DUE PAROLE DA JOHN AUGUST (SUI BLOG)

Su L’Unità di ieri c’era un intervento di John August, sceneggiatore e regista americano. L’integrale è qui. Ne posto però la parte finale.
E ne approfitto per segnalarvi tre blog che sono nati dal breve corso su web e comunicazione per l’Università La Sapienza: meritano! Si chiamano Indicativopresente, Silenzioassenzio e Rossovelluto.
Non potete mai essere dilettanti.
Adesso molti di voi starà pensando minchia, troppa pressione. Quando mi laureo, quando sarò nel mondo reale, devo essere, cioè, professionale.
E io vi dico no. Questo È il mondo reale. Dovete essere professionali ora. Perché tutto quello che state scrivendo, che sia un compito di inglese o il vostro profilo su Facebook, porta il vostro nome. Vi rappresenta. E nell’era di Google, tutto quello che avete scritto, anche quel commento acido lasciato nel forum, è collegato a voi.
Per cui dovete chiedervi: tra un anno, tra cinque anni, come mi sentirò quando qualcuno mi chiederà di quella cosa che ho scritto?
In tutta onestà, sinceramente, non voglio sembrare il Signor Oppressione e Disperazione. Se volete scrivere 1500 parole sul vostro gatto sul vostro blog, fatelo senza problemi. Vi sto solo chiedendo, implorando, di correggere quello che scrivete: Mr. Fusa se lo merita. Rimboccate le vostre maniche virtuali e prendete sul serio anche le cose leggere.
Fatemi citare due esempi tratti dalla mia esperienza:
La prima cosa che io abbia mai scritto si chiamava Here and Now. Era una tragedia romantica ambientata a Boulder, Colorado. Era la classica prima sceneggiatura, dove ho provato di infilare tutto quello che sapevo su tutto, perché avevo la sensazione che magari non avrei scritto un’altra sceneggiatura, per cui ho messo tutto in quella.
La sceneggiatura è venuta fuori bene, mi ha procurato il mio primo agente, e in seguito un lavoro scrivendo una sceneggiatura per qualcun altro.
Quando leggo quella sceneggiatura, oggi, mi vengono i brividi. Sono uno scrittore migliore oggi di quanto lo fossi ai tempi. Ma non mi vergogno di quella sceneggiatura perché è professionale. È ben presentata, non ci sono errori di battitura rilevanti. È accurata, almeno per quanto riguarda le emozioni descritte nella storia. È consistente: ci sono una manciata di modi per presentare una sceneggiatura, e finché si sceglie uno e lo si segue fino alla fine non si sbaglia. Mi sento ancora responsabile per la sceneggiatura. Non mando più quella sceneggiatura come dimostrazione del mio lavoro, ma se qualcuno l’ha letta sono felice di parlare delle scelte che ho fatto.
E infine, e questa è la cosa più importante: la sceneggiatura ha raggiunto gli standard della professione. Per quanto fossi uno sceneggiatore esordiente, non stavo scrivendo per altri sceneggiatori esordienti. Stavo scrivendo come se fossi uno sceneggiatore professionista, e volevo che gli altri mi leggessero allo stesso modo.
Secondo esempio: al momento mi occupo di un sito internet, praticamente un blog sulla sceneggiatura. Il sottotitolo del progetto è “una tonnellata di informazioni utili sullo sceneggiare”, e spero sia veritiero. Ho creato il sito perché quando ero un aspirante sceneggiatore – notate che ho usate “aspirante”, non “dilettante” – era molto difficile trovare buone informazioni sulle sceneggiature e su come scriverle.
Ho cominciato a scrivere una rubrica settimanale di domande e risposte sull’Internet Movie Database, e ho infine usato queste rubriche come base del sito.
Aggiorno il sito più o meno due volte a settimana, e lo prendo piuttosto sul serio. Non è il mio lavoro; non vengo pagato per farlo; non ho neanche la colonna di Google ad nel sito. Ma sono molto professionale nel sito, in tutti e cinque i sensi che considero facciano un professionista. Voglio che abbia un bell’aspetto. Controllo che quello che scrivo sia corretto. Controllo che i link che pubblico funzionino. Cerco di essere sicuro di dare consigli utili settimana dopo settimana. E per quanto riguarda il rispetto degli standard dei miei pari, non controllo siti di altri sceneggiatori, ma i siti più utili che si dedicano ad altri argomenti. Cerco di attenermi a quegli standard.
E lo faccio perché ci metto il mio nome. Credo che sia importante pensare al proprio nome come al proprio marchio. Così come la Walt Disney Corporation non vuole che Topolino venga rappresentato con un’accetta insanguinata nella sua mano bianca e pacioccosa, io non voglio che il mio nome venga associato a della cattiva
scrittura poco professionale.
Tutto quello che avete è il vostro lavoro. Quindi date il meglio di voi stessi. Sempre e comunque.
Per chiudere, voglio chiarire che le mie critiche ad Aint’ It Cool News, o Us Weekly o ai blog di bassa lega non vogliono essere scoraggianti. Stiamo vivendo uno dei momenti più elettrizzanti della storia dei media. Le barriere per entrare nel discorso pubblico non sono mai state così basse. Potete girare un cortometraggio con una videocamera da 500 dollari, pubblicarlo su Youtube, e diventare un successo mondiale il giorno dopo. Tramite un blog avete la possibilità di rispondere ai media come mai è successo prima, e i vostri lettori possono rispondervi.
Credo che il periodo più vicino a quello che stiamo vivendo sia l’inizio degli anni ‘90, quando abbiamo avuto le prime stampanti laser. Ero un designer grafico, ed ero in paradiso. Ma ci possiamo ricordare tutti quello che è successo, no? Tutto ad un tratto sono spuntate fuori un sacco di notiziari orribili. E abbiamo imparato una lezione dolorosa: solo perché puoi creare un notiziario con 50 font in copertina, non vuol dire che sia il caso di farlo.
Quello che vi chiedo, quello che vi supplico di fare, se potete leggere tra le righe, è di affrontare questi nuovi strumenti da professionisti, non da dilettanti. Al contrario di quell’orribile notiziario, che è stato riciclato, il vostro blog sarà disponibile per sempre. Per sempre. Gli storici lo leggeranno e si chiederanno, “Cristo. Ma non avevano il correttore automatico?”
A prescindere dalla carriera che decidiate di intraprendere, sarete scrittori per il resto della vostra vita. Promettete a voi stessi, stanotte, che sarete per sempre professionisti.

