L'ECCEZIONE DI FANUCCI

Mi contraddico, ma ho l’influenza e mi perdonerete. Avrei voluto parlare d’altro (per esempio di Alessandro Piperno e di Con le peggiori intenzioni- sì, lo so, ne ha scritto ieri D’Orrico ma la cosa non mi tange, il libro merita) e soprattutto si era detto di abbandonare il Corriere della Sera alle sue discussioni parallele su letteratura, popolare, mercato eccetera. Però. Dal momento che più volte si è chiesto, giustamente, nei commenti, l’intervento di un editore, e dal momento che stavolta l’editore è intervenuto, mi sembrava giusto pubblicare l’articolo di Sergio Fanucci. Poi basta, sul serio.

Agli Stati Generali dell’Editoria, che si sono svolti a Roma nel settembre 2004, sono intervenuto con l’intento di spostare la discussione cultural-editoriale su di un terreno che appare ostico alla comprensione dei più: il mercato. Certa critica, di destra o di sinistra che sia, ragiona in termini puramente intellettuali, evitando il confronto con l’attuale sistema editoriale fatto di grandi case editrici e catene di librerie da una parte e di editoria di progetto e librerie indipendenti dall’altra. È facile e provocatorio trincerarsi dietro una disamina, infondata e sterile, chiedendosi se il bestseller appartenga a una categoria popolare o meno. Basti pensare allo scoop patinato dell’autore di successo, Alessandro Baricco, con tanto di accompagnatrice ufficiale ex Rizzoli, passato da poco alla casa editrice Fandango: entrambi appartengono a quella sinistra in grado di sciorinare bestseller, e non certo nazional-popolari. Ma dietro a tale scelta c’è la consapevolezza, almeno credo, di volersi misurare con un sistema dove chi controlla la distribuzione (i grandi editori) o le grandi superfici librarie (le catene) contribuisce in modo determinante al successo di un libro. Se il Codice da Vinci lo avesse pubblicato Fanucci, avrebbe venduto ugualmente più di un milione di copie? Penso proprio di no. Come non penso che un Baricco possa cambiare gli equilibri. Rassegnatevi, gente. Siamo finiti in un mondo, e Dick ci aveva avvertito, dove l’egemonia economica controlla non solo la politica, ma anche il nostro sapere e il suo sviluppo, pubblicando libri, «replicando i formati, riducendo la diversità dell’offerta e abbassando il tasso d’invenzione» editoriale. Ma soprattutto produce «strutture mentali, ideologie, luoghi comuni e anche qualche controargomento ad hoc» (cito Carla Benedetti).
Chi è oggi al governo è frutto e causa di tale nuovo avvicendamento culturale e non c’è da meravigliarsi se la società, e lo stesso valga per la realtà editoriale, sia molto meno immaginativa. Ma a tutto ciò c’è un rimedio, depositato, inconsciamente o meno, nella mente di chi legge e di chi lavora nello stesso campo ma con altri scopi. Da sempre l’editore si è rivolto al lettore, affidandogli l’esito e la condivisione di una sua proposta, di un suo progetto editoriale, di un’invenzione, del proprio intuito. E da sempre il lettore più attento ed esigente si è sentito parte attiva di quel progetto che è alla base dell’affermazione di qualsiasi casa editrice. Rivolgere al lettore oggi uno sguardo di degnazione, non fa altro che mostrare l’arroganza e la presunzione tipiche di chi si sente depositario del sapere, in grado di influenzare le scelte, usando il potere della forza economica o dell’accesso alla stampa. Ma l’identità dei nostri lettori, pochi che siano, e il successo di sigle editoriali cosiddette «minori» ma non inferiori, ci dice il contrario.
Il lavoro svolto quotidianamente da una serie di case editrici con un forte progetto editoriale, che non «privilegia il lettore occasionale rispetto a quello forte» ma anzi lo coinvolge, che non «crea personaggi più che scrittori» e lavora con essi per crescere insieme, che non «mortifica la produzione di lunga durata», ma anzi alimenta quella «di catalogo» (cito Giancarlo Ferretti) sono garanzia dell’espressione di un pluralismo intellettuale sempre meno percettibile, di una forza di idee innovative e di una preziosa risorsa per il nostro Paese, come ha detto il presidente Ciampi.
Certo è che per fare tutto ciò ci vogliono, oltre ai capitali, strutture e capacità organizzative, una grande fantasia, esperienza, professionalità e un’inesauribile passione. E soprattutto ci vogliono lettori e librai attenti, vogliosi di sostenerle, capaci di scovare «quel» titolo in uno scaffale, magari messo lì di costa, quasi invisibile. E scrittori, non certo divi televisivi o del pallone, che sappiano distinguere il lavoro di un editore da quello di un’industria editoriale, convinti che la propria gratificazione non si ottiene solo con il denaro, ma con il rispetto e il riconoscimento di un valore culturale, capaci di schierarsi dove c’è una sola apparente debolezza. Forse chiedo troppo, forse, come dice Ray Bradbury, «ho sbagliato pianeta»”

