“Le donne non possono avere tutto”, dice Anne-Marie Slaughter su The Atlantic. Il “vogliamo tutto” è’ un mito, e anche un lusso, risponde Laurie Penny su The Independent. E, a metà articolo, centra il punto: con la crisi economica, scrive Penny, non ho tempo, denaro e stabilità per prendermi cura di un cagnolino, che è quanto vorrei di più al mondo, figurarsi di un fidanzato o di un bambino. E, aggiunge, molte delle mie amiche sono in una situazione simile. Di cosa stiamo parlando?
Più passano le settimane, e più mi rendo conto che la parte emersa del movimento delle donne si sta sgretolando: insisto sulla parte emersa e visibile perché è il concetto stesso di femminismo – comodissimo e utilissimo sino a fine 2011 – a essere rimasticato, denigrato e risputato (oltre che ridicolizzato, frainteso e schernito) come termine di paragone negativo. Non mi stupirei se fra poco l’aggettivo anti-femminista venisse usato anche per vendere il tonno in scatola. Corsi, ricorsi, riflussi.
I movimenti, però, sono vivi e vegeti. Ma terribilmente, mi sembra, sconcertati. Troppe (quasi tutte) questioni rimaste aperte: femminicidi (non una sola istanza delle donne è stata accolta: e l’indagine Istat commissionata dalla ministra Fornero è un passo troppo piccolo per esserne soddisfatti), svuotamento della 194, mortalità materna e neonatale ancora alta rispetto agli altri paesi europei, difficoltà estrema di ottenere gratuitamente l’analgesia epidurale, mancanza di servizi per la prima infanzia, minima presenza nei luoghi di “narrazione del mondo” (giornali, televisione, editoria – l’indagine continua, a proposito, e a settembre avrete altri dati e notizie su DICA).
E, soprattutto, il lavoro. Ha ragione Laurie Penny: la maggior parte delle giovani donne non può permettersi neanche di porre la domanda sul volere tutto, metà, un quarto. Il rapporto Istat sulla povertà parla chiaro sui soggetti a rischio: che sono madri single e bambini. E allora la questione si gioca su questo tavolo, a dispetto di tutti i polveroni recenti, presenti e presumibilmente futuri.
Ieri stavo guardando una trasmissione su (non dico il nome perché non so se posso) e parlavano della ruota per raccogliere i neonati ed evitare che vengano gettati nei cassonetti. D’accordo sull’evitare che i neonati siano considerati spazzatura, ma un po’ di prevenzione, scelta abortiva e cose del genere, assolutamente bandite dal discorso. C’era pure chi parlava di andare alle radici del problema che, secondo lui era, le donne a casa a fare le mamme e le casalinghe! Assolutamente non toccati i problemi reali del lavoro, dell’astensione per maternità, delle pari opportunità uomo e donna in materia di lavoro e figli e, come ho già detto prima, assolutamente nessun riferimento alla 194 e a un suo migliore uso. In che mondo viviamo? Vedi, la sensazione è di un eterno ritorno e allora, se da una parte non amo l’aggressività e l’urlato e ho anche una grande fiducia sia nelle donne che negli uomini, dall’altra mi sembra che tutto venga manipolato e confuso e poi cestinato appioppandoci l’etichetta di moda. Io sono donna e femminista, certo e un po’ stufa di ritrovarmi sempre punto e a capo e con tanti uomini e, ahimé, con tante donne. Mi aspetto molte critiche.