37 pensieri su “DUE PAROLE DA JOHN AUGUST (SUI BLOG)

  1. Io credo che le parole di August valgano non solo per i professionisti ma per tutti. Fare bene quello che si sta facendo qui ed ora. Anche scrivere un commento a un post.
    Mi sembra che il web, e parlo anche per me purtroppo, sia un luogo che spesso viene preso per un non/luogo, una terra di nessuno cui dare la stura alle approssimazioni, facilonerie, dilettantismi.
    E dunque, per congruenza, chiudo qui, e forse dovrei chiudere per un bel po’.

  2. Ma no, Valeria, assolutamente. Il pericolo del web è quando viene usato come mezzo veloce per sfogare astio, per esempio, o per ergersi a giudice. Ma chi lo fa, abitualmente, non si pone neanche il problema. 🙂

  3. Condivido in buona parte quanto scritto. A me capita di non riconscermi più in alcune delle cose che ho scritto in passato, ma penso anche che sia normale. Dopotutto, sai che noia, se rimanessimo gli stessi per una intera vita?

  4. Lippa, condivido in pieno, parola per parola quello che il Sig. JA ha scritto. Avere “stile” e praticarlo in ogni azione quotidiana (in fondo, è di questo che parla il pezzo, no?) è un validissimo antidoto al pressappochismo imperante e alla faciloneria diffusa. E non mi riferisco solo all’ambito del web.
    Un bel post, vedrò di farlo circolare perché merita.

  5. Ah boh io condivido un po’ e un po’ no.
    Ci ho pensato un sacco a queste cose. Ecco vado per punti.
    1. A me piacciono i blog ben fatti, ben scritti, e che mi inventino delle cose nuove. Sono i miei prediletti. Tra parentesi scriventi esclusi – nel tuo blog roll ho beccato delle cose belle e innovative. Teoricamente dovrei dunque essere d’accordo con l’autore dell’articolo.
    Invece. LA professionalità è categoria pallosissima, perchè può andarsi inavvertitamente a sovrapporre con un canone culturale e questo canone culturale di solito ci ha un nome e si chiama “editor” o si chiama “capo”. O se no si chiama “mercato”. Io amo il mio blog perchè me ne catafotto di questi capi. E se voglio scrivere “cazzo a strisce” io lo scrivo. E se voglio ammischiare il romano e l’italiano il lo fo. Fintanto che regge, la rete è il campo libero dalla canonizzazione, e anche quando il canone si crea io me ne catafotto. No non avrete mai da me post di 15 righe belli ridarelli, come quelli di certi bloggher che pure io amo. Non sono veloce. Sono noiosa? cazzi vobis. E non sono certa di voler essere professionale. Perchè molto egoisticamente dico, la bloggheritudo è una cosa altruista (oh si che lo è per me almeno che scrivo post, alle volte divulgativi e de 12’000 battute) ma solo per caso. E’ un’attività egoistissima e io la svolgo essenzialmente per me.
    E io credo che sia così per tutti. Prendiamo il fenomeno delle mamme bloggher. Due terzi dei blog si queste mamme bloggher non mi piacciono manco un po’ – m’ammazzo de pizzichi. “Oggi pulcinetto ci ha la scacaccia povera me!” e “oh che mar di schiena che ci ho ortre ar mutuo”. Ah che spasso. Ah che originalità di intenti. Però è il suo se sulla carta, le sta bene e risponde a un desiderio e a un bisogno e farà rete con altre come lei, ed ecco qui un fenomeno culturale. Alcune mamme bloggher hanno autentico talento scribacchino, ma altre no: non scrivono per scrivere ma per comunicare.
    Equindi questa critica mi sembra interessante nella misura in cui riguarda chi vuole scrivere con un preciso scopo e questo scopo passa per il lobo frontale superiore. Strutturazione di senso, costruzione della scrittura. Categorie importanti ma che spesso nei contesti intellettuali vengono sopravvalutate, più che mai – per ragioni se vuoi storiche, dagli uomini. Ma siamo bestiole – alle volte con il portatile in braccio.

