IL DOMANI APPARTIENE A

Il nuovo che avanza non si può fermare e chi se infischia del resto, è il mercato, è il futuro, è il domani, e il domani appartiene a me. Come in un celebre film.
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Va bene, si esagera. Però, sarà l’età, saranno i tempi, sarà la pioggia, ma ogni volta che sento dire “il futuro non si cambia e la via è tracciata” mi vien voglia di risalire in macchina come i protagonisti di Cabaret.
Veniamo al punto. Anzi, veniamo alle macerie (umane) che il nuovo che avanza si lascia indietro. Immagino che conosciate la catena di librerie Fnac. Immagino sappiate che Fnac Italia è stata appena ceduta. Se non lo sapete, ecco il comunicato aziendale:
“Il Gruppo Fnac annuncia la firma di un accordo di cessione di Fnac Italia al fondo di investimento Orlando Italy. Lo scorso gennaio, nell’ambito del piano generale di risparmio e per il rilancio della competitività dell’azienda, Fnac ha annunciato la propria intenzione di uscire dal mercato italiano entro il 2012. Dal suo arrivo in Italia nel 2000, infatti, Fnac non ha mai raggiunto le condizioni operative necessarie per imporsi in questo paese. La crisi economica che l’Italia sta attraversando dal 2009 ha accelerato questo processo. La cessione sarà finalizzata a gennaio 2013, data nella quale Orlando Italy presenterà il suo progetto, attualmente in fase di definizione.”
Forse non conoscete quello che i lavoratori Fnac chiedono, e che si legge nella pagina Facebook “salviamo Fnac” (dove, per fortuna, continuano ad arrivare testimonianze di solidarietà: l’ultima è di Gianni Berengo Gardin).  Estraggo dal loro comunicato:
“Quali sono le intenzioni di Orlando: hanno un progetto di sviluppo di Fnac Italia?
Qual è il loro piano industriale?
Prevedono una ristrutturazione?
In questo caso, quali garanzie ci sono per i lavoratori e cosa si prevede per la gestione dell’impatto sociale?
Saranno chiusi dei negozi?
L’e-commerce?
In alcuni casi di cessione, non è il cessionario a pagare, ma è invece il cedente a effettuare un esborso a beneficio del cessionario che si accolla i debiti dell’azienda. In questo caso Orlando ha comprato Fnac o è PPR che paga Orlando? Il piano industriale di Orlando è rispettoso della Responsabilità Sociale d’Impresa e del Codice Etico del Gruppo PPR?Il mantenimento del marchio può essere considerato garanzia di continuità del business? Mantenere il marchio significherà rispettare anche il concept Fnac? Tutte le merceologie saranno mantenute?
Ma cosa pensavamo, colleghi? Pensavamo forse che avremmo finalmente ottenuto la chiarezza che stiamo chiedendo da gennaio? Ma davvero non avevamo ancora capito con chi abbiamo a che fare?
Come ci è stato detto, e ripetuto, e ripetuto, e ripetuto ancora: le nostre domande le potremo porre a Orlando nel momento in cui si sarà insediato. Orlando presenterà il suo piano una volta insediato. Orlando si insedierà a gennaio e solo dopo sapremo cosa intenda fare di noi.
Come dire, non siete più affare nostro.
Come dire, non ci riguardate più.
Come dire, non siamo più responsabili.
Come dire, noi ce ne laviamo le mani.
E allora, forza ragazzi. Mettiamoci buoni e tranquilli ad aspettare gennaio. E nel frattempo diamo il massimo per far incassare a questi signori il più possibile nel prossimo mese di dicembre. Natale è alle porte, con il suo festoso sciamare di clienti. Prepariamoci ad accoglierli e a sorridergli. Prepariamoci al turbine delle gioiose settimane prenatalizie. E poi cerchiamo anche di passare un buon Natale con le nostre famiglie. Un Natale sereno. Aspettando la befana. E quello che ci porterà.
Colleghi, ma davvero gli renderemo la vita così facile?”
Servirà a poco, ma la mia solidiarietà c’è, e il blog è a disposizione.