in questi mesi avrei voluto scrivere molto, condividere molto, su questo tema, ma ero muta. Le parole mi servivano per dar forma a una separazione (salutare, ma difficile), che ha avuto titolo, svolgimento e conclusione da quella che mi sembra essere la radice della radice di tutto questo: si dà per scontato/assodato/naturale/inevitabile che la visione del mondo sia una e sia “maschile” (anche se la si chiama con un nome femminile, e cioè tradizione/natura/cultura), e quindi tutto quello che non è in linea, automaticamente è “femminile”, dunque “ormonale”, dunque “impraticabile”. Come se fosse molto difficile, in una discussione, accostare un pensiero all’altro, in modo orizzontale, accavallando i pensieri, mescolando le idee. No: le discussioni sembrano dover procedere per opposizioni, per confronto e paragone con una Verità già data, in verticale…
Non è questione di vogliamo tutto/non possiamo avere tutto. E’ che, semplicemente, vorrei poter volere quello che voglio, e non quello che mi si chiede di volere…
l’anonimo di cui sopra sono io…
Loredana, nel condividere al 100% lo spirito di questo post, rimetto però le vesti antipatiche del Pierino Credo infatti che, così come è necessario purificare il linguaggio, altrettanto necessario sia usare i numeri e i dati in maniera appropriata; anzi, stiamo in realtà parlando della stessa cosa, perché anche i dati sono un contenuto del linguaggio. In breve: non è affatto vero che in Italia la mortalità neonatale sia più alta che negli altri paesi europei. E’ vero il contrario: in Italia abbiamo una delle situazioni più favorevoli del mondo. Questo fenomeno si può misurare in tanti modi. Prendiamo ad esempio la mortalità infantile, cioè quella che riguarda il primo anno di vita (ho quasi orrore a trattare in questo modo ciò che individualmente è un dramma, ma non conosco un altro sistema): siamo al 3,8 ogni mille nati vivi, e secondo questa fonte dati (http://www.indexmundi.com/map/?v=29&l=it) staremmo peggio solo di Germania e Svezia, ma di molto poco. Secondo quest’altro documento, a firma del presidente dell’Istituto Italiano di Neonatologia, che tra l’altro fa chiarezza in modo esplicito su questo falso tema dell’elevata mortalità infantile in Italia, (http://www.neonatologia.it/upload/rispostasanitanews.pdf), i paesi che stanno meglio di noi sarebbero di più, ma il nostro paese resterebbe nel gruppo di testa, a livello sia mondiale che europeo. Questo è quanto invece scrive l’ISTAT, che è la fonte più attendibile di tutte (http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=tasso+di+mortalit%C3%A0+neonatale+istat&source=web&cd=1&ved=0CFIQFjAA&url=http%3A%2F%2Fnoi-italia2010.istat.it%2Findex.php%3Fid%3D7%26user_100ind_pi1%255Bid_pagina%255D%3D114%26cHash%3D279ff8c671&ei=FscHUI3kOYvcsgbj-IGTAw&usg=AFQjCNF0oCRrJC3MWN0WcXOhJ4GDSRBs0A&cad=rja): ”
Una tendenza alla diminuzione della mortalità infantile si rileva anche in Europa, seppur in misura meno accentuata e con battute di arresto e oscillazioni. I processi di allargamento dell’Unione, infatti, almeno nel breve periodo, mettono in risalto le differenze nelle fasi e nei tempi dello sviluppo dei diversi paesi. Nel 2008 emergono ancora forti divergenze territoriali e la separazione netta tra est e ovest. Rispetto alla media europea pari a 4,7 morti per mille nati vivi, Romania, Malta e Bulgaria registrano tassi di mortalità infantile decisamente elevati (rispettivamente 11,0, 9,9 e 8,6 morti per mille nati vivi). Seguono, in ordine decrescente, Lettonia, Slovacchia, Ungheria e Polonia, tutte con valori della mortalità infantile che superano la media europea. Il Regno Unito, con un tasso del 4,7 per mille, si colloca al livello del valore medio, mentre l’Italia si attesta sui livelli di Paesi Bassi, Francia, Austria, Germania, Grecia e Spagna. Finlandia, Svezia, Slovenia e Lussemburgo si piazzano in fondo alla graduatoria con tassi di mortalità infantile molto contenuti, pari a circa la metà della media europea (rispettivamente 2,6, 2,5, 2,1 e 1,8 morti per mille nati vivi)”. Ora, condurre una battaglia sulla scorta di informazioni sbagliate indirizza fatalmente male gli sforzi, distoglie risorse e provoca accanimento verso falsi obiettivi. Fornendo anche facili alibi a chi il problema vero non vorrebbe affatto affrontarlo.
http://www.unita.it/notizie-flash/iss-mortalita-materna-italia-tra-piu-alte-ue-1.421773
Aggiungo, Maurizio, che non sto sparando numeri a caso, avendo lavorato per mesi sulle cifre che riguardano soprattutto gli ospedali del sud. Capisco il sacro fuoco della statistica, però….:)
Mi correggo: non 3,8 per mille, ma 3, 38. Dovrei parlare di mortalità neonatale e non infantile, ma non ho tempo per cercare i dati in questo momento, e comunque i due fenomeni sono molto correlati: difficile immaginare un paese a bassa mortalità infantile e alta mortalità neonatale, sarebbe assurdo. L’unico dato che ho, parla di un 1,71 per mille al 2005. Che in effetti sembrerebbe un dato contenuto.