  6. Il post di Zau è molto indicativo.
    In Italia (perdonate la generalizzazione), l’asse di opposti semantici con cui cominciare a valutare gli oggetti comunicativi non è, come dovrebbe essere, e com’è inteso da August, l’asse “rigore-sciatteria”; ma è il completamente assurdo asse “rigore-creatività”. Questo crea, a mio avviso, malintesi mortificanti, perché non è possibile alcuna vera creatività senza vero e faticoso rigore. “Chi parla (o scrive) male, pensa male”. È vero. Organizzare il proprio linguaggio, polirlo, riflettere sulla sua adeguatezza, sulla sua comprensibilità e sulla sua efficienza è, soprattutto, organizzare il proprio pensiero.

  7. Si Vittorio e te un’ ti preoccupare che io mi organizzo.
    Ma la questione è che neanche la creatività è un polo necessario alla bloggheritudo, un polo che tutti hanno presente – perchè l’uso della rete è talmente vasto, che non si può paragonare alla produzione culturale filtrata dal mercato. Risponde a molti più bisogni. E io non trovo corretto applicare a tutti gli usi questo tipo di indicazioni.
    E comunque, ribadisco – specie in considerazione di certi livelli: al di là di a senz’acca, o “se avrei” cose che capitano tutto sommato ben di rado. Il concetto di rigore ha una latente permeabilità ad altre questioni. Chi ha fatto l’editor questa cosa la sa. Chi ha sottoposto i propri testi – anche.

  8. Infatti io la creatività la lascio stare. Sei tu che ne hai parlato. August parla di rigore vs sciatteria, non parla mai di creatività. E con “rigore” non si intende certo l’uso dell’italiano della Crusca. Io, per conto mio, intendo la preoccupazione per l’intellegibilità, la coerenza, l’adeguatezza e l’efficienza del proprio linguaggio, qualunque sia lo scopo per il quale viene utlizzato: l’invettiva, la seduzione, la comunicazione di concetti, la narrrazione storica, il resoconto, la relazione scientifica, il bozzetto umoristico, il racconto di una vacanza o di una giornata passata a pulire la cacca del pupo.

  9. august è in buona fede,ma un pochino orbo se fa riferimento a parametri classici.Conosco persone che utilizzando stili che non stonerebbero di fronte alle cose migliori di Flaubert non riescono a esprimere niente altro che un incontenibile “vocazione al nulla”(cfr mi sembra la gioia).Io adoro la sgangherata scrittura corrotta dalla calata pop perchè riesco a distinguere la luce in fondo alla scala.E diffido dalle cose che pochi possono permettersi,sempre che qualcuno abbia le carte in regola per inquadrare degli standard.Una cosa che non deve mai mancare è l’anima(e non quella che il mestiere riesce a improvvisare)

  10. @diamonds
    1 – Rigore *NON VUOL DIRE* classicismo.
    Pasolini e Gadda erano “professionali” nel senso inteso da August. Tarantino è “professionale” nel senso inteso da August. Moebius era “professionale” nel senso inteso da August. Non mi sembrano esempi di cruschismo.
    2 – Quanto alla scrittura “alla portata di tutti”, è esattamente il contrario di quello che dici tu: è molto, *MOLTO* più difficile, e necessita di una MOLTO maggior professionalità, scrivere efficacemente con una scrittura “contaminata col pop” che con una scrittura piana, semplice e “corretta”.
    3 – Quanto a chi scrive come Flaubert ma non esprime nulla, è evidentissimo che, in questo caso, vuol dire che non scrive affatto come Flaubert.
    Però usciamo da questo sterile dibattito sulla “creatività”, che non so nemmeno bene che cosa voglia dire (mentre so che cosa vuol dire comunicare in modo corretto e intelleggibile). Si può (si deve, secondo August e secondo me, e anche secondo Loredana, mi pare) essere professionali anche descrivendo un incidente stradale o una partita di calcio. È questo lo spirito dello scritto di August. Bisogna usare cura per il proprio linguaggio qualsiasi cosa si comunichi. E mi sembra una lezione non da poco, soprattutto per un Paese cialtrone come il nostro.

  11. Vittorio gli è che io non lo so se sono economica, efficiente etc. E certi infatti me se appisolano ner mentre – arrivano a metà post e bbù se so accasciati.
    Altri la ridondanza strafalcionica la apprezzano.
    Capisco però che vuoi dire. Non sono del tutto d’accordo ma capisco.
    Loredana, ci hai ragione se si vuole arrivare da qualche parte. Credo che la parola dell’articolo che mi crea delle scintille è tutto quell’insistere sulla “professionalità”. Si mi mette l’angoscia, è l’industria culturale che trova un richiamo nobile. E’ il corso di scrittura creativa, e l’addestramento della comunicazione spontanea. Credo che apprezzerei il suo intervento se non avesse questa vocazione dell’alpi e delle piramidi der manzanarre e der reno, ma fosse circoscritto a un certo contesto.
    Oppure, mi piacerebbe allora che si parlasse di rigore sostituendo la categoria “professionalità” con la categoria “fedeltà a se stessi” “fedeltà al proprio pensiero”.
    Con la categoria: rigore vuol dire dire quello che vuoi dire.
    Forse messa così siamo più d’accordo tutti?

