MODESTA PROPOSTA

Sono in tour pugliese, fra Andria, Ruvo, Bisceglie, Bari (domani alle 19), Lecce (venerdì). Ma ho avuto nel frattempo modo di riflettere sulla questione 194.
Nell’intervista rilasciata a Repubblica sabato scorso, Emma Bonino metteva giustamente in guardia contro la trappola rappresentata dalla discussione sull’aborto: che, nei fatti, sta obbligando un paese intero a “guardare nello specchietto retrovisore” della propria storia.

Vero: ma non accade per la prima volta. Perché proprio sbirciare in quello specchietto diventa un esercizio utile per ritrovare la memoria, e scoprire con quanta ricorrenza la questione sia stata ripescata e utilizzata e sviscerata in contrapposizioni lunghe e laceranti quanto quelle attuali: salvo venir poi messa da parte prima di arrivare alla reale riformulazione della legge. Il che, probabilmente, non è casuale.

Risaliamo dunque fino al 1988: nel decennale esatto dall’approvazione della 194, una sentenza della Corte Costituzionale (che considera legittima l’interruzione di gravidanza anche senza che il compagno della donna ne sia informato) provoca due reazioni simultanee e sorprendentemente affini. Una di Giuliano Amato (allora ministro socialista del Tesoro) e una dell’Osservatore Romano. Il primo dichiara che quella sentenza non tiene conto del “valore costituzionale dell’ unità familiare” e definisce la 194 “una legge tutta fondata su una ipocrisia”, che tratta “il bambino” “come una pura appendice”; il secondo giudica assurdo che “il bambino” non si trovi al centro della discussione. Nel giro di un mese, Amato torna di nuovo sulla “centralità del bambino potenziale”, questa volta seguito da alcuni compagni di partito (Giulio Di Donato, responsabile ambiente del Psi, che definisce “non scandalosa” l’idea di rivedere “il campo di applicazione delle norme sull’ interruzione della gravidanza”; quindi, sei mesi dopo, il deputato Franco Piro, che scrive alle socialiste Alma Cappiello e Margherita Boniver per chiedere un ripensamento sulla 194:“quale differenza c’ è tra le culture che uccidevano i bambini malformati e quelle che decidono di sopprimerli quando ancora non sono usciti alla luce?”). Pochi giorni ancora, e intervengono il Movimento popolare (“vorremmo che la discussione si allargasse, ponendo al centro proprio la responsabilità dei padri e delle madri”), Rocco Buttiglione, (“siamo molto contenti di questa attenzione al problema, ma pensiamo che un referendum, oggi, darebbe gli stessi risultati di allora…Pensiamo che convenga piuttosto premere per una modifica della legge”), la Cei, che indice una “conferenza nazionale per la cultura della vita”. Nel giro di qualche mese (siamo a gennaio del 1989) Roberto Formigoni attacca la clinica universitaria milanese Mangiagalli per eccesso di aborti terapeutici.

Poi, tutto sembra finire: se si esclude, certo, qualche angoscioso exploit come quello del movimento Armata Bianca che, con il consenso dell’allora sindaco dell’Aquila Enzo Lombardo e la benedizione dell’arcivescovo Mario Peressin, eresse nel cimitero cittadino un monumento ai “bambini mai nati”. Ma il 18 giugno 1992 Giuliano Amato riceve l’incarico di formare il governo dell’Italia post-Tangentopoli. Dopo pochi giorni, viene nominato ministro degli Affari sociali Adriano Bompiani, ginecologo, presidente del centro di bioetica della Presidenza del Consiglio, fondatore (insieme a monsignor Elio Sgreccia) di un centro analogo all’ Università del Sacro Cuore: il ministro parla sul piano personale, ma parla. E l’argomento è l’aborto, su cui auspica la riapertura del confronto “a livello culturale”. Le cronache dell’epoca ricordano però che in quegli stessi giorni 87 parlamentari democristiani antiabortisti (67 deputati e 20 senatori, tra i quali il vicepresidente della Camera Ciso Gitti e il neo ministro dell’ Agricoltura Gianni Fontana) minacciarono di affossare il governo se Amato non si fosse impegnato a modificare in senso restrittivo la legge sull’ aborto. A dicembre, il presidente del consiglio torna di nuovo sull’argomento, dichiarando “che il diritto alla vita c’ è e che solo in casi essenziali lo si può mettere in discussione, a repentaglio”. Seguono proposte di modifica della legge da parte di Carlo Casini, leader del Movimento per la vita, che invoca una certificazione per l’aborto fatta solo dal medico ospedaliero e non dal medico di fiducia: “perché è scelto dalla donna e non dà sufficienti garanzie di prevenzione “.

