Da oggi sono in viaggio: alle 18.30 mi trovate alla Feltrinelli di piazza Piemonte a Milano, per presentare Non è un paese per vecchie con Annamaria Testa e Lorella Zanardo. Domani Torino, mercoledì Firenze, giovedì Roma. Vi darò notizie. State bene.
Ps. Qui il post di Lorella Zanardo.
Cito da un suo post precedente: “Dire cosa fare è, come sempre, difficilissimo. Dal canto mio, continuerò a fornire materiali e occasioni di riflessione. Questo, come sempre, è il primo passo. Per me.”
Non sarà forse difficile “dire cosa fare” perché ci mancano gli strumenti per analizzare le problematiche che ci assillano? Dal canto mio ritengo che uno strumento indispensabile sia la cultura psicoanalitica, che non a caso in questo nostro paese disgraziato viene costantemente ignorata, e guarda un po’, specie quando gli argomenti sono di pertinenza quasi esclusiva di questa disciplina. E attenzione che non parlo di “psicoanalisi” (e psicoanalisti) ma di “cultura psicoanalitica”, ossia il sentire collettivo che dovrebbe per lo meno permeare voi intellettuali (ok, lei ha citato Hillman su la vecchiaia). Quando leggo forum/blog come quello della Zanardo, di Femminismo a Sud, di Gad Lerner che, se il cielo volesse, dovrebbero essere luoghi di apertura verso il nuovo, mi ritrovo sempre un popolino provinciale e ottuso, decisamente conservatore (senza contare le puritane fan della Zanardo che riescono a scrivere “la Avallone era troppo scollata”), che lungi dal volersi applicare in letture che aprano la nostra mente a prospettive analitiche nuove, finiscono per blaterare all’infinito la propria indignazione, senza che questo possa offrire loro una prospettiva evolutiva degna di questo nome. A che serve allora la protesta, la denuncia reiterata, il lamentarsi? IMHO a rinsaldare il desiderio di repressione, ovvero a occultare misoginia, sessismo e violenze di genere attraverso l’occultamento del corpo. Niente corpo esposto niente battute becero-sessiste del vespone di turno. E mi preme anche farle presente, gentile Lipperini, che Lei non si limita a fornire materiali, ma li organizza ideologicamente.
Dunque vengo brevemente al libro. L’ho letto venerdì sera/notte. Ho letto anche la curiosa e imbarazzante esaltazione acritica sull’heavy metal (un genere di musica che troppo spesso veicola ideologie tra le più reazionarie). E sa che le dico, che il suo è un libro pervaso da un sottile piacere necrofilo. Manca una tesi di fondo e i tentativi d’analisi, che pur emergono dal materiale informativo somministrato al lettore, finiscono per confliggere tra loro. Non entro nei dettagli perché mi sono già dilungato troppo nel preambolo. Peraltro devo aggiungere che trovavo già inutile il libro della Zanardo (ben altro era il documentario di un anno fa), ma il suo libro reputo sia decisamente “pericoloso” (mi riferisco al “necrofilo” di cui sopra, che non rimanda, intendiamoci, a un’ideologia nichilista di fondo, né tanto meno a “gerontofilia”, ma piuttosto lascia trapelare una paura inconscia per la vita, dove la vecchiaia diventa oggetto d’esaltazione e venerazione, ancora una volta acritica, un’esaltazione tipica delle società reazionarie di stampo dichiaratamente cattolico). Rimane una domanda che a suo modo spiega la sgradevole sensazione che a pelle mi ha dato questa lettura: perché “lalipperini” considera tragico il finale di Harold e Maude? Come si può ritenere tragico un finale di film che ci regala la vita, una vita nuova e migliore della precedente? Insomma, una vita risanata?