47 pensieri su “L'ECCEZIONE DI FANUCCI

  1. Ma io mi chiedevo, ultimamente: non si potrebbero mettere insieme, un bel po’ di piccoli editori “seri” (leggi “vivi”)
    (chessò: Pequod, Minimum, Fazi, Meridiano Zero, Fandango, Marcos y Marcos i primi che mi vengono in mente) per aprire una catena di librerie alternative che privilegino la qualità?
    Ho avuto una visione: una libreria dove si vendono anche i best seller (sennò chiudi i battenti dopo un mese) ma che dedichi almeno la metà degli scaffali alla piccola editoria intraprendente e interessante. Un punto di riferimento per i lettori forti.

  2. Fanucci ha una libreria, ma non ha un progetto “eversivo”.
    Fanucci ha una libreria simile a feltrinelli (almeno, quella di Roma che conosco io): omninus, e che mette in risalto semmai solo il catalogo (anche bello, per carità) di Fanucci.

  3. Grazie Adolf, sì, proprio così. La Rowling è una grande scrittrice, che sa parlare dell’adolescenza e agli adolescenti. Harry Potter è uno di quei best seller che conquistano il pubblico con la forza della fantasia, non con i formati narrativi collaudati.

  4. Cara Loredana,
    sono d’accordo con te. Lasciamo perdere la letteratura popolare (argomento che però mi pare abbia introdotto proprio tu, rispondendo a un mio pezzo che parlava di “Genocidio culturale”).
    Sono così d’accordo che ho postato su Nazione indiana un pezzo che si intitola “Cosa c’entra la letteratura popolare” (vedi qui : http://www.nazioneindiana.com/archives/001021.html#more).
    E’ uscito sul “Corriere della sera” del 9 febbraio, con il titolo “La critica militante? Cercatela nella rete”. Dopo quello di Arbasino e prima di questo di Fanucci. Forse ti è sfuggito. Ho forse lo hai saltato perché non ti pareva pertinente. Però le frasi che Fanucci riporta qui sono tratte da quell’articolo, e allora mi pareva giusto segnalartelo.
    Ne approfitto anche per dire che Fanucci secondo me ha ragione, e che il suo sforzo di allargare il quadro dell’analisi andrebbe preso molto sul serio. Fanucci sta facendo da anni un lavoro editoriale interessante e molto importante proprio nel campo della cosiddetta “LETTERATURA DI GENERE”, non solo pubblicando testi della grande fantascienza, come Dick e Ballard, ma anche lavorando sull’oggi con spirito di ricerca. I suoi libri si rivolgono ovviamente a un pubblico “popolare”. Eppure non è lo stesso pubblico a cui si rivolge Mondadori pubblicando Dan Brown, o Baldini Castoldi Dali pubblicando Faletti. Vogliamo incominciare a distinguere le cose?
    A distinguere innanzittutto tra i libri. Dan Brown e Faletti non sono Dick e nemmeno la Rowling. E a distinguere anche tra editoria e editoria?
    Negli anni 70 il postmoderno è riuscito a far fuori l’elitismo modernista e la sua distinzione tra letteratura di genere e letteratura d’autore. Ma a godere i frutti di una tale battaglia dovrebbero allora essere oggi editori come Fanucci (e molti altri impegnati in un lavoro serio e di ricerca nel campo della letteratura di genere). Invece non è così. Se li gode l’editoria mutante. E c’è addirittura chi usa quell’argomento postmdernista per giustificarla. Così quell’editoria si garantisce anche un’impunità. O per lo meno ci prova. Depistaggi.