La discussione si fa accesa, tocca il suo culmine e, apparentemente, si spegne ancora una volta. Non è così, in realtà: l’offensiva alla 194 cova sotto la cenere. Nel mentre, si inanellano episodi apparentemente sporadici: il “funerale dei feti” organizzato, a cadenza mensile, da un’associazione antiabortista di Novara e autorizzato dall’assessore regionale alla Sanità; la richiesta dell’abate di Subiaco, nel 2000, di sospendere le interruzioni di gravidanza durante il Giubileo, la professoressa di religione bolzanina che porta in classe feti di plastica; il monumento alla vita inaugurato dal sindaco di Battipaglia, che definisce l’ospedale cittadino un “abortificio”. Nel 2005, un anno dopo l’approvazione della legge sulla fecondazione assistita, e mentre tutti si affannano ad assicurare che la 194 non verrà toccata, l’allora ministro della Salute Francesco Storace si pronuncia in favore della presenza dei volontari del Movimento per la Vita nei consultori. E, prima di arrivare all’attuale impennata, continua ad avvenire altro, magari senza troppo clamore: per esempio, come informano le blogger di Sorelle d’Italia, sta per essere discusso dalla prima commissione dell’assemblea regionale siciliana un ddl presentato da Forza Italia sulla sepoltura dei feti, anche di poche settimane (una possibilità, certo: ma di cui la madre viene informata al momento dell’interruzione di gravidanza, con l’impatto che si può immaginare).

Adesso distogliamo pure lo sguardo dallo specchietto retrovisore: certo, volendo guardare più indietro si vedrebbe ben altro, specie se si riandasse agli anni in cui la legge non c’era ancora, e donne di tutte le età affollavano con la medesima angoscia le scale in via di Torre Argentina a Roma, dove il Cisa, due volte alla settimana, toglieva letteralmente dalle mani di medici sbrigativi (o di rimedi personali atroci: non solo i famigerati ferri da calza, ma le lavande vaginali alla varechina, per esempio ) coloro che non potevano o semplicemente non volevano essere madri.

Di tutto questo non dovrebbe essere più necessario parlare. Non in un paese dove l’informazione sugli anticoncezionali resta scarsissima, e che magari pubblicizza ovunque, schizofrenicamente, “l’anellino stimolante per lei” e altri gadget sessuali, ma non i contraccettivi. Non in un paese dove donne nude e sospiranti sono testimonial di profumi, cioccolata e spaghetti, ma dove – a differenza degli altri paesi europei- non abbiamo una legge sull’educazione sessuale a scuola.

Eppure, si continua a dibattere, e molti dei dibattenti si precipitano, ancora oggi, a rassicurare gli interlocutori che, no, non intendono toccare la 194. Benissimo: allora sarebbe finalmente opportuno verificare se è davvero così, e capire se invece, dietro le belle intenzioni, non si celi la semplice verità enunciata vent’anni fa da Buttiglione, e che vale la pena ripetere: “pensiamo che un referendum, oggi, darebbe gli stessi risultati di allora…pensiamo che convenga piuttosto premere per una modifica della legge”.

Che si torni, allora, al referendum.

La legge 194 nasce dalla volontà delle cittadine e dei cittadini italiani, manifestata per ben due volte: nel referendum che venne indetto il 15 aprile del 1976, dopo la raccolta di 700.000 firme (e che non si tenne perché le camere vennero sciolte dopo quindici giorni, ma che di fatto obbligò il parlamento a legiferare) e in quello che impedì l’abrogazione della legge, il 17 maggio 1981. In quell’ultimo caso, i risultati videro i No stravincere, con il 68% contro il 32% degli antiabortisti.
Che ci si torni, davvero.

Per dimostrare che le donne e gli uomini di questo paese non intendono fare a meno di un diritto inalienabile. Quello di poter scegliere.

8 pensieri su “MODESTA PROPOSTA

  1. Vorrei avere la tua stessa fiducia nella vittoria in caso di un eventuale nuovo referendum sull’aborto, Loredana.
    Io temo che l’Italia guardi nello specchietto retrovisore perché ha già inserito la retromarcia e non può fare altrimenti, per restare sulla metafora della Bonino. Quando non c’è più nulla da ascoltare, né la propria voce, né quella dei politici, non resta che il chiacchiericcio dei preti.
    Me li ricordo prima dell’ultimo referendum, per esempio. Che tristezza.