Questo tuo libro mi interessa molto. Mi interessa perché è un problema che mi porto dentro da un sacco di tempo. E da tempo sto raccogliendo materiale sull’argomento. Prima o poi ne verrà fuori qualcosa, seppure certamente alla mia surreale e sgangherata maniera. La ragione per cui ci penso così tanto è, come spesso capita, d’ordine personale. Da un anno ormai i miei genitori hanno lasciato l’Italia. Si sono trasferiti all’altro capo del mondo, convinti da me e mio fratello, perché con 600 euro di pensione, una volta finiti i risparmi, qui da noi avrebbero fatto la fame. Già gli si paravano davanti certi scenari di cui parli nel libro. Mio padre e mia madre non avevano mai preso un aereo in vita loro; credo che il posto più lontano da Roma dove è stata mia madre sia l’Abruzzo. Non sanno una parola d’inglese. Quando si sono recati all’aeroporto avevano soltanto qualche borsa. La gran parte delle loro cose sono rimaste qui. I mobili coi quali avevano trascorso un’intera vita, i quadri, una discreta quantità di libri, il cane. Nella concitazione della partenza non sono nemmeno riuscito a trovare gli album delle foto. Ora la casa con tutte le loro cose è stata venduta. Quei soldi gli serviranno per vivere, per le emergenze, perché, da stranieri, nel paese in cui sono adesso saranno privi di assistenza, dovranno pagarsi tutto. Per quanto, pure qui ci si avvia a pagare tutto. Comunque, quello che ho scoperto occupandomi dei loro visti, dei preparativi, è che esiste un intero mondo di anziani che cominciano a lasciare l’Italia. Un discreto numero va in Africa. Sono ancora pochi, ma non così pochi come si potrebbe pensare. E sarebbero molti di più se gli anziani non fossero attanagliati dalla paura o dalla semplice impossibilità. I miei manco si sarebbero sognati di fare un passo simile se non ci fossimo stati noi figli a convincerli che in Asia avrebbero potuto condurre una vita più serena e dignitosa. Ora stanno bene. Il mese scorso si sono presi la dengue, che è una febbre topricale. Ma a parte questo, la loro vita scorre come meglio non potrebbe. In ogni caso, molto meglio di quella che si avviavano a condurre qui. E ciò che mi prefiguro quando penso al futuro della mia generazione e di quelle seguenti è un grande esodo di vecchi, di anziani che si trasferiscono in paesi poveri nella speranza che laggiù i loro quattro soldi di pensione valgano qualcosa. Un emigrazione al contrario. Mi immagino un tempo di giovani poveri cercano una possibilità nel vecchio mondo e poveri vecchi che la cercano in quelli nuovi. La notte ho incubi di questo tipo: che il mondo povero resti povero per dar da mangiare a noi vecchi, a chi, fra noi vecchi prossimi venturi, non avrà abbastanza risorse per permettersi d’invecchiare. Probabilmente non andrà così. Per tante ragioni. Però l’incubo rimane. Ed è fondamentale che se ne cominci a parlare.
Davvero interessante questo tuo commento, Tommaso. Sarebbe da sviluppare.
Oddio Tommaso Pincio, ma dove li hai messi?
Comunque, se li avete convinti, gli argomenti c’erano e hanno funzionato.
@ luziferszorn: lei scrive che Loredana Lipperini in questo libro “non si limita a fornire materiali, ma li organizza ideologicamente”. Bene. Dunque non è vero che i vecchi (non tutti, ma, quelli che non viaggiano, non hanno strumenti culturali, quelli che hanno lavorato una vita e nel tempo libero obbligato trovano solo pena e sconforto senza relazioni sociali da rinsaldare) vivono con pensioni basse in una società che non riesce a reggere nessuna forma di “sano” welfare, uccisi come siamo da un debito pubblico che viene da lontano e nonostante ciò sostengono figli spesso precari e nipoti sbadati?
Non essendo L’Istat, l’autrice ci mette del suo e meno male. Fin qui tutto opinabile. Ma quando se ne esce con: ” un libro pervaso da un sottile piacere necrofilo” mi chiedo:
a) dove? Per la musica metal?
b) la necrofilia come è esplicitata?
c) Lei parla di psicoanalisi o meglio di “cultura psicoanalitica” poi si avvita sulle puritane del blog che criticano la Avallone (non se ne esce), senza dare una motivazione reale sul bisogno di questa “disciplina” in un paese che è pieno di vecchi e vecchie (li vede come tutti, n’est pas?).
Pincio ci dà una lezione anche di stile su come vive la cosa e cosa si immagina per il futuro. Lei, ma come capita a me e ad altri, è preso dal bisogno regressivo di trovare necessariamente tutto sbagliato. Saluti.
@Luzifernszorn: Da metallaro grezzo non ho capito una beneamata del tuo commento. Solo una cosa: perchè non vai da Max Cavalera e gli dai del reazionario in faccia?