  5. io, con tutta la stima che ho di loredana, continuo ad essere d’accordo con carla e questa frase
    “descrivere il funzionamento delle macchine di potere nel mondo contemporaneo significhi essere vetero-francofortesi. O che certi libri non si possono criticare perché sono popolari. Altrimenti sei un umanista vecchio stampo con un’idea elitaria di cultura e che guarda con disprezzo la letteratura di genere”
    se solo fossi più incoscente me la tatuerei sulla schiena…
    nello specifico (post di oggi) segnalo che il problema dei best sellers è che nelle librerie indipendenti non si vende più (come prima) perchè quando lo si può trovare con il 15% di sconto al supermercato su 2 hardcover ti salta fuori un tascabile!!
    librerie del genere (solo editori medio-piccoli)comunque esistono e io ho rischiato di farne parte (interno 4)
    fanucci parla di librai e non di iper e ciò mi consola si vede che altri stanno sbagliando…

  6. Carla Benedetti scrive:
    “Ho forse lo hai saltato…”
    Siamo ben sotto il livello della letteratura popolare, mi pare. Siamo alla prima elementare.
    Comunque, la replica della Benedetti al Corriere è stata postata dalla Lipperini fra i commenti di due o tre post fa, e commentata da un po’ tutti con dovizia di particolari.

  7. Mah, parole su parole, quelle di Fanucci. Basta guardare il catalogo, e la strage operata su Dick, antologie su antologie su antologie che richiamano ad altre antologie ancora, ad esempio. E poi, io ancora mica l’ho digerita ‘sta storia di Serge Lehman pubblicato con 2 libri, gli altri annunciati e mai pubblicati. Non è serietà. Poi le parole son parole, e anche quelle di Fanucci. Aveva iniziato bene, col piede buono, e adesso non mi piace più, in ogni senso.
    Saludos.
    Iannox

  8. Carla Benedetti dice: vogliamo distinguere? Ha assolutamente ragione. Vorrei però chiederLe: ma perché pensa che qui, o nella critica che resiste, o su nazione indiana, o non so dove (all’università?), si possa e si debba distinguere, mentre il mercato (grande editoria/ grande distribuzione /grandi giornali) non è per principio capace di distinzione, ma capace solo di produrre una monocultura, cioè nessuna autentica cultura? Se d’altronde pensa che il suo discorso non sia catastrofista o apocalittico, è perché suppone che l’atto di resistenza della critica (e non solo) abbia qualche chance contro la monocultura da best-seller. Di che genere di chance si tratta, visto che non si propone di abolire il mercato editoriale? Non sarà qualcosa che dovrà ‘attraversare’ quel mercato, permearlo e influenzarlo in qualche modo, per farvi le necessarie distinzioni? E allora perché rappresentare quel mercato come uno schiacciasassi che tutto fagocita?
    (Se LaLipperini su Repubblica distingue, il mercato che fa, la licenzia)?

  9. gentile de benedetti
    intende forse che la rowling è la versione dan brown per “ragazzi”?
    se è così forse vuol dire che non l’ha letta con la dovuta attenzione. la rowling è GRANDE. altrimenti, mi sono sbagliata. sorry. ;)))

  10. (Postilla)
    O c’è movimento perchè noi lo percepiamo, in quanto lettori forti e addetti ai lavori e aspiranti scrittori e interessati all’editoria in genere?
    Ho come l’impressione che di tutte queste discussioni e polemiche giunga un’eco davvero smorzata, nel mondo reale. Però, già che repubblica e corriere se ne occupano, è qualcosa.