  2. Che tristezza queste discussioni infinite su cose ovvie… chiunque di noi abbia vissuto l’esperienza della maternità sa che un giorno, tre mesi, nove mesi sono conteggi senza senso e che perdere un bambino anche a poche settimane dal concepimento è un dolore; chiunque di noi abbia vissuto l’esperienza della maternità si commuove ad ogni nascita e si inorgoglisce della propria possibilità di crescere in grembo la vita; chiunque di noi abbia vissuto l’esperienza di una gravidanza a rischio, imprevista, non voluta, imposta, faticosa (o anche solo un sospetto di gravidanza) sa che si tratta di qualcosa che CONDIZIONA DEFINITIVAMENTE L’ESISTENZA e che non si può imporre per decreto legge; chiunque di noi… guarda caso quel chiunque è riferito a donne in età fertile e come mai nell’elenco che fa Lipperini in questo post, fra chi incoraggia una revisione della 194, non vedo ventenni o trentenni di sesso femminile?
    Perché a queste ultime dirette interessate non interessa riaprire il dibattito? Perché gli uomini semplicemente non si accontentano di andare avanti a parlare di guerra e gnocca?

  3. A me il referendum terrorizza.
    Penso anche io che si vincerebbe. Ma ho orrore di una serie di cose:
    – che si vinca per una maggioranza risicata -per esempio
    – non posso neanche immaginare i dibattiti televisivi, le cose che verrebbero dette, la recrudescenza reazionaria a cui mi toccherebbe asssistere. Sarei terrorizzata dalle manovre mediatiche, dalle moltiplicazioni dei ferrara.
    Se si potesse evitare sarei più contenta.

  4. A proposito di ed. sessuale nelle scuole, io penso che in Italia sia meglio che non si faccia. Le mie perplessità sono dovute alla tutt’altro che remota possibilità, che le gerarchie cattoliche e suoi impresentabili sostenitori troverebbero proprio nelle ore dedicate all’ed. sessuale un’ulteriore occasione per indottrinare i ragazzi. D’altronde il “movimento per la vita” è riuscito a impiantarsi stabilmente nei consultori, cosa potrà impedire loro di fare lo stesso nelle scuole, con questo pretesto?
    Forse sono troppo pessimista?Vi racconterò la mia esperienza sul tema.
    Nella mia scuola media erano previste, all’ultimo anno, alcune lezioni di ed. sessuale. A tale scopo venne chiamato un “esperto”. “l’esperto” nelle prime lezioni ci illustrò soprattutto l’anatomia degli organi sessuali, le fasi della gravidanza e così via…Dopodichè nella seconda parte del corso , denominato “ed. all’affettività”, l’esperto”, il sedicente sessuologo, si affrettò a spiegarci che:
    -l’aborto è un omicidio;
    -gli omosessuali sono malati da curare (“Io”-disse-“ne ho curati molti e con successo”)
    -le donne hanno necessariamente vocazione alla maternità e “per natura sono meno coraggiose” (sic!)
    Singolare fu l’argomento con il quale ci dimostrò che l’aborto è un omicidio. Ci chiese quanti di noi erano favorevoli alla pena di morte. In pochissimi alzarono la mano. Poi ci chiese se sapessimo cosa fosse l’aborto, tutti rispondemmo di si, e lui di nuovo ci chiese quanti erano favorevoli allo stesso. Nella classe serpeggiò un palpabile sconcerto, ma ugualmente alcune mani si alzarono.
    “Bene, se non sbaglio poco fa voi avete detto di essere contrari all’esecuzione di un criminale, ora, come potete essere favorevoli all’uccisione di un innocente?”(Vi ricorda qualcosa!?)
    Inutile dire che nessuno- avevamo 13 anni- ebbe il coraggio di replicare.
    Tutto ciò è avvenuto nel 1997 e non nella provincia del Veneto “bianco”, ma bensì una scuola PUBBLICA nella “rossa” Reggio Emilia.
    Scusate se mi sono dilungata

  5. Pur essendo d’accordo sulle premesse, non auspico che si buttino via altri soldi pubblici per un referendum tutto sommato inutile.
    Sarebbe più sensato che quei soldi li si impiegasse per distribuire contraccettivi gratis..
    Mi piacerebbe che di diritto all’aborto non si dovesse più parlare, come di questione arcaica, riferita a un numero così esiguo di casi da non essere più di pubblico interesse.

  6. Anche a me fa un pò paura l’idea di una vittoria stentata, forse perchè vedo intorno a me tante giovani demotivate, tanti giovani senza idee chiare.
    Ma la cosa che più mi inquieta è vedere che siamo di nuovo in queste condizioni, che il diritto acquisito per legge, possa ancora essere messo in discussione. Questo mi fa tremare, con tutto il revival di apparati medioevali del vaticano, con tutto l’oscurantismo integralista che ne deriva. A quando i roghi?

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