  12. Fedeltà al proprio pensiero, al proprio modo di essere, certissimo.
    Ma anche ad un linguaggio che sia corretto, secondo me. Nel momento in cui scelgo di esprimermi scrivendo, devo sforzarmi di scrivere bene: non c’entra nulla con la scrittura creativa e con l’addestramento. Ma con la coerenza tra pensiero, parole e, sì, anche grammatica. 🙂

  13. L’intervento di John August mi sembra giustissimo, e il discorso sulla professionalità si collega, secondo me, anche a quello sul “controllo” della rete: alle leggi repressive di cui si parla molto in Italia e in Europa si può rispondere efficacemente solo se sono gli utenti stessi ad iniziare ad usare, in maniera più consapevole ed eticamente corretta, internet. Che questa consapevolezza passi per l’uso da professionisti del proprio nome-brand o per una scelta etica meno legata a interpretazioni di mercato, il risultato finale è comunque lo stesso.

  14. @Zauberei
    “Oppure, mi piacerebbe allora che si parlasse di rigore sostituendo la categoria “professionalità” con la categoria “fedeltà a se stessi” “fedeltà al proprio pensiero”.
    Con la categoria: rigore vuol dire dire quello che vuoi dire.
    Forse messa così siamo più d’accordo tutti?”

    Se intendi dire “Rigore vuol dire fare in modo che gli altri, il più possibile, capiscano quanto io voglio dire, senza che siano distratti da elementi inessenziali del mio agire comunicativo”, allora ti voto!
    Per esempio, se durante una riunione del condominio devo raccontare alla mia vicina, una beghina novantaduenne col medaglione di Padre Pio, quello che mi ha detto l’idraulico sulla perdita del tetto, e continuo a dire ogni due parole “tubo del cazzo”, “tegola fottuta” e “impianto del porco zio”, l’attenzione della mia destinataria sarà troppo focalizzata sul mio stile, e non capirà nulla del contenuto: sarò stato non rigoroso.
    Se racconto della partita di ieri al mio amico dello stadio e dico “Ronaldo si è dimostrato ancora una volta un giocatore inadatto a sopportare le tensioni di un grande evento sportivo, e ha ecceduto in personalismi a tratti irritanti”, il mio amico penserebbe che sono diventato pazzo e non mi seguirebbe più, mentre se gli dico “Ronaldo ha giocato una finale da mezzasega, come al solito”, avrà immediatamente un quadro preciso della situazione.
    Poi, come dice Loredana, soprattutto quando si scrive, ci vuole correttezza. Anche perché, se no, si dà una scusa troppo facile e immediata ai nostri destinatari per non darci retta.

  15. Zauberei, presupponendo che ti stimo assai. A me-mi sembri molto-molto ben professionale e autoredatta ed editata.
    Il ragazzino di 15 anni che scrive di MetalGearSolidXII non ci pensa nemmeno all’uso della lingua in modo corretto – in quest’ottica, ricordare al prossimo di badarci, mi sembra un buon consiglio.
    Affogare la creatività ok no, non facciamolo, ma secondo me manco accade.

  16. Io se vado avanti de sto passo, la LIpperina non solo me segna con la matita rossa la ridda di anacoluti, ma mi metterà in moderazione e pure non combino una sega.
    Vabbè.
    Vittorissimo.
    Mi sa che me voti a mezzi:)
    C’è una voragine nascosta in quel richiamo all’inessenziale. Una voragine di soggettività.
    Questa voragine di soggettività può essere amministrata con un compromesso funzionale in certi frame (ih come ve piace frame:))) per esempio se scrivo di psicologia in un portale di psicologia, se decido di scrivere di psicologia in un portale che offre certe informazioni. E in generale diciamo che nella rete ci sono contesti che offrono delle spie, alle quali ti adegui- a che tutti capiscano appunto il più possibile. Io in genere le rispetto – anche se devo dire spesso, non tantissimo. Come denunciano alcuni miei commenti qui. Ma certo, la rete è un posto pieno di stanze: in alcune ci sono riunioni di condominio in altre amici che chiacchierano. (Ma se io voglio parlare di calcio come Leopardi, anzichè adeguarmi all’universale delle mezzeseghe, aho sforzete. Trovo pericoloso questo ricatto del contesto specie con un esempio che esula dalla informazione formale)
    Ma ci sono anche stanze vuote, e il frame lo farai tu, e in virtù di quella costruzione attrarrai persone di un certo tipo e altre no. La rete crea delle isole di affinità, proprio perchè sul concetto di inessenziale e essenziale, possono giocarsi delle partite esistenziali. Ci sono campi in cui il gioco è facile, altri in cui è tremendamente difficile. Altri in cui – nessuno mi leva questa convinzione – ciò è terribilmente soggettivo.
    Ma piacere a tutti il più possibile… no, non mi interessa. Li vedoc erti prodotti che piacciono a codesti tutti, vedo la loro pedissequa attenzione alla domanda. Mi annoiano.