  11. Chiedo nuovamente venia per la poca lucidità, ma provo a rispondere a Carla. Parte del tuo articolo è stato effettivamente segnalato qui, se non sbaglio lo stesso giorno della sua uscita. Non lo avevo postato per due motivi: primo, banalissimo, mi era veramente sfuggito; secondo, concordavo con quanti, fra i commentatori, ritenessero esaurita la discussione. Tanto che, oggi, ho premesso che facevo un’eccezione per Fanucci proprio perchè da più parti si era chiesto il parere di un editore.
    Ciò detto, ho come idea che la discussione non sia esaurita, e mi fa piacere tornare su alcuni punti.
    Vedi, Carla, non abbiamo la stessa opinione del postmoderno: per me è stata una grande occasione di libertà (dagli schemi, dalle contrapposizioni che era giusto superare) con ovvi eccessi. Ma questo, temo, è un tempo in cui gli eccessi vengono limati e a volte negati, a posteriori, un po’ su tutti i fronti, dall’arte al sociale (cito incidentalmente, ma vorrei tornarci, il mea culpa di parte del femminismo storico sull’aborto. O la fretta con cui sembrano volersi chiudere alcuni conti aperti dagli anni Settanta).
    Ora: è molto probabile che tu abbia molta ragione quando scrivi che l’editoria mutante si gode alcuni frutti di quelle battaglie. Ma grazie a Dio li godono anche i lettori: non avremmo avuto accesso a tanta parte della produzione di Dick se fossimo rimasti ai giudizi critici che se ne diedero ai tempi (e temo che vada dato atto al cinema in primis, di averlo reso popolare, sia pur tradendolo). Così come non avremmo avuto la santificazione di Salgari da autore di robetta a grande scrittore se alcuni degli ex ragazzini che lo leggevano di nascosto, crescendo, non avessero intrapreso una battaglia in suo nome. Una cosa simile è avvenuta, per dire, con il fumetto: che oggi viene considerato arte, ma fino a non moltissimi anni fa era carta straccia e nociva al pari dell’animazione giapponese (almeno fino ai premi dati a Miyazaki). Eccetera.
    L’editoria mutante si impadronisce sempre dei fenomeni: tu citavi Harry Potter, giustamente. Ma conosci bene quanti cloni di Potter circolino in Italia, a ricasco del fenomeno. E quanti libri “laterali” e non di valore vengano pubblicati per cavalcare la tigre: fenomeno, proprio per quel che riguarda Potter, da cui non è esente neanche il caro e da me amato Fanucci, che per questa frase mi toglierà nuovamente il saluto, ma tant’è. Avviene, è mercato, qualsiasi editore, e scrittore, immagino, scrive e pubblica per essere letto.
    Questo non significa che io non voglia vedere quanto c’è di pericoloso, e c’è, e su questo mai ti è stato torto, nelle logiche attuali della grande editoria e della grande distribuzione. Semplicemente, c’è anche molto di buono che parallelamente va avanti, e addirittura amplia i suoi spazi: lo ripeto, scrittori che pubblicano più facilmente e persino più facilmente (non tutti) trovano attenzione critica e giornalistica rispetto a dieci anni fa. Tutto qui. Poi, certo che Dan Brown non è Dick, e non lo è neanche il povero Faletti (su cui divergiamo, ma va bene così). Ma per me continua a non essere un male la coesistenza: Faletti non toglie lettori non dico a Moresco, ma neanche a Gianni Biondillo. Ed è anzi possibile, che da Faletti si passi a Biondillo e forse a Moresco. Quel che mi sta a cuore è che non tornino a chiudersi quelle saracinesche che proprio il postmoderno aveva contribuito a far alzare: ed è questo che spero, a dispetto di qualche cigolio sinistro che sento in questi ultimi tempi.
    Se vuoi, parliamone ancora. O, come caldeggiava Mario Bianco, trasformiamo tutto questo in un pdf, magari. Ad uso e consumo dei non lettori del Corriere 🙂

  12. “Semplicemente, c’è anche molto di buono che parallelamente va avanti, e addirittura amplia i suoi spazi: lo ripeto, scrittori che pubblicano più facilmente e persino più facilmente (non tutti) trovano attenzione critica e giornalistica rispetto a dieci anni fa.”
    Proprio vero. C’è movimento. Ma anche tanta strada da fare, vero?

