Non sono proprio due letture natalizie, ma ve le consiglio lo stesso (una oggi e una lunedì) perché mi sembrano gran belle letture.
La prima, dunque, è Da dove vengono i sogni di David Vann (Bompiani, traduzione di Sergio Claudio Perroni). Vi dico subito che è una storia terribile quanto splendida: ma terribile resta ed è bene saperlo (e no, niente colpi di scena e gusti forti e bla bla. Siamo in zona Bergman, non in zona pulp fiction). Lo sfondo è l’Alaska, come nel precedente romanzo di Vann, L’isola di Sukkwan: e dunque wilderness, gelo, acque scure, betulle, neve, pioggia, vento, solitudine, salmoni e (solo nominati) caribù. A sfidare la natura c’è un uomo, un maschio, che declama versi di antichi poemi epici immerso nel lago, e che vorrebbe ritrovare lo spirito degli antenati, e saper fare, sottomettere, costruire. Quell’uomo è Gary, si prefigge come scopo la realizzazione di un capanno nel punto più solitario di un’isola (che è piena non solo di rumori, ma di zanzare, e poi di neve), e non sa come fare. O meglio, ogni progettazione fallisce, i chiodi si spezzano, i tronchi sono mal tagliati. Il capanno non è quello di Thoreau: pencola, è pieno di spifferi, la comunione è impossibile, fumare la pipa nel proprio manufatto guardando il lago ghiacciato è un sogno sbilenco quanto il capanno.
Ma Gary, cinquantacinque anni e una rabbiosa nostalgia di un naturalismo malinteso, attribuisce la causa del fallimento alla moglie Irene, che sembra essere il punto di vista privilegiato assunto da Vann, in quanto vittima e carnefice. Irene odia il freddo. Odia il capanno. Odia seguire Gary in quel progetto a due da cui in realtà è sempre stata esclusa: lo segue e lo asseconda perché non vuole essere abbandonata. Perchè abbandonata è stata già da bambina, quando, rientrando a casa, trovò il cadavere della madre penzolante da una trave. L’ombra del suicidio corre per tutto il libro, si materializza nei dolori lancinanti che torturano Irene dopo un pomeriggio di tempesta passato a caricare tronchi su una barca per non far irritare Gary e la terribile influenza che ne è seguita. Sono dolori fisici e dell’anima, però: perché il mondo stesso di Irene, che aveva puntato tutto sulla famiglia, si sta disgregando. Il figlio Mark passa il tempo fra pesca e hashish, insieme a una donna che Irene giudica irrimediabilmente stupida. La figlia Rhoda, veterinaria, sogna il matrimonio con il suo convivente, Jim il dentista – lo sciocco, vanesio, animalesco Jim – che pure la tradisce con un’ereditiera (o sedicente tale) che fonda la propria vita sulla seduzione e – di nuovo – l’abbandono. I figli cercano altre strade, Gary cerca il capanno: ogni progetto è malriuscito, però. A Irene non restano che rabbia e dolore, e una lenta discesa nell’abisso: dove la finale consapevolezza di una forza segreta coincide con la prevista catastrofe.
E’ lo stesso tema trattato ne L’isola di Sukkwann: l’inadeguatezza dell’uomo sia nel prendere su di sè la responsabilità dei rapporti familiari, sia nel confrontarsi con quanto ha caratterizzato il mito fondatore della virilità. Vivere, ovvero, in un luogo isolato, e sottometterlo. Ma, similmente a quanto avviene in Nelle terre estreme di Jon Krakauer, quel dominio non è più realizzabile: l’uomo ha perso presa sulla natura, e non ne ha guadagnata nella gestione dei sentimenti. Affrontare il cambiamento significa dire addio a un antico potere: fin qui, nessuno ci riesce, e Vann è lucido e poetico nel raccontare la disfatta. Fossi in voi, farei un bel respiro, mi avvolgerei in una coperta calda, e lo leggerei di un fiato.
Siccome quando sento il nome Krakauer mi viene in mente il termine “bugiardo”, ti consiglio un libro bellissimo e poco conosciuto, scritto da uno dei più grandi alpinisti mai esistiti che parla, anche, di sentimenti. Quelli veri, non quelli dei nipotini scemi di Hemingway 🙂 http://www.eneafiorentini.it/irecelib/irec13.html
Mi hai quasi convinto! credo che lo prenderò.
Grazie Loredana.
GL, lo prendo. Pensavo al Krakauer dell’altro libro, però, quello ispirato alla storia di Christopher McCandless: anche qui, la storia di un tentativo di riappropriazione e di una sconfitta. Il Walden equivocato può fare molto male, ecco.
Il problema di Krakauer è che mente, sempre. Insomma è un gran racconta palle. Solo che, siccome di montagna si sa poco e quel poco è molto “ammantato di poesia” allora gli si perdonano delle diffamazioni pesantissime (tipo quella al povero Bukreev). Nell’ambiente alpinistico, fortunatamente, Krakauer viene trattato come è giusto che sia: a pesci in faccia.
(il Walden equivocato genera mostri e un fracco di gambe rotte in quota 🙂 )
Il Walden equivocato è il problema (o uno dei problemi) quando ci si mette a confronto con il mito dell’eroe 🙂 Leggi Vann, davvero.
Leggerò!
Bene 🙂 Era da parecchio che non finivo “dentro” un libro in questo modo.
mmm questo tema del cambiamento ricorre spesso in questo ultimo periodo nella mia vita. Lo leggerò! grazie
SEGNALAZIONE. Alla mediateca Montanari di Fano, se uno clicca su:
http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/
esce la finestra: ACCESSO NEGATO A QUESTO SITO
Motivazione: PORN.
Provare per credere.
Del resto, è la nuova tendenza editoriale, no? 😀
Quante storie di solitarie sfide e fallimenti umani. Si fallisce contro la natura, contro le persone che ci stanno attorno. Non siamo fatti per farcela da soli, quando lo capiremo? Dio ci ha fatti per giocare in squadra e riconoscere lui come padre. Funziona solo così. Se avesse voluto farci autonomi ci avrebbe fatti ben diversi, migliori. Ci sono grandi autori capaci di indagare per bene questa debolezza di fondo. Quasi quasi io questo David Vann me lo scarico dall’amazzonia e lo porto in montagna.
Un altro libro con presupposti simili, e molto bello, è “Preston Falls” di David Gates.
si stanno aprendo le porte del tempo?
http://www.youtube.com/watch?v=vkANFuxNSXE
Io avrei una domanda per Giorgia: ma se nostro Signore ci ha fatti per giocare in squadra, perché poi vuole essere riconosciuto come padre? Non sarebbe meglio come Mister?
Grazie per la segnalazione, l’ho già ordinato 🙂