Sì Loredana, va bene parlare delle realtà regionali e mi guardo bene dall’accusarti di dare numeri a caso. So bene quanto sia difficile interpretare un fenomeno e come spesso anche quelle che sembrano realtà evidenti nascondano aspetti poco chiari. Non mi vergogno certo a dire che anche noi addetti ai lavori, e il sottoscritto non fa eccezione, abbiamo spesso preso dei granchi. A livello nazionale, comunque, le cose non stanno così. Il documento che ho segnalato prima (http://www.neonatologia.it/upload/rispostasanitanews.pdf) inizia proprio con un riferimento a certi dati. Ecco l’incipit:
‘Un titolo sconcertante “In Italia la mortalità neonatale è nettamente superiore alla media europea “, apparso su Sanità News del 4 Marzo u.s. richiama la nostra attenzione. Nell’articolo che segue sono riportati dati sulla mortalità neonatale, scaturiti da un audizione presso la Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori sanitari di esperti di ginecologia, ostetricia e punti nascita.. La mortalità neonatale risulterebbe pari all’11-13 % rispetto alla media europea del 2.3 %, , dati da confutare nella forma e nella sostanza. Nella forma, perché i valori della mortalità neonatale vanno riferiti a 1000 nati vivi ; nella sostanza, perché i dati ufficiali dimostrano una realtà ben diversa. Nell’ “Annual Summary of Vital Statistics “ : 2007, pubblicato su Pediatrics ( Heron M., Sutton P.D., Xu J., Ventura S.J., Strobino D.M. Guyer B., Pediatrics, 125, 4-15, 2010 ), i valori della mortalità infantile ( mortalità del I anno di vita ) in Italia negli anni 2004- 2005-2006 risultano essere rispettivamente del 3.9, 3.8 e del 3.8 per 1000 nati vivi, il che ci colloca all’undicesimo posto di una graduatoria che inizia con Hong Hong e termina con gli Stati Uniti’.
Il fatto che i dati sbagliati (e terrorizzanti) vengano da una commissione parlamentare non deve stupire. Per la cronaca, non ho mai ricevuto risposta al quesito che avevo posto alla Commissione Sanità del Senato, quando proprio su questo blog Amazzone Furiosa citò dei loro dati sull’incidenza del cancro al seno che facevano a pugni con ogni altra fonte ufficiale. Danno i numeri anche lì, purtroppo, e lo fanno sprecando un’enorme quantità di soldi che potrebbero essere spesi per fare cose assai più utili. Magari proprio per la cura del cancro, o la sicurezza delle madri e dei bambini.
L’articolo che tu segnali è estremamente confuso, perché prima parla di “mortalita’ materna legata al parto”, cioè di mortalità della madre, e poi fornisce invece dati di mortalità infantile (“4 morti ogni 100mila nati vivi”). Sbagliati, perché quelle informazioni si danno per mille, non per centomila. 4 morti ogni 100mila nati vivi… magari, verrebbe da dire: in realtà sono 100 volte di più. Insomma, chi l’ha scritto non ha nessuna dimestichezza con i numeri, e si vede.
Perfetto Maurizio, grazie delle precisazioni. Detto questo, sul punto del post?
Sì, infatti. Grazie, Loredana, mi stavo un po’ perdendo tra i numeri mentre credo che sia importante parlare di altro. Se è innegabile che andare avanti per opposizioni non aiuta, è anche vero che nascondere la pesantezza, per le donne, della differenza non aiuta a chiarire le posizioni. Non credo che il voltare la faccia dall’altra parte sia il modo giusto per affrontare il problema, come mi preoccupa pure chi nasconde il problema con disquisizioni inutili, cavilli verbali e giochi di cifre. Io sento nelle mie amiche una certa stanchezza, una quasi rassegnazione, e qualcuna dice pure “tanto non serve”… perché di nuovo questa remissione?
Danae, è così, proprio come hai detto tu e l’hai espresso benissimo. E’ una battaglia logorante: come donna ho imparato a “mantenere il punto” in questi discorsi gerarchico/verticali/oppositivi che permeano tutta la nostra vita e a non farmi infinocchiare o appioppare idee preconcette. Ma è solo una gran fatica e perdita di tempo, dentro di me sempre più spesso sento esplodere e urlare e vorrei prendere a schiaffi e maledire l’ottusità di tutto ciò che ci tocca affrontare. Fare una spianata di tutto e coltivare un nuovo giardino.