  13. Vorrei riflettere su un ulteriore soggetto che ricopre, in questa vicenda, un ruolo forse non da poco: il distributore.
    Mi e’ capitato di scrivere pochi libri – tentativi di divulgazione su temi come i diritti umani – ottenendo recensioni e segnalazioni di cui non posso affatto lamentarmi.
    Non mi aspetto il posto in vetrina, ma ho dovuto spesso sentire amici che, da varie parti d’Italia, sostengono di non riuscire a trovare una copia che sia una di quesi titoli.
    L’editore – e non ho motivo per non credergli – afferma che e’ il distributore a non crederci molto, e le recensioni (tante o poche, autorevoli o meno) gli fanno appena il solletico.
    Penso sia un problema che non riguardi solo me. Ma penso anche che la libreria resti il luogo principale dove un lettore sceglie se comprare o meno, senza nulla togliere a recensioni o a trasmissioni come Fahrenheit.
    Confesso: e’ un meccanismo, quello della diffusione libraria, che mi sfugge sempre piu’.

  14. Caro Marco, io sono molto d’accordo con te. Rispetto al secolo scorso, siamo messi meglio. Altro che rimpiangere i bei tempi in cui “Salgari avvillupava i lettori tra le spirali della fantasia”. Numericamente oggi è data la possibilità a più persone di “parlare di editoria”, “di scriverne”, di “comunicare”. Che è sempre una cosa buona. E’, questo un elemento positivo della recente “trasformazione produttiva” – legata all’informatizzazione. Detto ciò, nell’editoria così come è concepita oggi – meccanismi distributivi, margini di guadagno, monopoli produttivi, concentrazioni azionarie nelle mani di pochi – ci sono elementi che producono effetti deleteri. Si mira al guadagno. Ma questo meccanismo – per cui si mira al guadagno, e c’è la concorrenza, e il cliente corre all’iper perchè lì il libro lo paga col 25% di sconto – non è esclusivo dell’editoria, non è caratteristico della “cultura italiana di questi anni”. Succede la stessa cosa anche se – invece che di libri -parliamo di pannolini, o di pane o di brioches. Il “capitale monopolistico” per usare un’espressione mitica è così. E’ fatto così. Va giù pesante, dicono a Milano. E la cosa più grave è che va giù pesante, pesantissimo, pur avendo trovato dentro di sè tanti rimedi. Lui no, in nome del guadagno se può, letteralmente, ammazza. E lo fa gratuitamente. Non sto passando a un altro argomento, non sto andando fuori tema. Mi sembra anche un tantino avventato dire, “Sì, ma un sistema che ammazza la cultura è più grave di tutto!”. Per uno/a che sta per strada è più grave sentirsi dire, “Sono preoccupato oer lo stato della cultura oggi in Italia!”, e lui è senza casa. Quello che voglio dire è questo: continuare ad attaccare il singolo “settore” serve a poco. Se si comincia con la lista dei dolori – e dei settori che non funzionano – non si finisce più, e soprattutto si arriva al pardosso. Come quello che fa chiedere al librario Dado – di non andare nei supermercati. Ma perchè – Dado – uno dovrebbe venire da te, se non ha soldi, ed evitare uno sconto notevole? Perchè? Come fai a chiedere una cosa così? Industriati tu, invece perchè più gente venga da te. Non puoi accusare chi compra Vespa di essere un cretino. Studia di più tu, organizza più incontri nella tua libreria, fatti invitare tu in un ipermercato, incatenati al supermercato e porta l’etteznione su dite, se il problema ti sta così a cuore, fai il ‘situazionista’ se pensi che possa servire…elabora qualcosa, invece di insultare il lettore di Vespa! Anche perchè se crei la “frattura” – cretini/ intelligenti – ti posso fare un elenco, non solo di librai deficenti, ma di crittori, recensori, professori, giornalisti completamente idioti. E allora, come la mettiamo? Se tu mi parli di lettori telecomandati, io ti parlo di “professori corrotti”, “librai rosiconi” “giornalisti venduti” “recensori raccomandati”. E allora? Lo so che è difficile, fare riunioni con altri librai, andare a spulciare nelle leggi, per vedere se puoi ottenere dei finanziamenti, o nel caso uno/a faccia il critico frequentare – per esempio – dei circoli di lettura e portare i lettori uno a uno dalla propria parte. Ma io non vedo altra risposta. Oggi – ed è anche la bellezza di questi anni, secondo me – a differenza che una volta, il nemico è dappertutto e da nessuna parte. Ma, come ieri, non vengono fatti sconti. Non sono ammesse ingenuità. E allora, le cose vanno dette con chiarezza. Giorno per giorno si costruiscono le “battaglie”, e la sera si fa il bollettino. Perchè, anche se ci raccontano che sono più di cinquant’anni che l’Italia non è in guerra, mi pare che di “temi in cui la soluzione è pacifica” ce ne siano pochi. davvero.