@Tommaso Pincio: interessantissimo, mi aggiungo a Biondillo (cui devo qualche ripetizione di rock :-)) nel chiederti di approfondire. Forse Houellebecq (o come caspita si scrive) ci è andato vicino.
@Tommaso Pincio: anch’io mi unisco alle richieste di approfondimento. E devo dire che è da un po’ di tempo che sto seriamente pensando di andare a trascorrere la mia vecchiaia fuori dall’ italia.
Luca non ti ci mettere pure tu!!! 😉
@Gianni: E gratis per di più!
Tommaso: mia mamma ha 55 anni ed è single e disoccupata, priva di qualunque assistenza o aiuto economico da parte dello Stato. E’ già da tempo che valuto per lei una vecchiaia all’estero, magari in qualche famiglia con bambini come aiuto o baby sitter.
Le ho letto la tua esperienza ( dei tuoi genutori, a dir la verità) e per la prima volta ha preso davvero in considerazione qualcosa di simile. Perciò grazie, da parte di mamma Mara, che ora si sente un po’ meno impaurita.
Loredana, io sono entrata qui solo per farti gli auguri di buon viaggio e buone presentazioni.
@Luzifernszorn. Solo una perplessità: IMHO?! Dato il tono dell’intervento, quell’acca mi pare sinceramente di troppo.
Amici, io questa storia cerco di raccontarla sempre perché vedo e conosco situazioni come quelle della mamma di Giulia, alla quale posso aggiungere questo per infonderle coraggio: mio padre ha 77 anni, mia madre 68. Entrambi, ripeto, non avevano mai volato prima. Mia madre manco il treno aveva mai preso. Si era sempre spostata coi “mezzi”, per dirla alla romana, o in auto, con mio padre alla guida. Penso non bastino parole per descrivere il loro aspetto al momento della partenza. Sembravano un film neorealista, solo a colori. Mio fratello che è andato a prenderli all’arrivo dice che sembravano Alberto Sordi e la moglie in visita alla Biennale di Venezia, se avete presente. Nonostante abbiamo impiegato anni a convicerli, non smetto mai di stupirmi del loro coraggio. Anche incoscienza, forse. La maggiore preoccupazione di mio padre era di non poter più vedere Anno Zero. Quella che dichiarava apertamente. Poi immagino che non dormisse, la notte, per l’angoscia. Ora ciò che mi dà più da pensare è proprio il fatto che se non avessimo potuto offrirgli questa possibilità, i nostri genitori avrebbero avuto davanti anni di stenti e umiliazioni. Perché ti senti umiliato quando non riesci a badare a te stesso. Un’umiliazione simile avremmo patito noi figli, non in grado di garantire loro una vita dignitosa. Ecco, io penso per l’appunto a questo: ai tantissimi genitori in queste condizioni (perché sono tantissimi) e a quanti figli non più giovani, magari già quarantenni come me, lavoratori “flessibili” o senza un orizzonte sul quale contare. Penso ai vicoli bui nei sentono intrappolati. Tra l’altro i veri vecchi di questa storia siamo noi. Perché sono i nati negli anni 60 e 70 i figli del boom demografico, i figli che sono divenuti genitori tardivamente o non lo sono divenuti affatto, i figli che hanno potuto contare sui piccoli patrimoni di famiglia ma che sono nell’impossibilità di accantonare un centisimo. I miei genitori avevano una casa da vendere, io no, per esempio. Non avrò nemmeno dei figli che mi diano il coraggio di cercare una vita dignitosa altrove. Purtroppo questa del paese che non è più vecchi non è una storia destinata a finire qui. Quello di Loredana è appena il prologo, temo. Comunque adesso i miei genitori vivono in una piccola isola tailandese nel golfo del Siam, in prossimità della Malesia.
Tommaso, mia mamma rinnova i ringraziamenti perchè davvero queste poche righe hanno cambiato le sue prospettive. C’è caso che in futuro vada a trovare i tuoi genitori. Non avendo noi una casa da vendere, non saprei dire quando, ma avendo io 26 anni, so che potrò permettermi di farla viaggiare sul serio. Perchè lei, come i tuoi genitori, merita una vecchiaia dignitosa e io, come te e tuo fratello, sento il dovere di aiutarla.
Mi spiace solo che non ci sia nessuna buona prospettiva affinchè tutto ciò possa avvenire qui, in Italia.
molto bello e toccante il racconto di pincio.