23 pensieri su “IL DOMANI APPARTIENE A

  1. Solidale anch’io. Che tristezza essere governati da persone nelle cui vene scorrono soltanto numeri, affari e indifferenza. Mai un’dea geniale, mai. Ho subito anch’io in vari momenti della mia vita professionale queste condinzioni di sospensione: è tra le cose più terribili che si possano sopportare emotivamente parlando!
    un abbraccio ideale ai lavoratori della Fnac

  2. Temo che nei prossimi anni ne vedremo delle belle in campo librario ed editoriale, le catene di librerie sono tutte in crisi, le case editrici pure. Il mercato è agli sgoccioli, sicuramente per colpa della crisi ma anche per colpa di politiche insensate che hanno prediletto il tutto subito al mercato di qualità. Infatti ora sta crollando tutto. Sai però la cosa peggiore qual è? Che quando parli con i “capoccia” per avanzare dubbi o mettere in evidenza i problemi vieni immediatamente ripreso perché o “la cosa non è di tua competenza” o “il problema non sussiste!”. Arroganza? Cecità? Ignoranza? Presunzione? Abbiamo un problema enorme.

  3. Verissimo, Marino. E c’è un secondo problema: quello di una larga parte di lettori che dovrebbero DIFENDERE librerie, editor, traduttori, redattori perchè garantiscono circolazione di idee e invece impugnano il forcone convinti che “il futuro” (mi autopubblico e il resto adieu) sia questo. Eppure esistono fior di dati sul fatto che questa convinzione favorisca soltanto un soggetto. Amazon.
    E meno male che c’è madame Filippetti, neoministra della cultura a Parigi, che le canta chiare:
    ” Lei parla di librerie di quartiere, in Italia quasi del tutto scomparse da tempo. In Francia librai ed editori anche grandi, come Gallimard, parlano di Amazon come del nemico. È d’accordo?
    «Sono molto preoccupata per come Amazon si comporta in Europa. Ha un peso tale che rischia di trovarsi ben presto in posizione ultradominante. Sono andata a parlarne alla Commissione di Bruxelles, ma trovo il loro atteggiamento deludente».
    Che cosa rimprovera alla Commissione europea?
    «Ha una visione un po’ troppo unilaterale della libera concorrenza. La Commissione preferisce fare le pulci agli editori che si organizzano per sopravvivere alla minaccia di Amazon, e non si allarma invece per il fatto che un colosso basato in Lussemburgo fa vendita a distanza con strategie fiscali inaccettabili e facendo dumping sulle spese di distribuzione. Amazon può permettersi di vendere a basso prezzo per mettere fuori mercato i suoi concorrenti, ma naturalmente rialzerà i prezzi appena avrà conquistato il monopolio o quasi. Di questo dovrebbero preoccuparsi a Bruxelles. La Francia vigilerà affinché Amazon pratichi una concorrenza leale».

  4. Mi sembra che i commenti di Marino e Loredana descrivano perfettamente il percorso che porta a situazioni tragiche come quelle dei lavoratori Fnac Italia, a cui va tutta la mia solidarietà.
    Da una parte amministratori delegati, dirigenti e responsabili arroganti e impreparati, che in ogni caso già sanno non pagheranno in nessun modo le spese del fallimento di una società, impresa ecc.
    Ne sono la prova i numerosissimi AD italiani che nonostante abbiano lasciato le aziende con bilanci apocalittici non hanno avuto alcun problema a rilanciarsi nel mercato della finanza, ad ottenere un nuovo posto di prestigio e chiaramente lauti trattamenti di fine rapporto.
    Nessuno chiede loro di rispondere dei danni sociali fatti, dei lavoratori licenziati, delle famiglie lasciate senza reddito, come se non fosse colpa loro.
    Dall’altra parte ci sono coloro che dovrebbero vigilare a differenti livelli che non si venga meno a certi diritti, dall’avere contratti o risposte adeguate alla libera e leale concorrenza, ma quasi sempre non intervengono in nome del libero mercato o intervengono quando ormai è troppo tardi.
    Per cecità? O perché, come accade spesso in Italia, il controllore è anche il controllato?
    A noi rimane la possibilità di informarci, di chiedere, di bussare alle porte e attendere risposte, di appellarci agli amministratori locali, di fare rete. Potrà sembrare poco ma è l’unico strumento che abbiamo.

