IL POTERE DEL FALSO E QUELLO DELLA RETE

Un paio di buone notizie.
A fine gennaio torna in edicola
Stilos, dopo due anni di assenza. Sarà un mensile di 130 pagine, a colori. Qui il comunicato stampa.
Poi, una segnalazione che arriva in colpevole ritardo, anche se me ne sono occupata a
Fahrenheit: uno dei libri da procurarsi subito è Sarà vero, la menzogna al potere, di Errico Buonanno. Qualcosa di più di un saggio. Qui trovate un estratto.  Rileggendolo, in questi giorni, ne sono ancora più affascinata.
Terzo.  Un’intervista interessante. Quella ad Andrew Wylie apparsa su Repubblica di oggi. Date un’occhiata…

Andrew Wylie è il più potente, rispettato e temuto agente letterario del mondo. Solo per fare alcuni nomi, tra i suoi clienti ci sono Philip Roth e Orham Pamuk, Salman Rushdie, Oliver Sacks, Dave Eggers e Martin Amis. Sono stati suoi clienti anche Norman Mailer, Saul Bellow e Susan Sontag, dei quali oggi amministra i diritti letterari, oltre a quelli di Jorge Luis Borges, John Cheever, Raymond Carver, Yukio Mishima, Vladimir Nabokov e, tra gli italiani, Italo Calvino e Giorgio Bassani.
Il suo ufficio principale è a New York, ma ha una sede non meno importante a Londra, gestita dal suo braccio destro Sarah Chalfant. Ha da poco superato la sessantina, e comunica immediatamente un´aria di sicurezza ed energia. È perfettamente consapevole di essere un´icona sia del mondo newyorkese che di quello letterario, e non si preoccupa affatto di nasconderlo. Quando convinse Martin Amis ad abbandonare la sua storica agente Pat Kavanagh, moglie di Julian Barnes, all´epoca migliore amico dello scrittore, i nemici gli affibbiarono il soprannome “sciacallo”. Wylie non se la prese molto, e ricorda che il passaggio fruttò ad Amis un anticipo per il nuovo romanzo di 750 mila dollari, cifra all´epoca assolutamente inaudita.
Nel gruppo di oltre seicento autori che rappresenta ci sono anche David Rockefeller, Al Gore e Nicolas Sarkozy, e di quest´ultimo sottolinea, con una punta di orgoglio, che fa parte dell´agenzia prima che diventasse presidente.
Originario di Boston, si è laureato ad Harvard in letteratura romanza ed è diventato agente letterario relativamente tardi: gli anni Settanta e Ottanta sono stati caratterizzati da una sfrenata vita notturna, nella quale frequentava il giro di Andy Warhol. Oggi ricorda quel periodo con simpatia, gratitudine, e nessun rimpianto per gli eccessi. «La mia educazione è stata molto convenzionale», racconta nel suo ufficio di fronte alla Carnegie Hall, «ho studiato i classici e ciò è stato importantissimo per la mia formazione. Tuttavia Andy Warhol è stato un maestro di vita, che ha avuto un ruolo non meno importante: era un uomo eccitante, divertente e sempre interessante, che mi ha insegnato a vedere il mondo in modo diverso. Sino ad allora il mio mondo era fatto di Milton, Eliot e i classici italiani e francesi: necessari, anzi fondamentali, ma non sufficienti per affrontare la vita».
Quanto è importante oggi un agente letterario?
«Le rispondo che John Updike non aveva un agente, e per cinquanta anni ha trattato i suoi diritti attraverso il suo editore americano Knopf. Quando gli offrii di rappresentarlo mi disse gentilmente “no”, e non posso dire che i suoi libri non abbiano avuto la circolazione che meritavano. Tuttavia oggi ne rappresentiamo i diritti letterari, e a questo punto sento una responsabilità morale».
Come ha iniziato?
«Ho lavorato per due anni in una piccola agenzia chiamata JCA, il cui titolare si chiamava John Cushman. Quando mi sono reso conto di aver imparato il mestiere mi sono messo in proprio. Il primo ufficio è stato il mio appartamento, dal quale ho dovuto traslocare quando mia moglie ha scoperto di aspettare il nostro primo figlio».
Philip Roth racconta che all´epoca in cui ha cominciato a rappresentarlo era senza una lira.