Io apprezzo molto Tommaso Pincio, e il suo racconto mi ha molto colpito. Mi ha ricordato angosciosamente il romanzo ‘Largo largo’, di Harrison mi pare, dove in un mondo sovrappolato e immiserito i vecchi devono scomparire.
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Ora, pochissimo tempo fa, ho letto di Tommaso Pincio un articolo che, anche quello, mi aveva molto colpito perché, secondo me, va a toccare un nervo scoperto del nostro Paese.
Ognuno può leggerlo, per cui passo subito alla domanda per Tommaso.
Scusa, ma di un Paese in cui ci ‘capitano’ le terribili vicende di cui parli, in cui ‘accadono’ cose su cui sembra non possiamo più intervenire, in cui l’azione politica è inibita (perché questo ci dici, implicitamente, nel tuo racconto, o sbaglio?) non è inevitabile parlare come di una entità aliena, di un Paese che non siamo noi (“Sottinteso e pleonastico resta però un punto: l’Italia non siamo noi”, scrivi in modo critico nel tuo articolo), ovvero parlarne come “i protagonisti di Lost parlano dell’isola in cui hanno avuto la sventura di precipitare”?
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Copio quasi per intero il brano finale del tuo articolo:
“Avete presente il modo in cui i protagonisti di Lost parlano dell’isola in cui hanno avuto la sventura di precipitare? Non ne parlano come di un semplice luogo in cui sono finiti, non la vedono come un pezzo di terra conficcato nel nulla dell’oceano. La chiamano l’Isola e si rivolgono a lei in terza persona. L’isola è questo, l’Isola fa quello. E quello che l’Isola è e fa è invariabilmente di natura malevola o comunque ambigua, sfuggente, anche quando sembra fare del bene ai suoi ospiti. L’isola è aliena agli isolani per caso. Ebbene, la maniera in cui noi ci rivolgiamo al nostro paese non è tanto diversa. Similmente ai naufraghi di Lost che si affannano alla ricerca di un sistema per andarsene, la Penisola è un luogo solo in apparenza abitabile e ubertoso, tant’è che abbiamo eletto a dimensione quasi eroica una categoria molto particolare di persone, quella dei navigatori, dei migranti, dei cervelli in fuga, di coloro che cercano il proprio destino altrove”.
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Ma di un Paese in cui anche i vecchi debbono cercare – ‘inevitabilmente’ -il proprio destino altrove, come dobbiamo parlare se non come di Lost?
E lo dico con molta amarezza, anche perché io il contenuto del tuo articolo l’ho condiviso fino in fondo e ci ho trovato dentro anche motivi di autocritica, ma ora, davanti al tuo racconto, non so più cosa pensare o, meglio, come pensare.
@ Giulia: spero per te tanta serenità e per tua madre e per le madri e anche per noi figli, ma Pincio racconta una storia personale andata bene (son partiti accoppiati i suoi), ma tutti i genitori all’estero, in un’isola tailandese? Tua madre è giovanissima, deve combattere e trovare il suo posto nel mondo qui, anche per voi figli. Siamo dunque così disperati?
Vincent: sì.
In italia per una persona di cultura media, con più di 50 anni e senza nessuna capacità specialistica di nicchia, è impossibile trovare lavoro.
@Tommaso Pincio. Credo che il dovere di un figlio sia fare di tutto per conservare ai genitori anziani il contesto di appartenza, senza il quale perdono ogni riferimento. Disapprovo totalmente la decisione tua e di tuo fratello.
Lucio Angelini: quello che tu chiami “contesto di appartenenza” non si può conservare con 600 euro di pensione, nemmeno se hai una casa di proprietà. È di questo che si sta parlando, è per questo che a volte si è costretti a prendere decisioni tanto gravi. La nostra approvazione non è né richiesta né necessaria. La riflessione, invece, sì. E potrebbe partire da una frase di Tommaso: “cercare una vita dignitosa altrove”. Conservare la dignità o l’appartenenza?
Non concordo con Angelini, dipende dai vecchi, da quanto vecchi sono – quelli di Pincio mi sembrano ancora vicini al versante anziani – da quanto vecchi si sentono, da quanto sani sono, da quanto curiosi sono, da quanto aperti sono e da com’è il posto dove vanno e da quanto ci tenevano al posto in cui stavano.
Se poi riescono ad andare in più di uno o di due, meglio ancora.
E’ triste per l’Italia. E come dice Pincio sarà ancora più triste in futuro, per i giovani prima di tutto.