  5. Premetto con non sono (più) un esperto del mercato librario, la mia ultima esperienza professionale nel campo risalendo a oltre 15 anni fa. Però questa di vedere in Amazon il nemico per eccellenza non mi suona del tutto bene. Cioè: non faccio alcuna fatica a credere che a questo operatore si consenta di fare dumping e arbitraggio fiscale, perché purtroppo le varie authority hanno sempre dato prova di pavidità a voler essere ottimisti e di complicità a voler parlare chiaro; quanto a sottrarre mercato agli operatori più piccoli, però, ci andrei più cauto. La cosa è vera, certo, ma credo che potrebbe ancora rientrare in quegli accadimenti suscettibili di essere affrontati con un riposizionamento commerciale, una revisione delle proprie strategie di prodotto e di rapporto con la clientela, insomma mettendo in campo qualcosa che finora è rimasto nell’ombra. Molto spesso operatori come Amazon presidiano fette di mercato altrimenti marginali, portando libri a casa di chi in una libreria non ci metterebbe comunque piede o rendendo accessibili libri altrimenti difficili da trovare. L’ultimo, in particolare, è l’uso che tendo a farne io e parecchi miei amici da quando quella riserva di caccia meravigliosa che era la libreria Remainder di piazza San Silvestro a Roma ha chiuso. Tendo a credere – con elevata probabilità di sbagliare, ovviamente – che il fenomeno Amazon non sarebbe così catastrofico, se l’azienda fosse davvero marcata stretta da quei watchdog che non fanno il loro mestiere. Il caso di Fnac mi pare diverso, bisognerebbe saperne di più. Il che non deve essere un impedimento alla solidarietà assoluta e totale verso i lavoratori: lo sappiamo fin troppo bene quale sia in queste compravendite la sorte delle persone, trattate come parco buoi e tenute rigorosamente all’oscuro del proprio destino. Che poi un fondo di investimento – un’entità per la quale non fa alcuna differenza vendere automobili, libri o detersivi – possa essere l’attore del rilancio di un’azienda che produce cultura, beh, credo sia davvero molto, molto difficile. La cosa puzza assai di operazione puramente finanziaria, e chi lavora lì avrebbe bisogno di molto più che di semplice solidarietà: avrebbe bisogno di politica. Ma non ce n’è più in questo paese, e noi più che solidarietà non siamo purtroppo in grado di offrire.

  6. forse una gestione cooperativistica delle singole unità aziendali a rischio potrebbe mettere una pezza anche se non all’infinito(come il caso del manifesto insegna),tutelando persone e know-how
    p.s. abbaiare stanca(e “ammainare strazia” come diceva una vecchia amiga)

  7. Ci sono due miliardi di salariati nel mondo, a dispetto di chi sosteneva che i lavoratori e i proletari erano destinati a scomparire. In un sistema capitalistico le trattative con i padroni si basano sui rapporti di forza, più se ne ha e più si ottiene. Sembrerebbe che con un tale numero di salariati la forza sia tutta dalla parte dei lavoratori, ma così non è. Perché?
    Proviamo a vedere un caso in cui la forza era dalla parte dei lavoratori.
    Non molto tempo fa alla Fincantieri di Genova giunse la notizia di una possibile chiusura. I lavoratori si organizzarono, con l’aiuto della FIOM, e iniziarono un corteo. Mano a mano che avanzavano il corteo si ingrossava, si unirono i lavoratori dell’ Ansaldo e poi di altre fabbriche. Alla fine tutta la città era a fianco dei lavoratori e il governo fu costretto a trattare.
    Credo che solo con una solidarietà simile i lavoratori della Fnac avranno una speranza, una possibilità.
    Ma questo non avverrà. Ancora una volta, perché?
    Perché, a mio avviso, la classe dei lavoratori è stata anestetizzata con continue illusioni e false speranze, e tra queste illusioni ci metto anche le primarie.
    Che fare?
    Questo è un blog che si occupa anche, ma non solo, di letteratura, e io credo che gli scrittori debbano iniziare a capire quali siano queste illusioni e poi a contrastarle e disperderle. Qui, secondo me, si fa già molto, ora occorrerebbe che anche altri facessero.
    Poi c’è molto da fare anche in altri settori, ad iniziare da un sindacato che troppe volte si “siede” ad aspettare un governo amico, ma questo è un altro discorso, forse.