  17. @Lorelei
    (Framo tutto). *Soprattutto* quando il frame lo crei tu non puoi non porti i problemi che si pone August.
    “Si messa in chiave pedagogica per li regazzini concordo.”
    Di questo si trattava, se leggi il post. Tu mi sa che ormai sei irrecuperabile…

  18. Alla fine del post ho tirato un sospiro di sollievo, una boccata di aria fresca. Le parole del sor August per me, che nel contempo predico e razzolo di scrittura sono state una sana ripassata di buon senso. Poi ho letto i commenti e m’è venuta la tachicardia. Comunque, la parola che ho associato spontaneamente e immediatamente allo scritto di John August è Cura. Parola che ognuno declina come gli pare, associandola al suo stile, alla sua modalità espressiva, al suo canale creativo, ai suoi contenuti, ai suoi bisogni. Forse August insistendo sulla parola professionalità potrebbe generare equivoci, ma anch’io ho il vizio: chiedo perfino ai dodicenni di essere professionali, e in realtà intendo proprio questo: abbiate cura di chi siete, di quello che davvero volete dire, del modo migliore che avete per dirlo, di chi vi leggerà. Cura non è maniera, non è necessariamente rispetto della regola, non è conformismo o conformità. Cura è proprio occuparsi di, dare importanza, coltivare. Ora rileggo e poi clicco invia. Ma sì, pure restasse per sempre…

  19. Sono Maria Grazia, una delle studentesse del master alla Sapienza e una delle autrici del blog “Indicativo presente” realizzato durante il suo corso. E’ stato bello leggerlo nel suo post ed è uno slancio in più per portare avanti il progetto. Grazie

  20. Il mio co-bloggher la penserebbe come Vittorio, credo, ma anche io su un punto sono d’accordo: quando dicevi che la “bella scrittura” per essere davvero tale deve veicolare un messaggio…
    Ma dentro di me ogni tanto mi piacerebbe lasciarmi andare alla calata, alla battuta volgare (inteso dal volgo).
    Zauberei: mi hai incuriosito, ora vengo a sficcanasare nel tuo blog.
    Comunque (termine logoro ed abusato) gran bell’intervento, lo leggero nella sua intierezza.

  21. Sinceramente Zauberei non ti capisco. A me pare che nell’articolo si parli di rigore vs sciatteria. E dunque non mi pare che c’entri la creatività o la libera espressione di sè, perché dove c’è sciatteria non c’è né l’una né l’altra.
    Ogni tanto leggo il tuo blog, e alcuni tuoi post li trovo bellissimi, alcuni anche emozionanti.
    Non ti ho mai trovata sciatta, qualsiasi registro linguistico tu usi. E non mi dire che non sai che significhi registro o che tu lo usi in modo inconsapevole.
    Tu sei libera di dirlo, io sono libera di non crederci.
    Non credo nemmeno che i canoni siano il bavaglio della creatività o dell’autenticità, parola che da un po’ di tempo mi fa venire i crampi allo stomaco.
    Sarà che siamo in piena sguajatezza di regime, ma io certe esternazioni e certi outing visceralintimisti non li sopporto più.
    Poi ci sono le cornici o i frame (è vero a me la parola frame piace parecchio perchè la lettura di lakoff è riuscita a spiegarmi cose che tentavo invano di capire da sola ) e allora uno ci si piazza dentro e ci fa quello che gli pare.
    Che sappia o non sappia quello che fa a questo punto non mi interessa più di tanto, basta che sappia riconoscerlo io.
    Una cosa che proprio non ho capito, Zauberei, è come sta insieme tutto quello che hai detto qui e la tua difesa del linguaggio politicamente corretto.
    Perchè anche quello può essere considerato un bavaglio, un freno, un impedimento alla libera espressione di sè.
    E, siccome io invece non amo il politicamente corretto, devo chiedermi, per pari opportunità, come sta insieme tutto quello che ho detto qui e la mia insofferenza per quel tipo di linguaggio. Ci devo pensare.
    p.s. a proposito di ‘pari opportunità’ avete letto questa notizia?