L’unica speranza credo sia la condivisione e il senso di comunità: è quello che dobbiamo coltivare e sentirci responsabili gli uni per gli altri.
Immagino che la domanda non sia rivolta a me, ma dato che sono stato io a portare OT la discussione mi assumo anche l’onere di tornare a bomba. E poi mi taccio. Avevo già detto prima di condividerlo al 100%, lo spirito di questo post (numeri a parte… 😉 ), e in effetti mi pare che denunci una situazione reale che dovrebbe allarmare, e invece è pigramente digerita dalla società italiana e non solo. La crisi aggrava ciò che già non funzionava prima, marginalizza ulteriormente chi marginale lo era già: madri single, donne precarie, anziani, persone che vivono in aree svantaggiate e tante altre categorie. La novità, credo, sta nello spirito calvinista che sembra aver preso saldamente piede in questo contesto, per cui si sta sempre più affermando l’idea protestante che se stai male in fondo dipende solo da te, e magari te lo meriti pure. Alfieri in Italia di questa concezione, Monti e Fornero. Ma non solo, da quello che sento e che leggo pare che stia diventando senso comune. Il primato accordato acriticamente all’emergenza economica rispospinge all’indietro quelle timide rivendicazioni che dovrebbero essere sostenute da tutti, non solo dalle donne e in particolare dai movimenti femminili: l’applicazione della 194, il sostegno alla maternità e all’infanzia, il perseguimento di una situazione sociale e lavorativa che consenta veramente le pari opportunità. Se parli di queste tematiche, il commento più benevolo che ricevi è che “in questo momento ci sono altre priorità”. Che è come dire che in questo momento non possiamo permetterci un comportamento da esseri umani. In realtà, penso che il rischio maggiore a cui questa crisi ci sta espondendo sia, prima ancora dell’impoverimento, proprio l’annichilimento di qualsiasi aspirazione a migliorare, a immaginare un futuro più equo e meno violento. Ma non ho soluzioni da proporre, se non quella di continuare a discuterne, a confrontarci, a resistere. Passerà la nottata. Speriamo.
@ De Vita, scusa eh, ma chi è che nasconde il problema con disquisizioni eccetera e giochi di cifre?
se siamo persone mature e interessate ai fatti del mondo, non possiamo considerare irrilevante che si dica che la mortalità neonatale sia più alta, se poi non è vero.
@ Maurizio
ogni volta che parli di numeri stai sempre lì a scusarti. e basta!
@___@: è che ogni volta mi dicono tutti “e quanto sei palloso!”, “e quanto sei pignolo!”… alla fine mi fanno sentire in colpa… meno male che almeno tu hai apprezzato ;-).
Molto interessanti gli articoli che ho letto tradotti su “Internazionale” di questa settimana con in copertina la scritta “La donna che rinunciò al potere per i figli”… tra i due articoli ho preferito e condivido la risposta di Penny, e personalmente conosco molte ragazze che si trovano a dover sostituire l’avere un figlio con il prendersi un cane (quando va bene!)
Per chiarire: a me fa piacere che Maurizio porti dati. Quello che intendevo dire nella risposta precedente è che andando a scomporre i medesimi si nota che negli ospedali del meridione la mortalità materna, neonatale e infantile è più alta che nel resto del paese. E non di pochissimo. E questo, al di là della percentuale esatta, è comunque un fatto di cui poco si parla e su cui poco si fa. Il giorno più pericoloso della vita di un essere umano, scive Amy Tuteur (un’ostetrica e opinionista americana) è il primo. La messa a rischio viene dai trasferimenti da punti nascita inadeguati e non attrezzati agli ospedali. Questo, ripeto, è un fatto che necessita non solo di narrazioni, non solo di numeri, ma di interventi.
Non mi riferivo ai numeri in questo blog, ma ammetto che poteva essere frainteso. Per inciso anch’io uso spesso le statistiche nel mio lavoro e so quanto sono importanti i dati esatti. Parlavo in riferimento a quanto ascoltato nella trasmissione del mio primo post e vi assicuro che non erano precisi e con riferimento alle fonti come è stato fatto in questa sede. Volevo, però, che si affrontasse il discorso non solo sui dati come mi sembra che poi lo stesso Maurizio abbia fatto. Ci sono delle persone dietro i dati, bambini, ma anche donne e uomini non informati sulle possibili scelte o ancora che non affrontano i temi perché hanno paura di essere denunziati… sembra strano, ma vivo in mezzo agli immigrati e vi assicuro che uno dei problemi è questo.
ma tutto ciò, cosa ha a che fare con il femminismo? forse che non si sa già che il sud ha problemi rispetto al resto del paese?, e comunque, rispetto alla mortalità di cui parliamo sta messo meglio di altri paesi europei. non penso che in tutti questi anni le cose non siano migliorate o che chi opera nella sanità non sappia che c’è ancora bisogno di intervenire. ma non ci si possono accollare tutti i mali del mondo.