  15. Il posto: sei da applausi, chiunque tu sia. Dado è uno che ci crede, intendiamoci. Si legge bene. E gli faccio tanto di cappello al di qua del monitor. Stiamo leggendo tante cose interessanti. Ma qui, cara Lippa, secondo me, o si fa un consuntivo o si muore. Nel senso che questa discussione così interessante, istruttiva, spesso chiarificatrice, bisogna organizzarla. Renderla più pubblica. Farne una sintesi (magari di 120 pagine, a esempio). Se rimane tutto qui dentro, tra 1 settimana il mondo – e noi con esso- sarà passato ad altro. Ma in questi giorni si è aperto lo squarcio, a partire dall’intervento di Carla Benedetti. Il blog io lo vedo funzionare così, è cioè: la fiammata prepotente delle idee, delle testimonianze: ma poi questa fiammata va potenziata da altre parti. Qualcuno (non io, non ne sarei capace) dovrebbe prendere tutta la discussione, tutti gli interventi; e chiaramente selezionare – nel senso che le beghe da cortile possono fare colore, al massimo. Questa che si sta facendo qui, molto più che nei media tradizionali, è l’analisi collettiva. Ci voleva, a mio avviso. Ora sarebbe utile, molto utile per tutti, procedere ad una sintesi.
    Abbracci a tutti

  16. Supertrooper, neanche io so chi sia tu. Ma ti ringrazio di cuore. Allora, Dado perchè ce lo tieni nascosto che hai cambiato faccia al “capitalismo” a…dove stai?

  17. se c’è una cosa di cui vado fiero sai cos’è? esattamente accanto a me c’è un supermercato. con le buone e con le cattive li ho convinti a non vendere più libri, che non aveva senso e occupare in modo più proficuo quello spazio…
    io ieri ho messo un link che parla delle’effetto wal mart, lo consiglio vivamente (che poi non sia una cosa limitata all’italia e ai libri lo già scritto ieri).
    marco: interno 4 c’è di sicuro a rimini a bologna dovrebbe (se c’è ancora) e alcune al sud. è un’idea di nda (nuova distribuzione indipendente di massimo roccaforte)

  18. Per me Fanucci sta a piangere che il Dan Brown l’ha pubblicato la Mondadori (adesso anche tra i Miti a 5 euro) e non lui, così non gli sono venuti in tasca soldi. O perlomeno pochini. Ma che diavolo dice Fanucci? Pare proprio uno di quei dialoghi strampalati dickiani. Chissà se lo metterà nella collezione dickiana, tra l’altro piena ma piena zeppa di refusi che manco Novella3000. E poi, i prezzi di copertina, allucinanti. Prima era in edicola – in modo fallimentare -, adesso in libreria gli stessi libri con la differenza che costano almeno 3 volte tanto rispetto a quand’erano in edicola, e dove stavano bene che chi li voleva li comprava e chi no no e basta. Progetti iniziati e mai portati a termine, un Secondo premio Solaria mai pubblicato, giusto per dire. E questa sarebbe editoria di progetto? Certo, il progetto capitalista di Fanucci, il meno alternativo degli editori. Messa così ci credo, ma non raccontatemi favoline alla Rowling perché sono cresciuto e da un pezzo e al Fanucci nel bosco non ci sto attento ma molto attento.
    Iannox

  19. sai perchè ci sono riuscito? (non a cambiare faccia per carità, ma a togliere i libri sofferenti dagli scaffali)
    per una semplice ragione: avevo davanti una faccia, una persona, un ragazzo della mia età, ci siamo presi un caffè e gli ho spiegato come la vedevo. tutto qui.
    se avessi avuto davanti una *corporation* senza faccia e senza cuore l’avrei prea nel culo, tanto è un crimine culturale senza vittima 🙂
    [ribadisco: l’iper è un cane che si morde la coda, riflettete…]

