola è il discrimine capace di raccontare tutto questo
senza negarlo, senza considerarlo inevitabile ma sentendo necessaria la
bellezza di narrarlo e di corroderlo. Con le parole e con i succhi gastrici.
Molta scrittura invece sembra fare tarantelle intorno alle questioni centrali
del nostro vivere. Tutto sommato non mi interessa far evadere il lettore. Mi
interessa invaderlo. E mi interessa la letteratura più simile al morso di
vipera che ad un acquarello di fantasie. Arrovellarsi sui territori delle
definizioni di ciò che è letterario e di ciò che non lo è, tra combattimenti di
accademici e filologi, ruzzolando nell´aia degli scrittori, può essere
un´attività infinita senza soluzione alcuna. Una risposta credo risolutiva la
diede l´autore del Viaggio al termine
della notte e di Morte a credito.
Una giovane giornalista andò a trovare un ormai vecchio, isolato e sempre più
accidioso Louis Ferdinand Céline. Andò a Meudon, a pochi chilometri da Parigi,
dove lo scrittore si era rintanato con sua moglie e i suoi animali. La
giornalista dopo le solite domande di circostanza trovò il coraggio e gli
chiese, quasi come se stesse pretendendo che lo scrittore gli svelasse il segreto
del suo mestiere: «Ma quanti modi ci sono di fare letteratura?». Céline
rispose, secco senza titubare: «Ci sono solo due modi di fare letteratura». La
giornalista così si aspettava lo scibile umano delle lettere divise in due
correnti e Céline diede la sue sintesi insuperabile: «Fare letteratura o
costruire spilli per inculare le mosche».
Diamonds. Sai che a volte la tua ironia, detto con affetto, è decisamente fuori luogo?
(lo so loredana.è che fino a domenica ho troppo tempo a disposizione.Ma dal 14 cambia tutto,come se mi dovessero togliere il gesso.Fidati.Un bacio,con rinnovata stima)
“Una blogosfera senza WM3 non è una blogosfera!” (Da “Piccoli blogger”)
wm3 si incazza ma non dovrebbe. nessun rifiuto della complessità,della molteplicità, del questo E quello, dell’analisi non comparativa e meditata. però mi piace la precisione, e non posso dire che saviano è un romanziere perchè altrimenti dovrei dirlo anche di faletti.
Saviano è un finissimo narratore e molto altro. Smetti di inscatolare e/o rompere scatole:-/
e molto altro.
de gustibus, lucio.
“Non sono mai stata altrove che malata”
(Flannery O’Connor – Sola a presidiare la fortezza. Lettere-Einaudi)
Vedo che qui va molto il pacchetto di mischia.
Premetto che non ho letto (urca, una rima!) tutto il colonnone dei commenti, ma solo il pezzo di Saviano. Me ne scuso.
Stimo Saviano, da sempre, non è un mistero, ma stavolta, bhè, scrivere tanto a proposito di chiarezza e poi tirar fuori un mago della forma come Celine, beh mi pare un po’ contraddittorio. Che senso ha poi prendersela con un grande autore come Manganelli? Tra l’altro, mi perdoni Roberto, storpiando ad usum delphini tante sue teorie? Non mi pare che il problema sia quello di contrapporre Levi a Manganelli, via Celine poi mi pare del tutto improbabile, quando parlava di costruire spilli per inculare le mosche, Destouches certo aveva più in mente certi ‘politissimi’ suoi contemporanei francesi che la scrittura di ricerca.
Lui stesso, Saviano intendo, ed è la prima volta che intervengo al proposito, se guarda bene vedrà stagliarsi dietro al suo Camorra, non solo Levi ma anche quel ‘piccolo genio’ che fu Mastriani e che Roberto certo conosce. Forse mi sbaglio, ma certamente si sbaglia anche lui a provare a far la guerra a Manganelli utilizzando proprio Celine.
Unsaluto a voi tutti, alla Lippa e naturalmente a Roberto.
Lello Voce
Urca! Refuso: Camorra sta per Gomorra, ovviamente. E’ stata una sorta di metonimia freudiana.
se potete saltate anche qualche beh qua e là
saluti
lv
la voce *Francesco Mastriani” di wikipedia è opera dell’Anfiosso, il miglior tasto della rete (e fino recensore di Gomorra).
@lello voce
thank you
Io apprezzo molto Roberto, il suo coraggio di scrittura e con lui condivido un maestro: Vincenzo Consolo. Ma proprio perché maestro mio è Consolo, non posso accettare l’ingenua riduzione del discorso e la banalizzazione sui cosiddetti scrittori “oscuri”… banale luogo comune! Hanno rivoluzionato la letteratura più gli oscuri autori di nicchia che gli scrittori immersi nel sangue e illusi di muoversi dentro la storia, usi a una scrittura d’accatto.
L’emergenza è di tutti…
In lode della scrittura oscura e facendo seguito ad un intervento di Roberto Saviano
http://lellovoce.altervista.org/spip.php?article933
Tutto sommato non mi interessa far evadere il lettore. Mi interessa invaderlo. E mi interessa la letteratura più simile al morso di vipera che ad un acquarello di fantasie.
Splendido questo passaggio. Intensa la trattazione.
Non posso che ringraziarti per l’occasione di questa lettura molto intelligente.
Buona serata
Anathea