Faccina, ma secondo te il femminismo è quella roba che mette i mutandoni alle statue o ciò che cerca di mettere a fuoco le problematiche relative alla salute, al benessere e anche la rappresentazione delle donne? Il Sud “ha problemi”, scrivi: sì, e questi problemi sono anche minor servizi e minor occupazione per le donne stesse.
le problematiche relative alla salute dei bambini, delle donne e degli uomini non sono prerogativa del femminismo e non vedo come il pensiero femminista possa aiutare a metterle a fuoco. però è facile che mi sbagli eh, ci posso riflettere. solo che mentre per la battaglia per l’aborto, c’è bisogno di forzare le opinioni altrui, questa mi pare una questione in cui tutti sono d’accordo.
e grossomodo, sono uno studente fuori sede del femminismo, mi applico.
Maurizio, i dati della Commissione Sanita` del Senato non fanno assolutamente a pugni con i dati riportati da altre fonti ‘ufficiali’. Sono, anzi, perfettamente in linea con i dati riguardanti altri paesi europei. Fatti un giro sul sito di Cancer Research UK e, per favore, conta fino a dieci prima di parlare
@Grazia: quella volta ho citato le fonti (ufficiali), e i dati non erano assolutamente in linea. Spiegai perché, chiesi chiarimenti che non mi sono stati dati e non ne capisco il motivo: sono un cittadino, perché non dovrei avere diritto a un chiarimento da parte di un organo costituzionale che spende soldi anche miei? Il che non vuol dire che non possa aver sbagliato io: ma vorrei capire dove. E comunque quel documento del senato parlava di dati italiani, oltre che europei, dati che non collimavano con le statistiche dell’Istituto Superiore di Sanità e che non credo io possa trovare nella ricerca inglese di cui parli tu. Ma poi perché pensi che io, prima di parlare, debba per forza leggere le stesse fonti che hai letto tu? Comunque lo farò, e se vuoi ti dirò che ne penso. Ma in privato, perché qui si sta discutendo d’altro.
caro @___@, io pure di femminismo non so molto (ci sono arrivata tardino), pero’ posso osservare una cosa che ho notato. Sebbene, in linea teorica, siamo TUTTI d’accordo sul fatto che sanita’ e, nello specifico, sicurezza del parto siano cose ‘positive’ (per semplificare), non tutti ritengono che tali argomenti siano prioritari all’interno della propria agenda politica, o dell’agenda politica dei partiti che potenzialmente potrebbero sostenere.
In generale, quando in Italia si parla della “difesa della famiglia” si tratta quasi solamente di un espediente retorico per intendere “negazione dei PACS o di qualunque forma di unione civile che possa interessare gli omosessuali e, possibilmente, messa in discussione della 194”. Di miglioramento dei servizi, asili, assistenza agli anziani, assegni familiari, occupazione femminile, fondi ai reparti di ginecologia e neonatologia con – magari – analgesia epidurale gratuita e (Dio non voglia!) congedi parentali/di parternita’/di cura agli anziani, questi paladini della famiglia non parlano MAI. Anzi, se devo essere sincera, c’e’ pure un limitato manipolo di fanatici religiosi (tipo predicatori dello Iowa) che si scaldano moltissimo quando se ne parla dicendo che i padri non sono fatti per occuparsi dei bambini piccolo e che l’epidurale toglie innaturalmente il dolore del parto e quindi non va fornita neanche a chi la vorrebbe, perche’ a dio arriviamo attraverso il dolore (ti giuro che ho letto anche questo).
Secondo me, nessuno degli obiettivi che ho elencato sopra e’ particolarmente estremo o radicale. Ne’, per inciso, dovrebbero esserlo aborto, matrimonio e adozioni omosessuali, ma insomma su questi ultimi punti la chiesa cattolica ha indicazioni molto precise e riesco a comprendere (non a giustificare, solo a comprendere) perche’ un cattolico ortodosso non ne voglia sapere.