  20. Miss Lipperini, davvero: perchè non propone un bell’articolone per il suo giornale, una cosa o da prima pagina (“le idee”), o almeno da prima di cultura, che – come suggerisce supertrooper -riassuma e ampli e renda di dominio pubblico (ancor di più) tutte le belle cose dette fin’ora?
    In effetti l’impegno intellettuale, la buona letteratura, l’impegno dei piccoli editori, sono temi davvero importanti. Certo che se rimangono (più o meno) confinati nella blogosfera… si sa, è un mondo quasi a sè stante, piuttosto impermeabile, a chiusura stagna… insomma, magari può rendere la cosa più mainstream.

  21. Ma sai, Dado, quelli bisogna considerarli punti di vista. Se, no, altro che incazzarsi. In questo senso dicevo “dedicare energie piuttosto a quello che che ci piace”. Se no, hai voglia a incazzarti, quando leggi i giornali!Uno scherza. Ma meno male che esistono i blog. Come quando – a proposito di forma – Benedetti dice, ‘pubblico da stimolare’. Da ‘stimolare’? Me lo vorrei scegliere da me, da chi farmi ‘stimolare’ se permetti. Ma che modo di dire è? In quest’espressione – e mi dispiace dirlo – c’è un modo di considerare “il pubblico” – e lo ripeto, mi dispiace, perchè l’ho già detto, io ci vedo un disagio vero in quello che dice Benedetti – un modo di dire che fa il paio con quelli che fanno le indagini di mercato per capire quanto lo possono “spremere” il pubblico. E mi dispiace, giuro…

  22. d’orrico. (personalisssssimo punto di vista)
    d’orrico è ottimo quando parla di roth.
    fa bene quando parla di biondillo, la versione di barney, andrea vitali, ongaro, chase, sallis e piperno (mi fido di genna) e altri.
    esagera quando parla di faletti, lansdale (nel senso che lansdale è ottimo ma romanzo perfetto è un filo troppo).
    superfluo quando parla di “polvere e stelle”, e fin troppo cattivo quando liquida wallace…
    [fanucci pubblica anche lansdale, thompson, goodis]

  23. Per Marco e Supertrooper: purtroppo a impossessarsi della cosa, a suo modo, è già stato il Corriere della Sera. E poi su un quotidiano sarebbe difficile riportare la discussione, sia pur sintetizzata, nella sua interezza. Però ci penso, e pensateci anche voi, dai.

  24. Invece, scusate, siccome nel ‘tempo libero’ – sempre – sto caratterialmente attaccata al computer, volevo sapere. Il libro di Piperno è già uscito? E Gli Schwarz?

  25. …nel senso che riproponiamo “il problema”: chi ce lo distribuisce? Lo vendiamo porta a porta? Chi lo stampa? Ma no. Secondo me è meglio se lasciamo andare le cose così. O no?

  26. Il Corriere s’è impossessato della cosa, Loredana, hai ragione. E come? Con quattro righe di Fanucci. Il cerchio si chiude. E così? Con l’illuminato parere dell’editore? E buonanotte al secchio? Ci sarebbe piuttosto da mettere in “scena” un istant book, dal titolo: “Viaggio al termine della letteratura italiana”, una cosa così. Lo pubblicherebbe Fanucci? Ne dubito. Chi lo pubblicherebbe? Qualcuno che lo mettesse in rete, tanto per cominciare. Copyleft e tutto quanto, scaricabile ecc. E poi un editore piccolo ma tosto si trova, per la versione libraria. Un’operazione collettiva guidata da uno o più personaggi che hanno tempo da perdere ma in definitiva da guadagnare. Gente che conosce le dinamiche della blogosfera, ovviamente; non Antonio Pascale, con tutto il rispetto, che fa l’antologia delle riviste anche online senza aver capito proprio le dinamiche delle medesime, senza esserci dentro con tutti e due i piedi, nelle dinamiche. Qui avremmo il monitoraggio (non solo dati, non solo moda, non solo posizioni precostituite, non solo contraddittori alla fine volatili) della situazione letterario-editoriale italiana all’alba del 2005. Con un lavoro di editing di grande responsabilità (editing nel senso di selezione) si metterebbe a disposizione, IN UN’UNICA SOLUZIONE, tutto l’affaire. Salteremmo dal giornalismo,cioè dal “pantano” del giornalismo – dico pantano perché il giornalismo culturale o spacca il culo in 4 o smuove solo la curiosità dei lettori forti) alla saggistica in tempo reale. Se po’ ffà. Questa è una proposta seria.
    Ps: non sono un editore, purtroppo, se no mi sarei già attivato col vs consenso.
    Pps: Il posto, non c’è bisogno di conoscersi per capire se si viaggia o no sulla stessa lunghezza d’onda. 🙂