@nicoletta. eh no. un conto è trasferirsi magari in campagna con un pezzetto d’orto da coltivare, un conto trapiantarsi a forza dall’altra parte del mondo, dove nemmeno i figli possono accorrere in caso di necessità. Mi auguro che ai miei figli non venga mai in mente di soffiarmi in un orecchio un suggerimento del genere. Ci resterei di merda, letteralmente. Altro paio di maniche sarebbe se la decisione la prendessi io in perfetta autonomia (non mi dispiacerebbe trascorrere l’ultima parte della mia vita nel deserto di Sonora).
Rispetto molto il discorso di Pincio è un modo concreto per raccontare un’altra storia. Suvvia, non credo che i suoi siano stati deportati, si saranno convinti, pur nell’imprevedibilità di molte cose.
Ma è imprevedibile anche sapere come si invecchierà, e ci sono molti modi. C’è la malattia che prende e ti porta via in breve. C’è la malattia che ti indebolisce e ti sconvolge la mente a lungo, e ti rende ‘non autosufficiente’. Ma vi assicuro che sono pochissimi i casi in cui la vecchiaia e i suoi guai vengono trattati con competenza medica, burocratica e soprattutto con rispetto umano. Anche per morire con dignità. E pochi i casi in cui i figli riescono a non schiantare sotto il peso di una gestione essenzialmente ignorante, tra inadeguatezze mediche, umane, e tagli alla Sanità. Non mi sembra giusto indulgere nell’illusione che certe cose cambieranno presto, mentre mi sembra importante lottare per farle conoscere e forse cambiare. Ma, ora, una scelta come quella dei genitori di Pincio mi sembra una delle poche prese con la consapevolezza reale di quanto si dovrà affrontare, sia qui, sia laggiù.
Intanto diamoci da fare perchè la storia sia un’altra.
Proprio oggi sono 13 anni che vivo fuori dall’Italia. Sono giovane per gli standard giovanilistici italiani, ma ammetto che sto pensando anch’io ai miei genitori e alla mia vecchiaia futura.
Anche per noi apolidi, che siamo partiti da molti anni, si pone un problema vecchiaia. Un problema di ritorno, se mai fosse possibile e auspicabile. Insisto sull'”auspicabile”.
Ma certo, magari in Alto Adige si invecchia meglio che in Umbria o nel Lazio. Quello che deve cambiare qui è l’atteggiamento verso la vecchiaia, un atteggiamento che sta peggiorando, non solo tra i giovani, anche tra tutti quelli che, di sorpresa in sorpresa, hanno a che fare, inesorabilmente, con genitori che diventano anziani. Il rispetto non credo sia solo ‘trattarli bene’, ma conoscerli nelle loro debolezze, nelle ansie, nella malattia. Senza esserne travolti – perchè proprio così non ce lo immaginavamo…
Io continuo a sostenere che su un Pincio da ammirare, vuoi anche per la scrittura (talmente lieve ed ironica nonostante l’argomento che la storia dei genitori diventa “fantasmatica” e quasi irreale), noi altri dovremmo gestire le terribili difficoltà qui e ora, sperando che qualcosa cambi. La nostra lingua e le radici come ovvie e retrive? Non vorrei un Lost geriatrico, a costo di sembrare banale e reazionario. Apre scenari inquietanti.
Non è un Lost geriatrico Vincent, se cambi punto di vista. Può (non deve) essere la scelta che fa una età, come qualunque altra scelta. Finché c’è un pericolo reale (ed immediato – a una certa età non si ha tempo) di vivere molto male qui. Indubbio, il guaio è che non si va per il sole o il clima a mo’ di vecchietti americani… Gestire qui ed ora senza conoscere? Cosa si sa prima che quell’età scocchi? Chi conosce si pone il problema, ma cosa fai in concreto se neanche ti immagini? Quanti vivono con degli anziani, e lo sanno?
