PERSONE E NON PERSONE

Questo è l’editoriale di Titti Marrone su Il Mattino di oggi. C’è un’intervista a Michela Murgia su il Fatto quotidiano, anche. Stasera sarò a Lineanotte per parlare del libro, sono reduce da un intervento a Unomattina (sulle mamme, stavolta). La fretta è cattiva consigliera, ma quest’è.
Viene da chiedersi quando, come, perché sia cominciato. Come si sia arrivati, nel Paese in cui il femminile è stato massimamente incardinato nell’idea di sacralità della Madre-Madonna, all’accanimento di tanti uomini contro tante donne. Con calci, pugni, colpi di pistola, con frustate, con l’acido gettato in viso, le coltellate e negli altri innumerevoli modi che con inusitata ferocia creativa il maschile sa escogitare quando si sente minacciato da una donna. Per qualche oscura ragione, per terrore o propria frustrazione, o insufficienza, o oscura insipienza. E allora non trova altri argomenti se non l’annientamento.
Vien fatto di chiedersi quando quella parola atroce che in tedesco suona “untermensch” e in italiano si traduce “non persone” o “sub persone”, risuonata nel periodo più buio del secolo scorso, sia diventata sinistramente adatta a descrivere lo sguardo improvvisamente malefico rivolto alla propria donna. Vista come non persona, essere da poter straziare e spegnere a proprio piacimento, come se non abitasse in lei la sacralità della vita, la dignità dell’essere creatura umana. Ma bisognerebbe allora trasformare la parola tedesca e declinarla al femminile, perché tutta di genere è l’eccezionale crudeltà riservata a donne come la bellissima Rosaria Aprea e alle altre troppe vittime di storie cattive d’impotenze spacciate per esiti di estreme passioni.
Femminicidi, diciamo oggi, e quasi non li contiamo più. Nel 2012, ben 122. Ma c’erano già nel Novecento, e nell’Ottocento, e durante l’Illuminismo e prima ancora, nei meandri dei miti antichi, a svelarci che, sì, a volte anche le società arcaiche annoveravano violenze contro le donne da togliere il respiro.
Ce lo fa capire bene un prezioso libretto appena uscito da Laterza, a firma Loredana Lipperini e Michela Murgia, “L’ho uccisa perché l’amavo: falso!”. E oltre a suggerire la difficoltà d’individuare un termine “ad quem” per un fenomeno sociale antico, come il titolo suggerisce, il libretto sgombra il terreno dall’equivoco principale: che questi esiti violenti riservati alle donne abbiano qualcosa a che fare con l’amore. “Quella faccia dell’anima certamente esiste, ma non si chiama amore”, scrivono le autrici. “A forza di sentirsi raccontare la storia dell’amore cattivo da non risvegliare, anche le donne finiscono per credere che stare zitte e buone convenga di più”.
Ora, Rosaria voleva solo andare alla processione. Ecco qui la sua “ribellione”, l’atto d’imperio tale da risvegliare l’impulso assassino nello spasimante geloso. Lui l’ha massacrata di calci e non è dato capire come si possa invocare il “raptus”. Spiegazione falsa e tendenziosa, buona per adombrare l’idea di un momentaneo sperdimento di sé, un momento di follia per tema di abbandono da parte della portatrice di tanta colpevole bellezza, con conseguente diagnosi d’irresponsabilità delle proprie azioni.
Non possiamo sapere con esattezza quando sia cominciato, ma certo possiamo dire che il disamore fatto d’impulsi omicidi è continuato nei secoli. Riproponendosi in infinite reincarnazioni artistiche, dal romanzo ottocentesco al melodramma, con le stimmate della benedizione della cultura più eccelsa, da Oscar Wilde a Stendhal a Goethe, Dostoevsky, Tolstoj.
Naturalmente, c’è stato anche l’approdo a più riprese alla dimensione del pop. Un esempio per tutti: “Prendi una donna, trattala male”, cantava nel 1981 Marco Ferrandini, e di lì a poco Tony Tammaro completava il pensiero in forma di parodia che strappava risate: “Mandala ogni mese ‘o spitale”. Divertente, sì, e per carità, nessuno si sogni lontanamente di fare del bacchettonismo, né tantomeno d’invocare censure, impedire libere espressioni di pensiero: che allora si dovrebbero mandare al macero le pagine più belle della letteratura mondiale, peraltro testimoni di temperie culturali complesse e profonde.
Il discorso è un altro: quanto ci vorrà perché maturi una vera e sostanziale cultura del rispetto per le donne? Una cultura davvero condivisa e capace di produrre tante, varie e complesse espressioni artistiche? E’ ancora il libro di Lipperini e Murgia a porre il problema. E a ricordare: correva l’anno 1963, il divorzio era di là da venire e Pier Paolo Pasolini, nel realizzare le sue interviste per “Comizi d’amore”, interpellò un calabrese convinto che la rottura del matrimonio fosse insufficiente a saldare i conti, in caso di tradimento delle donna. Perché le corna, una volta fatte, restano lì. C’è solo un modo per lavare l’onta e estirpare il disonore, spiegò l’uomo, e si chiama omicidio. Delitto d’onore, all’epoca, ancora.
E alla fine bisogna riconoscere che negli ultimi vent’anni il discorso pubblico, ben lungi dal far progredire il rispetto per le donne, ha fatto precipitare le cose indietro di molti anni. La “normalizzazione” del femminile – e dello stesso maschile – è passata per forme di controllo feroci, dal diktat dell’esteriorità all’assunzione del corpo come supremo oggetto di desiderio del potere politico. Da plasmare, correggere, assoggettare. Il corpo è tornato a essere, come diceva Michel Foucault, il campo di una battaglia biopolitica complessa, il linguaggio ha annoverato orridi neologismi, espressioni tali da inchiodare il femminile a una realtà a base di “escort”, “mignottocrazia”, “utilizzatori finali” e simili.
La presidente Boldrini ha detto a Napoli le parole decisive in merito: “La politica deve dare risposte a situazioni ormai allarmanti”. Sarà una lunga strada da fare per trovare le forme di una convivenza civile senza guerra tra i sessi, che ponga al centro il rispetto di tutti. Ma una cosa dev’essere chiara: dovrà essere percorsa insieme, da uomini e donne.