  22. Allora intanto ringrazio Valeria e Andrea che non l’ho fatto prima per tutte le cose belle che dite di me e del mio blog.
    Poi constato che state a di tutte cose contro quelle che dico io e lo fa persino la Valeria e la Alemanna che andiamo sempre d’accordo, e allora qualcosa vorrà dire.
    Poi Vittorio mi fa capire che ho letto un po’ superficialmente, e mi sa che è vero.
    E insomma ho cambiato un pochetto idea non del tutto, eh ma vi ringrazio.
    Allora mo’ dico le cose su cui ho cambiato idea.
    – L’articolo riferiva di una conferenza tenuta all’università e io questa cosa l’ho scotomizzata. Era cioè davvero didattico e io questo l’ho sottovalutato. In un contesto didattico direi molte di quelle cose che August dichiara.
    – Riconosco e chiedo ammenda sulla necessità del rigore: si io mi rileggo molto, si io gioco con i registri lavorando moltissimo e rileggendomi, per vedere come funzionano i miei shiftamenti. Sono commossa del fatto che Valeria ci abbia fatto caso e le sono grata. E si come posso evito errori e cerco la precisione concettuale. Sto attenta ai link e alle cose che consiglio proprio come dice August. Anche per me cioè quella cura è un sine qua non.
    – Riconsco insomma l’invocazione del principio di responabilità.
    – Mi piace quella cosa che dice Alemanna della cura.
    Le cose su cui mantengo un dubbio.
    E’ un dubbio che mi deriva dalla mia esperienza di blogger, e dalla mia esperienza di editor – quando lavoravo per una bella rivista e mi dovevo mettere accanto all’autore e passacce un par de pomeriggi a decodificare le sue celesti intenzioni.
    – Due parole mi rimangono ostili, e sono le categorie di chiarezza e di professionalità. Per esperienza so quante trappole può nascondere il termine chiarezza. Quante richieste soggettive, quanti domini contestuali. E ancora, quante possibilità di truffa ciela la chiarezza. E quante trappole può creare alla creatività. Ho capito che lui non allude alla creatività ma io si. Anche il pensare al farsi capire a tutti i costi. So che sono discorsi giusti ma che quanto meno meritano delle note a margine. Rimango dell’idea che la cosa importante è dire quel che si vuole veramente dire. In questo senso c’è convergenza, perchè la strafalcioneria è disonesta di default.
    La seconda è la parola professionalità. Ribadisco che era adattissima a quel contesto – frame se preferite – ma il blogging non appartiene solo a quel contesto, ed è una parola che non mi piace applicata alla scrittura. Io spendo un sacco di tempo per il mio blog, verissimo, ma non mi salta per l’anticamera del cervello di pretendere altrettanto dagli altri. Aprrezzo moltissimo i blog ben fatti e scoprirli per me è piacere. Ma ritengo che la comunicazione in rete non nasca sempre dal desiderio di confezionare un prodotto, ma per altre cose, più basse e banali e meno controllate, ma funzionali a una vita. Addosso a questi modi di essere in rete, il richiamo alla professionalità suona come un vestito sbagliato.
    Sulla nota di Valeria del politicamente scorretto. Io so stalinista. Per me ci sono leggi che dovrebbero essere applicate anche alla rete. CI hai la fissa pedofila? sti cazzi della libertà d’espressione esuli dal campo della libertà te oscuro e ti ammanetto. In verità lo applicherei zelantemente anche alle forme di razzismo e sessismo triviale.
    Ma questi ultimi non sono temi su cui ho ragionato abbastanza – voglio dire, non in relazione alla espressione in rete.
    Ringrazio pure Loredana che forse era appisolata ma non ha battuto ciglio a sto mio spamming.

  23. @Zauberei. Ecco adesso ho capito.
    Sono d’accordo sul fatto che il termine chiarezza non si può usare senza note a margine e che il web spesso diventa un setting in cui vengono messe in scena cose che con la professionalità non c’entrano niente, però sono ‘funzionali ad una vita’.
    Con questa cosa mi ci scontro spesso, vittima di un mio atteggiamento illuminista con cui nella vita reale sono venuta a patti ma che sul web non riesco a mediare.
    Sono stata per un brevissimo tempo cooblogger di un blog messo su per scappare da un forum che, dopo essere stato infestato dai troll, è stato (troppo) moderato.
    E lì mi sono lanciata in un lungo post sulla ‘comunicazione’ intitolato ‘Don’t feed the trolls’ dove tentavo di stabilire una relazione tra questo slogan e l’etimologia latina della parola ‘comunicazione’ in cui il mettere in comune delle origini era riferito più a uno scambio di cose che di simboli, es “communicabo tibi mensam meam’ era un invito a pranzo, dove ospite e invitato si assumevano, ognuno per parte sua, una quota di responsabilità per la buona riuscita dell’evento.
    Scrivendo scrivendo mi rendevo conto che il trollismo è latente in ogni forma di comunicazione, virtuale e non, ed emerge in modo critico ogni volta che nel discorso, per dirla – come lo dicevo allora – con quelli di Palo Alto, la relazione prevale sul contenuto. Una specie di overdose di soggettività, per cercare inutilmente di essere chiara ; )
    e bla bla bla (fortunamente questo post è andato perso nei roghi virtuali sennò ve l’ammollavo pure a voi).
    So perfettamente che scotomizzare (ih come te piace scotomizzare:))) la relazione dalla comunicazione, è ovviamente pura follia, ma riflettere sopra certe dinamiche e tentare di diventarne consapevoli penso sia necessario non solo sul web ma pure fuori. E’ un po’ il discorso che facevamo sull’immaginario femminile: non si può pensare di bonificare questo senza bonificare pure quello più ampio.
    In fondo la rete amplifica quello che c’è già nella vita reale non lo crea. Un po’ come Berlusconi.
    E se qualcuno non è d’accordo con me sappia che è statisticamente irrilevante!!!!
    Adesso sto ferma per qualche giro, prometto.