Avevo scritto un lungo commento di replica. Poi ci ho ripensato. Ho pensato che forse non era il caso. Perché le parole da dire le ha scritte Paola Di Giulio. Per cui le copio e le incollo: “Vi assicuro che sono pochissimi i casi in cui la vecchiaia e i suoi guai vengono trattati con competenza medica, burocratica e soprattutto con rispetto umano. Anche per morire con dignità. E pochi i casi in cui i figli riescono a non schiantare sotto il peso di una gestione essenzialmente ignorante, tra inadeguatezze mediche, umane, e tagli alla Sanità.” Tra questi pochi casi rientra la mia famiglia. E poco conta se sia un caso da ammirare o disapprovare. A un tratto abbiamo intravisto la tegola che ci stava cadendo addosso: i soldi stavano finendo, la salute era un’incognita, il paese era quello che ha descritto Paola. Ci siamo barcamenati per anticipare il disastro: è questo il succo, giusto o sbagliato che sia. Ma il mio pensiero è per i molti cui manco è concesso il barcamenarsi o che non sanno come farlo. E questo pensiero è il motivo per cui, d’impulso, ho raccontato qui la mia esperienza in fondo fortunata. Tutto qua. Ringrazio col cuore Sergio Garufi per le parole che ha usato, e valeria e tutti gli altri, compreso chi ha disapprovato. A Giulia faccio i miei auguri. Come Vincent, trovo che tua madre sia ancora giovane e tu giovanissima. Il tempo ha il suo valore. Semmai deciderai di partire per un viaggio esplorativo sentiti libera di contattarmi. Ti dirò dove vivono esattamente i miei e come funziona la faccenda in termini di visti.
Fa un po’ paura spostare le proprie radici, quasi sempre, figuriamoci da veccchi. Ma il ‘viaggio’ di un anziano, con destinazione un ospedale o una casa di cura, o verso la vita affidata ad altri sconosciuti , non deve essere molto meno destabilizzante, temo.
Sì, condivido la preoccupazione di Tommaso: “Il mio pensiero è per i molti cui manco è concesso di barcamenarsi o che non sanno come farlo”.
Già. A me viene da aggiungere un’altra cosa.
Quando cominciarono ad essere introdotti i primi contratti a termine, sembrava che a termine dovesse essere anche il fenomeno.
Fummo in pochi a dire: “attenzione si sta precarizzando il mondo del lavoro”, e non solo nel senso che i precari sarebbero inevitabilmente aumentati, ma perché i lavoratori tutti, nel loro insieme, sarebbero diventati più deboli.
Profezia, peraltro facile, che si è puntualmente avverata.
Così mi pare che in una società in cui i vecchi godono di così poche garanzie e sono esposti davvero ai venti della fortuna come si diceva un tempo, tutta la società diventa più fragile, e non solo perché l’età media in Italia sta inesorabilmente aumentando e a alla maggioranza di noi capiterà di diventare vecchi, ma perché anche i giovani, i sani, i cosiddetti ‘vincenti’ diventeranno, diventeremo, tutti più deboli.
Appunto mi veniva in mente ‘Largo largo’. Perché in quel romanzo, almeno per come me lo ricordo, anche i privilegiati riescono a godere soltanto di avanzi di privilegi e i luoghi in cui disperatamente si arroccano sono corrosi, anche essi, dalla fatiscenza.
@Paola Di Giulio: magari sapessi rispondere alle tue domande, ma come scrive Pincio la sua si è rivelata una esperienza fortunata, non l’unica soluzione. Chiaramente dove c’è una scelta consapevole, bene, la mia perplessità è di fronte a chi cerca di trovare qui una sua dignità. In caso contrario questo non è un paese per vecchie, per vecchi, ma nemmeno per giovani, per l’età di mezzo, per i bambini. Non è un paese per nessuno. Dura da digerire. Siamo attrezzati al pessimismo cosmico o iniziamo a farci sentire soprattutto politicamente? Aut Aut. L’Italia ha bisogno di un videat psichiatrico, sono molto angosciato.
non ho figli, ma vorrei parafrasare il secondo commento di Lucio Angelini – di cui condivido anche il primo (sempre che non si abbiano contrasti insanabili o vecchi conti da regolare con i genitori, e allora va benissimo spedirli nel golfo di Siam e anche più lontano):
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“spero che ai miei 6 nipoti non venga mai in mente di soffiarmi in un orecchio un suggerimento del genere. Ci resterei di merda.”
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D’altra parte, non posso escludere che tutto andrà per il meglio. Saranno i fatti a decidere, certo, ed è proprio quello che mi auguro in questo caso.Due anziani soli con il dengue a miliardi di chilometri, però, non mi farebbero dormire tanto più tranquilla che saperli nell’Italia berlusconiana – come figlia amorevole, intendo dire.