  8. @Valberici sulla forza dei lavoratori sono pienamente d’accordo con te, su cosa siano le illusioni e le false speranze un po’ meno 😉
    Primo perché ritengo sempre positivo il confronto, il dialogo o la possibilità di riavvicinare i cittadini non dico alla classe dirigente politica ma almeno alla politica sociale o far nascere in loro la voglia di saperne di più. E tu sai, tanto quanto me, quanto sia difficile aprire questa breccia.
    Purtroppo, a parere mio, le illusioni e le false speranze che anestetizzano i lavoratori sono ben altre, ad esempio i dipendenti FNAC di Milano quando ci fu la Milano Shopping Night approfittarono della stampa e della quantità di gente in giro per parlare della loro situazione, già pericolosa mesi fa, ma come vedi i risultati sono stati davvero pochi.

  9. Evito i commenti che attirano le ire.
    A me la Fnac é sempre piaciuta moltissimo: la commistione tra letteratura, tecnologia, spazi dal vivo é stata un’idea originale, ha funzionato davvero.
    Stando ai numeri, alle tendenze, alle ombre di futuro che avanza é un’esperienza giunta al capolinea: non possiamo più permetterci i prezzi che sostenevano quel modello.
    Lo dico con nostalgia, perché l’anti-economico per me ha grande fascino. Se ci pensate, per fare le cose più belle, per compiere gesti d’amore non servono i soldi. Potrei dire che l’amore in assoluto, é un concetto anti-conomico. Lo sta diventanto anche l’amore per i libri, l’arte lo é sempre stata, antieconomica. Il problema é che Lorenzo il Magnifico non nasce più. Dunque per me le ozpioni sono soltanto due: o si introducono nuovi modelli di business in questo settore oppure si impara a vivere di aria e pacche sulle spalle.
    Con rispetto per tutte le opposte opinioni.

  10. Io sarò anche un inguaribile romantico, oppure un povero cretino, ma non posso parlare del mondo dei libri solo in base a percentuali, guadagni, algoritmi. I libri dovrebbero essere storia, cultura, intelletto. Invece ora sono trattati come scatolette di tonno.

  11. @Laura: solo una domanda, che qui non è la sede per un confronto anche se interessante, ma è il cittadino che si deve avvicinare alla politica o è questa politica che si deve avvicinare al cittadino?
    Poi sono d’accordo che ci sono anestetici ben più grandi. 🙂

  12. @marino mi iscrivo subito alla lista degli inguaribili romantici e dei poveri cretini!
    @Valberici si non vorrei rubare altro spazio a Loredana però per farti solo un esempio, venerdì scorso nella mia città si è tenuto un incontro con Umberto Ambrosoli, può piacere o meno lui o il partito che lo appoggia, ma visto che si candida ad essere il successore di Formigoni mi sarebbe piaciuto vedere tanta gente, tutti quelli che in giro si lamentano dell’operato di Formigoni, e ti assicuro che sono tanti, ti basta andare in qualsiasi ambulatorio o ospedale e ne troverai a centinaia, ecco questi dov’erano?
    Ci saranno state al massimo ottanta persone e sotto i 35 anni saremmo stati in quattro.
    Era un incontro aperto a tutti in biblioteca alle 6 di sera, di un candidato piuttosto fuori dalle logiche di partito eppure.
    Però all’uscita i bar erano pieni di gente che faceva l’aperitivo e i supermercati avevano i parcheggi colmi.
    Forse dovremmo spostare gli incontri nei centri commerciali? 😉

  13. @ Marino Buzzi
    scusa eh, ma la fnac e le catene di libri non sono il simbolo di un mondo che tratta i libri come scatolette di tonno? Allora perché salvarla?