  24. A me sembra che l’esempio portato dall’autore sia fuorviante. Una sceneggiatura è scritta per un’industria e risponde, in tempi diversi, a modi, mode, canoni, preoccupazioni e diktat diversi – e in altri tempi, e per alcuni settori della produzione, non esisteva nemmeno.
    Forse è questo che vuol dire? Fate come noi, guardate che bella gallina dalle uova d’oro abbiamo adesso…
    Mi pare che il regista, insomma, esorti a un salto di qualità, ma lo faccia dimenticando che quello dei blog e di Internet è un mondo con radici diverse da quelle di altri media. Insomma: a volte i blog e i forum sono tecnici, specialistici o di studio (niente a che vedere con il diario del cuore). Se l’esperto vuole che si spettacolarizzi (pulizia e controllo mi sanno subito di marketing) anche questo ambito, rimando al mittente senza esitazioni l’invito: se i blog troveranno una strada, sarà la loro. Se esorta invece a cercare canoni intrinseci, e a correggere e a organizzare una pagina con la stessa precisione con cui si corregge un articolo accademico, è un’altra questione.

  25. Ida, a me sembra un’altra cosa, e non mi pare affatto che August voglia “colonizzare” i blog o renderli simili ai media tradizionali. August invita ad essere “seri”, non “accademici”. E la serietà, per me, è pesare le parole: non soltanto essere attenti alla forma grammaticale, ma al contenuto. In altri termini, ad essere consapevoli che quel che si scrive ha un significato, e che non basta – per fare un esempio molto comune nella blogosfera – scrivere un post alla “adesso vi faccio vedere io quanto sono bravo” per essere autorevoli. E’ un’altra cosa.
    Ps. Per me pesare le parole è fondamentale ovunque. Se l’ordine dei giornalisti avesse un senso, per esempio, multerebbe tutti coloro che definiscono l’autore di un crimine con la nazionalità…

  26. Paradossale che un intervento che parla di accuratezza sia tradotto in maniera così approssimativa.
    “Adesso molti di voi starà pensando”? “ho provato di infilare”? “Consistent” che diventa “consistente” e non, come dovrebbe, “coerente”?
    E questo in un pezzo che dice: “Vi sto solo chiedendo, implorando, di correggere quello che scrivete”…

  27. Creare non è comunicare, ma resistere (Deleuze)
    Né la filosofia trova estremo rifugio nella comunicazione, che lavora in potenza soltanto delle opinioni per creare un consenso e non un concetto (Deleuze).
    La sola maniera di difenderla la lingua è aggredirla (…). Ogni scrittore è tenuto a farsi una propria lingua (…) non ci sono certezze, nemmeno grammaticali (Proust, Correspondance avec Madame Strauss, Lettera 47, Livre de poche, pp.110-115)
    Ho letto il link che rimanda all’Unità. Mi sembrano consigli di buon senso. Le abilità o competenze della professionalità appartengono a una disciplina interiore. Però non opporrei alla parola professionista quella di dilettante, piuttosto quella di incompetente.
    Oggi cmq c’è un’enfasi eccessiva sulla comunicazione, sulla quale abbondano le teorie. Resto fedele all’idea e alla pratica della comunicazione così come me l’ha insegnata Danilo Dolci.
    L’esperienza che ne ho lavorando con i bambini nelle scuole mi dà ragione e fiducia. La maieutica dolciana – priva totalmente d’indottrinamento – (non socratica) è estremamente proficua alla sviluppo di una mente metaforica e poetica (caratteristiche di una mente naturale ancora non rovinata) e allo sviluppo di quella intelligenza emotiva che è fondativa della consapevolezza e dell’identità – senza le quali non c’è proclama sulla necessità di una disciplina interiore che può esser ascoltata, agita.
    Il problema oggi è poi l’omologazione dei linguaggi, la credenza che la filosofia non serva o che sia riflessione, la scarsa preparazione culturale, la perdita dell’esercizio della memoria, la tendenza a non voler faticare nell’apprendimento, il desiderio di andare di corsa, letture facili, leggere, veloci (vedi su questi argomenti la traduzione italiana di Errata: An Examined Life (1997) di George Steiner) e sopratutto l’idea dominante – della teoria della comunicazione – che bisogna dare a capire alle persone ciò che da sé è a priori già capito (che è il modo migliore per creare rapidamente appartenenza basandosi non sull’indipendenza che è la base per l’interdipendenza ma piuttosto tramite la dipendenza. Il più bravo a percepire nell’aria un luogo comune conquista subito una marea di fans con un bell’articolo – comunicativo!).
    Ma questa logica – spacciata per chiarezza e democraticità – è la strategia esoterica di un mondo di opinion leader che adotta una retorica della persuasione che ha le sue fondamenta in alcune regolette semplici semplici, delle quali la più magnetica è quella per cui il modo più rapido di influenzare consiste nello stimolare un consenso generale mascherato da un senso di appartenenza ed evitando accuratamente che le persone possano sviluppare invece le loro motivazioni intrinseche e un loro stile.