«Io non credo che lo fosse, ma Philip ama raccontare la storia così. Gli proposi di rappresentarlo all´epoca di Inganno. Ovviamente dovetti incontrare il suo editore Roger Strauss, il quale deteneva i diritti internazionali dei suoi libri, e mi mandò violentemente a quel paese. Ma Philip capì che aveva tutto da guadagnare, e dopo un po´ di tempo feci la pace con Strauss: mi invitò a pranzo fuori e pagai io».
Quali sono i clienti più difficili da rappresentare?
«Io ritengo che nessun autore di qualità sia veramente difficile. Rappresento qualcuno perché sono appassionato al suo lavoro, e si tratta di trasmettere questo sentimento, perché è difficile resistere a una passione sincera. Io vedo il mio ruolo come quello di un giardiniere in una tenuta. So di poter essere licenziato se non svolgo il mio lavoro in maniera soddisfacente. A volte può succedere anche il contrario, anche se in trenta anni di carriera mi è capitato solo due volte di dire a un autore che doveva trovarsi un altro agente. Spiegando ovviamente che era meglio per lui».
Lei ha sempre valorizzato autori non commerciali. Non ritiene che ci sia un rischio anche nell´élitismo?
«Non credo proprio. La qualità non è mai snob».
Ha dichiarato che i più grossi anticipi sono dati ai politici in disgrazia o agli scrittori falliti, aggiungendo anche che non rappresenta alcuno di costoro.
«Era una risposta data a chi mi faceva notare che rappresento raramente autori di best seller. Per scrittori falliti intendo i cattivi scrittori, anche se di successo. Ritengo che nel nostro mestiere sia data troppa importanza alla quantità e poca alla qualità. Ovviamente non ho nulla contro i politici, e nel caso di Sarkozy, mi resi conto che chi lo rappresentava ne aveva venduto i libri a case editrici sconosciute. Io mi limitai a far notare che avrebbe potuto diventare presidente e che avrei potuto vendere gli stessi libri a case di ben altro livello».
Le vendite via Internet con Amazon stanno rimpiazzando gradualmente le librerie.
«Non ritengo che si tratti di un problema per l´industria. Le grandi catene saranno gradualmente rimpiazzate, e non è necessariamente un male: oggi si privilegiano pochi best seller sui libri di sostanza. Le vendite tipo Amazon garantiranno più spazio a libri che oggi vengono schiacciati da titoli di facile presa. Ci sarà maggiore indipendenza, e, potenzialmente, la resurrezione di un prodotto di qualità».
La percentuale degli autori stranieri pubblicati in America è decisamente più bassa di quella degli autori americani nel resto del mondo.
«È un problema che personalmente mi sta molto a cuore. Basta vedere la lista dei miei clienti per comprendere quanto sia attento agli autori non americani. Ovviamente si tratta di un problema culturale, prima che commerciale, riguardo al quale non si può puntare il dito frettolosamente sull´industria letteraria. Tuttavia, anche in questo caso, i nuovi strumenti di vendita possono aiutare molto: è possibile valorizzare i vecchi titoli di autori di successo e riscoprire anche scrittori meno noti. Ritengo che nel nostro settore sia necessario fare investimenti culturali a lungo termine, altrimenti è inevitabile il declino».

4 pensieri su “IL POTERE DEL FALSO E QUELLO DELLA RETE

  1. Siamo sempre là. Uno va su
    http://www.wylieagency.com/
    clicca su “submissions” e viene fuori la solita solfa:
    The Wylie Agency does not currently accept unsolicited submissions.
    Meno male che a marzo Giulio Mozzi terrà un seminario su “Come presentarsi agli editori”:-/

  2. «Non ritengo che si tratti di un problema per l´industria. Le grandi catene saranno gradualmente rimpiazzate, e non è necessariamente un male: oggi si privilegiano pochi best seller sui libri di sostanza. Le vendite tipo Amazon garantiranno più spazio a libri che oggi vengono schiacciati da titoli di facile presa. Ci sarà maggiore indipendenza, e, potenzialmente, la resurrezione di un prodotto di qualità»
    Parole da copincollare nel cervello collettivo dell’industria editoriale mondiale.

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