  14. Amazon ha riunito tre grosse doti. Trasporti rapidi, prezzi ottimali e ampia scelta di prodotti (non soltanto i libri, come è noto).
    Quando uscì Amazon-Italia fui davvero contento. E quando il governo fece la legge che prevedeva un tetto massimo per gli sconti, nel mese di Agosto di due anni fa, ne approfittai e spesi follemente – ma mai con così tanto piacere – 200 euro in libri, spesa di cui sto ancora approfittando per le mie letture.
    Feltrinelli, Mondadori erano per le piccole librerie ciò che Amazon ha rappresentato poi. C’è un problema aggiuntivo con Amazon. Ed è il motivo per cui la passione per Amazon è scemata: come fa ad avere prezzi così bassi? Le risposte che ho trovato in giro non mi sono piaciute.
    Ma resta il fatto che venti euro per un libro non me li posso permettere. E neanche 15.
    Nella mia vita ho sempre utilizzato un mezzo fantastico di “mercato” culturale libresco: le biblioteche. Penso che anche quelle dovrebbero dare fastidio alle librerie e persino ad Amazon. Eppure non sono così utilizzate dalla popolazione. Gli Italiani non amano molto le biblioteche, se non ricordo male.
    E in alternativa, per gli acquisti, ho sempre fatto riferimento al Libraccio. Le librerie specialistiche le ho frequentate solo per motivi di studio, e anche lì evitandole quando possibile (prestiti da amici, fotocopie, etc…).
    Avessi i soldi comprerei molti più libri. Ne sono sicuro. Purtroppo questo fatto non si può cambiare.
    Tante catene culturali stanno scomparendo. Ultima nella memoria è stata Blockbuster, per la quale – confesso – ne ho goduto (pur dispiacendomi per i lavoratori). Ma, secondo me, se impostiamo la battaglia nello stile “salviamo il panda dall’estinzione” non andremo lontani.
    Quid agerem?
    L’unica soluzione poco indolore che vedo è ripartire dalle scuole e creare “il bisogno” di lettura lì. Ma gira e rigira, il macigno sospeso resta sempre a monte: è il sistema economico in cui viviamo a dettare queste regole. Nella logica del money, non importa l’oggetto culturale in sé importa solo che venga venduto. E per questo c’è un continuo ricambio.
    Io ormai ho libri da leggere per i prossimi 2 anni, non posso stare dietro alle mille mila uscite. Stiamo andando nella direzione in cui fare cultura (dallo scrittore al montatore video) sarà una faccenda sempre più costretta al “tempo libero”, al “secondo lavoro”. Se durante la crisi peggiore dal dopoguerra molti consumatori preferiscono acquistarsi uno smartphone piuttosto che 10 libri o 20 ingressi al Cinema, possiamo mica denunciarli…

  15. La lista degli inguaribili romantici non ha nulla in comune con quella dei poveri cretini. Cominciamo ad opporre il nostro sapere a quello dei tecnici, che a tutti i livelli si sta dimostrando disastroso. Le catene non dovevano essere la soluzione ai problemi della distribuzione? Se gli unici investimenti a sostegno dell’economia vanno ai grandi monopoli e alle multinazionali si traccia un percorso che inevitabilmente porta alla fine delle piccole realtà e con esse al prodotto di qualità. @ Laura Atena . Mi fa piacere il disinteresse dei cittadini per la candidatura di Ambrosoli, sarò choosy, ma un candidato della sinistra dovrebbe essere quantomeno di sinistra!

  16. @Laura: certo che si, bisogna andare a parlare ai lavoratori e non aspettare che siano loro a venire. Un partito si radica in mezzo alla gente e non nei salotti televisivi o in pochi incontri in sale mezzo vuote. Poi capisco che certe parole come radicamento, sezioni, militanti, organizzazione, siano ormai impraticabili dagli attuali partiti che cercano consensi utilizzando esclusivamente una propaganda mediatica.
    E ora mi scuso e mi zittisco, con un po’ di fatica perché la passione e tanta. 🙂

  17. Car* +
    io lavoro in una libreria di catena e il problema che poni è legittimo. Ma forse sarebbe meglio salvare posti di lavoro cambiando le politiche gestionali ed economiche invece di limitarsi a chiudere le librerie e puntare tutto sulle “piattaforme” on line.

  18. @Valberici allora alla lista degli inguaribili romantici e poveri cretini aggiungiamo anche passionari!!!!
    @claudio mi piacerebbe tanto darti ragione ma purtroppo qualche volta gli inguaribili romantici si ritrovano in mezzo ad una strada e sapendo che chi ce li ha buttati non pagherà mai si sentono un po’ poveri cretini 😉