Volendo essere sinceri, epidurale, congedi di paternita’, sanita’ e aiuti alle famiglie sono quanto di piu’ conservatore, borghese e pro-famiglia (tradizionale) si possa chiedere. Sono praticamente roba da conservatori, del genere “fate piu’ figli, ormai le famiglie numerose sono solo quelle di immigrati etc etc”.
Il fatto che in Italia queste cose siano viste come innovazioni portate da Satana per renderci la vita troppo facile e condurci al peccato, la dice veramente veramente molto lunga su quanto disperatamente il movimento femminista sia necessario. E su quanto si debba, davvero, iniziare dal buon senso e dall’ABC della civilta’.
In questo senso, quello che un movimento femminista DECENTE dovrebbe fare e’ riportare questi temi (quelli presumibilmente ‘comuni a tutti’ e anche quelli che non lo sono) sull’agenda politica – rendere consapevoli le/i cittadine/i, chiarire che sono temi *importanti* e che se i cari politici non li perseguono non avranno il nostro voto. Secondo me, in questa sede, e’ questo che si cerca di fare – ed e’ per questo che leggo questo blog quotidianamente.
beh,è già un passo avanti se prima magari moltissimi erano convinti che tutto vi dava noia e che trascorrevate il mattinee di fronte al guardaroba disperate perchè non c’era nulla da mettersi e/o non sapevate cosa dovevate volere
http://www.radiotravel.al/emisione/MRLENE%20KUNZ%20-%20CANZONE%20PER%20UNE%20FIGLIO.MP3
si Barbara F, ho scritto una cazzata sopra. forse volevo dire un’altra cosa. che non è un argomento per cui essere sconfortati perché le cose stanno migliorando e che non è una questione politica ( poi posso ugualmente sbagliare nel pensarlo ), il divario centro-nord, sud, rispetto alla mortalità. che magari allo stato attuale non è possibile pretendere di meglio. e certamente c’è bisogno del movimento femminista. forse ho peggiorato la mia posizione 🙂
Quel che mi ha colpito molto nell’articolo di Slaughter è che l’assunto centrale in pratica è: non è vero che “… “avere tutto” è, più di ogni altra cosa, principalmente una questione di volontà individuale”. Scrive: ” di solito il nostro punto di partenza …è che avere tutto dipende in primo luogo dalla profondità e dall’intensità dell’impegno di una donna nella sua carriera”, e confuta questo assunto. Cosa che da noi è così evidente da apparire scontata: forse è un’istanza che appartiene molto al femminismo americano?
Ma in fondo Slaughter (anche se in modo che suona effettivamente un po’ ingenuo e strano, compresi calcoli sull’età procreativa e consigli sul congelamento degli ovociti) invoca anche una diversa cultura della famiglia e del lavoro, e politiche aziendali che non penalizzino le donne: è chiaro che ha come riferimento la realtà delle professioniste di alto livello, ma il discorso può valere anche per impiegate, operaie o cameriere.
Fa bene Penny a ricordare la situazione critica dell’occupazione femminile, ma “avere tutto” in sostanza si può tradurre nell’avere una vita in cui il lavoro (o la sua mancanza) non ricatti il resto della vita, famiglia o non famiglia: non vedo perchè questa pretesa non possa riguardare le donne di qualsiasi classe sociale, nè come sia in contrasto con le lotte per i diritti.
l’inoccupazione femminile è causata dalla diminuzione della richiesta di profili che tradizionalmente vengono assegnati alle donne: non si può pretendere che ci siano tanti posti da segretaria se il mercato del lavoro richiede figure come ingegneri trivellatori o operai ascensoristi. sono le donne che devono cambiare i loro percorsi formativi e professionali.
“Personalmente, per come va l’economia, non ho il tempo, i soldi, la stabilità, per prendermi cura di un cagnolino…”
Mammamia quanto mi riconosco nelle parole di Laurie Perry. Proprio per i motivi da lei indicati, ho dovuto lasciare il mio cane a casa di mamma e papà …pensavamo fosse un aiuto momentaneo, sono passati tre anni.
Quoto la conclusione dell’articolo.
“Se il massimo che il femminismo moderno può raggiungere è la liberazione personale di una manciata di donne privilegiate con un mercato del lavoro disegnato da e per uomini ricchi, noi possiamo pure tornarcene in cucina, ma se i diritti delle donne significheranno qualcosa nel mondo post-speranza e post- austerità, dovremo cominciare a chiedere molto, ma molto di più”.