Io credo che non sia legittimo entrare nell’ambito delle decisioni di una persona, approvando o disapprovando le sue scelte.
Per questo il piano della discussione deve essere spostato, secondo me, dal caso singolo, concreto e insindacabile di ‘una’ decisione alle condizioni generali entro cui questa decisione è stata presa.
E, siccome le condizioni generali riguardano tutti noi, il piano in cui devono essere affrontate è politico.
Riconosco che questo della politica è un mio chiodo fisso, ma da questa ossessione non riesco ad uscire.
hai ragione, valeria. Scusatemi.
Certo Valeria, anch’io penso che il racconto di Pincio sia ‘una’ delle risposte, da parte di chi ha comunque percepito il problema per quello che è: drammatico, sconcertante, soprattutto per alcune categorie. Il problema è politico, ma mancano anche le informazioni per farne una lotta. Abbiamo dati che non forniscono la descrizione di atteggiamenti, psicologie, burocrazia, ostacoli, ecc. che ci sono invece nel libro di Loredana.
La soluzione di Tommaso parte dalla percezione del problema quale è ora, qui. E’ importante penso, perchè non è la ‘solita’ soluzione.
La solita soluzione qui da noi esiste, passa per conoscenze, raccomandazioni, arte di arrangiarsi – cura del proprio orticello, cui moltissimi si dedicano a tempo pieno ormai. Questa soluzione italica sta modificando l’immaginario, ma senza che i più se ne accorgano, e lo modifica nei confronti di una categoria che ha meno visibilità dell’infanzia, ad esempio. Ma le storture che subisce riguardano immediatamente anche i familiari (se ci sono) e quindi rischia di storpiare l’atteggiamento mentale di almeno due generazioni. E’ un problema vasto. Coinvolge anche la mentalità degli anziani stessi, italiani, spesso convinti graniticamente che siano i figli a doversi occupare di loro.
Pincio, grazie per l’intervento allora!
Qualche anno fa ebbi a che fare (come traduttore) con la Jean Ure di “VOGLIA DI URLARE”. Il profetico scenario del romanzo era una Londra del 2015 in cui stava dilagando un inquietante trend: quello di abbandonare in autostrada – come da noi già si fa tranquillamente con i cani che non si vogliono portare in vacanza – gli anziani più ingombranti, soprattutto se incapaci di dare informazioni sulla propria provenienza (in preda all’Alzheimer, in stato variamente confusionale eccetera). Naturalmente venivano anche raccattati da benefiche istitutzioni e internati in appositi centri di raccolta.
Ecco appunto la burocrazia, il disinteresse o la spocchia. Ho firmato un’autocertificazione per un esame medico molto oneroso, riducendo i costi e l’impiegata della ASL dopo ore di attesa non solo non ha riposto ad un buongiorno risicato, ma ha ripetuto stizzosa che i controlli sono frequenti e che le esenzioni per reddito sono le prime ad essere colpite. Di fronte a una replica un po’ disperata, ovvero li mandi lei quelli della finanza, non ho niente da nascondere, ha finito esasperata con un:”non faccia lo spiritoso, avanti un altro”.
Dunque sì la politica ma anche ritrovare un senso di comunità e di condivisione, provarci almeno. Non siamo oggetti con il biglietto elimina code.
Vincent, guarda, o si trova il burocrate identificato totalmente che ti spiega perchè e per come quel controllo è necessario (e ovviamente mentendo), o la persona esasperata che vede rosso. Ho incontrato, ma assai raramente, qualcuno che mantenendo il buon senso, era d’accordo sulla critica e magari ti indicava come inoltrare una nota al riguardo! Credo 2 in vita mia.
Non ci rimane che piangere, dunque. Capisco perché la soluzione Pincio attragga e convinca in un paese in cui le regole sono saltate da troppo tempo.
Un paio d’anni fa ho visto sulla BBC un servizio dove si parlava di una coppia di pensionati inglesi che, a una vita grigia nel Regno Unito, ne hanno preferito una più brillante in Malesia, sostanzialmente per le stesse ragioni dei genitori di Pincio. Mentre, parlando con una persona a me molto vicina che si occupa di servizi sociali, ho saputo che in un paese scandinavo, credo la Svezia, ma non ci giurerei, alcune case di riposo sono state “trasferite” in Turchia ( se non ricordo male), dove i costi di gestione sono chiaramente più bassi.
Felici in Malesia, infelici in Europa.