  19. @Marino Buzzi: hai ragione da vendere, ma purtroppo in Italia la normativa vigente statuisce che scopo dell’attività d’impresa è creare valore per gli azionisti, non salvare posti di lavoro. Punto. A questo istituto, mutuato dal mondo anglosassone, si è arrivati negli anni ’90 e non si tratta di una semplice norma: è il manifesto di un credo, un credo liberista importato sull’onda del tatcherismo e del reaganismo e acriticamente adottato anche da certa sinistra inneggiante, a suo tempo, a quei “capitani coraggiosi” che a partire dalla spoliazione di Telecom e passando per le vicende di RCS e dei furbetti del quartierino sono poi approdati alle poltrone di Alitalia, mai rischiando in proprio e sempre depredando lo stato, tutti noi. Quando certa gente, come anche quei due signori che si confrontavano in TV ieri sera, apre la bocca per riempirsela di “responsabilità sociale dell’impresa”, dovrebbe prima chiarire se e come intende rimettere in discussione questo paradigma. Che, ripeto, non è una semplice norma: è un documento programmatico su come deve funzionare l’economia di un paese e su quale valore quel paese decide di attribuire al lavoro: un valore inferiore a quello della remunerazione del capitale, o forse nessun valore che non sia quello di fattore di produzione, una commodity da vendere e acquistare al pari della benzina e del cotone per fare le magliette, niente di più. Questo va molto al di là della crisi dell’editoria e dei posti di lavoro che si perdono in quel comparto, riguarda il concetto che abbiamo di noi stessi come lavoratori, sì, ma prima ancora come cittadini e, soprattutto, come esseri umani. Ci serve un modo di pensare e di essere del tutto nuovo, che riparta dal fatto che non tutto può o deve essere misurato in termini di denaro. C’è altro, ci sono gli esseri umani, che non possono essere ridotti a puro fattore determinante di profitti e perdite in un bilancio d’impresa o nella contabilità dello stato. E questo modo di pensare nuovo deve affermarsi fino a permeare le norme, la cultura, i rapporti sindacali, la politica internazionale, ma sopratutto il senso comune. Quel senso comune che invece, ormai deformato da tre decenni di iperliberismo, vede come normale un’austerità dissennata e la mortificazione dei lavoratori (di noi stessi!) e si scandalizza come al suono di parole eretiche, sentendo la voce di quei pochissimi che cercano di testimoniare la necessità di un nuovo umanesimo.

  20. Maurizio io però non capisco una cosa. Lo scopo di qualsiasi impresa non può essere salvare posti di lavoro, ma il profitto. Non c’è scampo. Anche un’azienda in cui tutti guadagnano lo stesso ha questo problema. Non conosco il caso in questione, quindi non so il perché Fnac viene ceduta e neanche il perché è in perdita. Se un libraio non ce la fa chiude. Io i libri li compro in una libreria che sta di fianco a una libreria di catena. Se tutti fanno come me la libreria di catena chiude, non perché ci sono i cattivi, ma per forza di cose. Per cui a parte i lavoratori e chi compra alla Fnac, dire salviamo la Fnac per solidarietà non ha senso.

  21. @+: uno dei danni collaterali del pensiero unico che caratterizza la nostra epoca è proprio questo, il credere che “non ci sia scampo”. Con questo non voglio accusare te, ma il sistema di pensiero che ha condotto a questo, e non solo quando si parla di aziende e di economia. In realtà, restando al caso specifico, quale debba essere lo scopo di un’impresa è materia dibattuta nel pensiero economico (quello vero, non quello dei derivati del credito) per molti decenni e alla quale la risposta americana costituisce una sola delle possibili soluzioni. C’è una famosa sentenza, credo del 1918, che sancisce questo principio: il giudice dà ragione a sue soci di Ford che chiedevano il dividendo, mentre lui voleva invece reinvestire. Come vedi, c’è materia su cui discutere. Per non andare così lontano nel te mpo e nello spazio, basta guardare alla Germania, in cui il modello gestionale prevede la presenza dei sindacati nei CDA. Dici “chissà che succederebbe da noi, con i sindacati che ci ritroviamo”? E perché? Con i capitalisti che ci ritroviamo, invece, sta andando meglio?

  22. Quante ne ho viste da vicino e dal di dentro di situazioni del genere? Almeno da quando esiste la direttiva Cee sui comitati aziendali europei per cui spesso lavoro. Le aziende parlano di investimenti e non intendono la messa a norma di impianti esistenti, il miglioramento delle condizioni di lavoro, sicurezza e salute, la modernizzazione, l’ adeguamento, le assunzioni. Spesso gli ‘ investimenti’ significano rilevare concorrenti, tagliare i costi, fare delle operazioni delle tre carte che rendono felici gli azionisti come se non esistessero clienti, dipendenti e prodotti, i manager vengono promossi, e poi via, si ricomincia daccapo. Questo aspettate, vedrete, lavorate in 10 dove prima si era in venti, mandate via le persone più esperte e perdete know-how, sono da impazzire.

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