  28. Mi pare un discorso sensato, e considerando la cornice in cui è stato fatto abbastanza condivisibile: l’intenzione di John August mi pare quella di spiegare agli studenti a quali conseguenze si va incontro comportandosi in modo non professionale. Lo applica alla scrittura e al web e dice cose mediamente condivisibili.
    Però lo sfondo non mi piace, d’improvviso si passa dalla sensatezza al Wasteland: “tutto quello che avete è il vostro lavoro. Quindi date il meglio di voi stessi. Sempre e comunque.”
    E qua mi sconnetto!

  29. Beh, Loredana, io concordo con il tuo post scriptum: aggiungo che certi titoli come “auto investe cinese” mi lasciano ancora più allibita, allibita al punto che le mie capacità di comprensione fanno tilt – io sarò e sono l’ultima degli ingenui – ma proprio mi capita di non capire di che diavolo parlano articoli del genere (penso, che so, a un pezzo sul trend economico) finché non rileggo. E mi indigno. Mi offendo. Mi vergogno (come diceva Primo Levi).
    Sul resto, sul regista e il suo invito alla professionalità, mantengo una posizione più flessibile. Intanto, quando parlavo di “accademico” mi riferivo all’accademia in senso stretto, senza connotazione necessariamente negativa. Ricercatori, gruppi di studio.
    Anche sulla questione dell’ “adesso parlo io”, sono più cauta. Forse perché frequento un numero impressionante di blog non letterari, sono spesso incuriosita da certi “adesso parlo io”, densissimi ma un po’ (vero) nerd dal punto di vista della comunicazione: gruppi di astronomi che tentano di diffondere la notizia del minimo solare in corso, sperimentatori di hi-tech che pubblicano le loro prove di hardware e di programmi; sono curiosissima di questi arcipelaghi, e dei loro linguaggi. So che certo parliamo di campi diversi, ma mi limitavo a spezzare una lancia per quella parte del web.
    un saluto
    i

  30. Avevo già letto l’intervento.
    Molto interessante, anche se – deformazione professionale – le leggi universali che pretendono di esser valide per ogni situazione mi lasciano sempe peppplesso.
    L’intento è nobile, lo scritto non sempre.
    E a ragion veduta.
    Quando scrivo una diffida per un cliente non uso lo stesso linguaggio, la stessa perizia, e la stessa ricerca prodromica che utilizzo nel rispondere ad un visitatore del mio blog che (spesso…) mi chiede come denunciare il vicino molesto, o come “fottere” la bastarda della sorella che vuole cuccarsi tutta l’eredità del papi, o semplicemente mi chiede di darle un’opinione su come ha scritto una lamentela al sito dove è ospitato il suo blog. Non credo che per questo possa essere tacciato di dilentantismo avvocanzesco…
    E’ come dire che un soldato per uccidere le mosche deve vestire rigorosamente la sua uniforme, imbracciare il fucile con mirno ad infrarossi e sparare rispettando il codice d’onore.
    Certo, sarebbe molto “professionale”, ma un pò pirla, non credi?
    Ad ogni modo mi piacerebbe capire il commento sopra in cui si dice che “la maieutica dolciana non socratica estremamente proficua per la mente metaforica e poetica….”….scusate tanto, ho dimenticato il Devoto Oli in metro… 😀

  31. @Avvocanzo.
    Forse ho frainteso completamente il senso del discorso John August, ma a me sembrava che dicesse che bisogna fare bene le cose che si stanno facendo avendo come obiettivo, sempre, la qualità del risultato.
    Ovvero se tu sei un avvocato, in quanto avvocato dovresti avere le competenze per sapere con quale linguaggio rivolgerti al giurista e con quale invece rivolgerti ad un tuo sprovveduto cliente.
    E così, per continuare con l’esempio che fai tu, il soldato non sarebbe nemmeno un buon soldato se si mettesse in assetto di attacco contro il nemico per uccidere le mosche. Sarebbe solo un cretino.
    Non ricordo più che diceva che per sapere se una cosa è buona devi comprenderne prima la funzione.
    E a me pare che August, nel suo discorso, la funzione la tenesse ben presente.
    Non so forse ho banalizzato il discorso, ma io è così che l’ho capito.

  32. Ho scoperto adesso questo post e mi trovo perfettamente in sintonia con John August e con la scelta di Loredana nel sottolinearne questo brano.
    Purtroppo lo scontro con una diffusa leggerezza sta diventando piuttosto frequente e fastidioso.
    A volte questa leggerezza ce la scopriamo addosso a distanza di tempo, e allora è davvero intollerabile, perché ci racconta e descrive come non vorremmo realmente apparire, ma non si può più cancellare: resta indelebilmente pubblico e ha il nostro nome, la nostra “faccia”. Per questo dovremmo sforzarci sempre e “adesso” di non lasciare tracce se non opportunamente pensate.
    Come un ragazzo che si faccia tatuare una parte del corpo con un’immagine o un motto: pensa di lanciare un messaggio e sicuramente in quel momento ne è abbastanza convinto. Poi magari, maturando, si dissocia dal suo passato immaturo, ma se lo ritrova stampato addosso, difficile da rimuovere.

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