  27. Noi si è partiti molto bene con il progettino, ora che è collaudato fammi sapere se ti interessa farne parte. Ho lasciato l’email. Fammi sapere.
    Damiano.

  28. Un plauso per Franco, ancora una volta.
    La discussione che ha linkato è molto più interessante di quella che stiamo facendo noi.
    Esorto l’amico Fanucci a intervenire pure in quella, visto che si parla di culti, avant-pop e fantascienza.
    Ennesima riprova che la letteratura “di genere”, più sembra folle e più invece è neo-realista, permette di leggere il mondo, mentre spesso la letteratura d’auteur a malapena si fa leggere.

  29. …non è che proprio non sappia la matematica. Metti 20 euro ogni tot (ogni mese) e i libri si comprano assieme. Questo volevo dire.

  30. …e comunque sono d’accordo con te sul fatto che la letteratura d’autore a malapena si faccia leggere – però fai qualche nome, perchè magari io penso a una cosa, tu a un’ altra, diciamoci. “Per esempio quello schifo! perchè quell’altra cagata?” Ecco, io me la immagino così una Cooperativa Lettori Accaniti. Che se ti danno un libro coi refusi e costa 19 euro, tu puoi dire, “Allora lo pago la metà o te lo tieni.”, e quello ti da ragione perchè sei riuscito a fare un accordo prima, come categoria. Oppure delle “riunioni” – vado pazza per le riunioni, che sono il contrario delle trombonate, conferenze – quelle in cui la “base” spara un sacco di cazzate, dice un sacco di “luoghi comuni” ti racconta i fatti suoi, c’è un vecchietto in un angolo che non dice mai niente, si hanno pochi soldi, e tutte le volte si decide di comprare un libro, e lo si fa girare in 5, così con 20 euro hai letto il libro (Dan Brown) che ti incuriosiva, e ti è costato 50 centesimi. Cazzate così. Ecco, l’effetto “lotto”. “Di sabato mattina si esce!”, mi dicono qua. E siccome io mi sono fissata con la CLA “Resterai da sola!”, mi stanno dicendo. “Ma che da sola? Ho la Cla!”. dico io.

  31. Vedi Wu Ming, è che abbiamo problimi diversi. Tu sei un autore, e quindi parli dal punto di vista di chi scrive, io sono “un’accanita lettrice” e parlo quindi dal punto di vista di chi legge. Non mi ricordo chi diceva che dopo un po’ la discussione si “irrigidiva “- e gli dò ragione – non è questione di fronti contrapposti. Potremmo parlare dei raeliani tra due battute se stiamo parlando per esempio, del prezzo del libro? Sono d’accordo con te e con Franco. Ci sono molte cose interessanti in quell’articolo che ieri – prima di uscire, finalmente – sono corsa a vedere. Ma a me in seguito alla discussione che abbiamo fatto con Dado, mi era venuto in mente che si potrebbe fare una CLA (Coooperativa Lettori Accaniti) una specie di sindacato dei lettori. Una cosa che trova il tempo che trova, esattamente come i raeliani. Ma è per dirti che siccome ognuno va per la tangente, qualsiasi cosa diventa valida. Oppure niente. Che forse è la verità. Forse il blog è come il lotto. E fra un po’ verremmo tutti abbandonati dalle nostre famiglie…

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