7 pensieri su “PERSONE E NON PERSONE

  1. Da noi in Sicilia le corna permangono nel linguaggio e sopratutto nell’offesa o ‘ngiuria. Mettere le corna al proprio uomo è la peggiore offesa che si possa arrecare all’ordine costituito. La donna che lo fa e poi non lo nasconde è la peggiore perchè con la sua vergognosa spavalderia può far cadere gli dei. Puttana è ancora oggi nell’uso comune del discorrere un intercalare che si appoggia sulle spalle delle donne. Puttana si usa anche solo per designare una tizia di cui non si ricorda o non si conosce il nome e la cosa peggiore è che noi femmine di paese ci siamo abituate al punto da ritenerlo normale e non più disdicevole. Io ho 38 anni e sono madre di due bambini Giuseppe e Sara pensa che saprò liberarli da questo fardello di ignoranza e meschineria? Io non credo e non lo credo al punto che spero vadano via appena possibile. Spero che in un altrove non definibile le persone siano tali a prescindere dal sesso di appartenenza da noi in Sicilia non è così e mi creda non lo è in nessun luogo di questa terra disgrazziata.

  2. un’affermazione attribuita a Bok Derek,temperata(sempre per non perdersi le delizie fatali della complessità)dal fatto che conosco tanti laureati analfabeti,è la prima cosa che mi viene in mente:
    “Se pensate che l’Istruzione sia costosa, provate l’ignoranza”.

  3. “C’è solo un essere più onnipotente di Dio: la madre. Madre che ci genera, impone la vita. E poi determina anche cosa sarà di noi, cosa “saremo” noi. Perché il come saremo dipende sostanzialmente dalla misura dell’amore che lei riuscirà a darci. Sarà quell’amore primitivo e originario che stabilirà che tipo di persone emotive saremo. Sempre e solo quell’amore. E tutti gli altri rapporti affettivi che si svilupperanno nel corso dell’esistenza saranno improntati al suo abbraccio, alle sue carezze e ai suoi sorrisi. E più ne avremo, più l’amore inietterà radici profonde dentro di noi, che ci salveranno da tutto. Quell’amore cieco e gratuito ci farà da scudo contro gli assalti della vita: garantirà immunità dalle cadute, suturerà cicatrici, riempirà voragini, ci guarirà dai dolori e dagli abbandoni che seguiranno.
    Ma quando quell’abbraccio manca, la nostra natura di esseri sentimentali si aggroviglia attorno a un’idea di amore estraneo, lontano e malato. E quelle domande sulla natura del non “amore” rimarranno sospese sulla nostra anima per sempre, investendo tutto, perfino la capacità dell’annullamento sensuale nei confronti dei nostri stessi figli. Oppure l’essere sentimentale si lancerà alla ricerca disperata di quell’amore perduto. E quella ricerca diventerà il nodo – spesso scorsoio – della sua esistenza.”
    Da: http://ilconsigliereletterario.blogspot.it/2013/05/il-tempo-perduto-e-ritrovato-del.html?spref=fb

  4. La “madre” non è solo amore, protezione, rifugio. E’ anche una figura divorante, possessiva, castrante. Così scrive Jung, ad esempio, a proposito dell’archetipo della madre.
    E non è che a furia di esaltare le virtù della madre, tacendone gli aspetti negativi si rischia di alimentare un risentimento profondo ma indicibile verso il femminile (che, nella nostra cultura sembra quasi imprescindibilmente connesso al ruolo materno)?
    E se mettessimo al centro dei nostri valori la dignità, non ce ne avvantaggeremmo tutti, donne e uomini?

  5. Salve, Loredana: da tempo “la leggo” e l’ammiro (ho svolto la mia tesi di laurea sul sessismo presente nelle letteratura per bambini e ragazzi, seguita dalle professoresse Cavarero e Blezza Picherle di Verona).
    Da poco ho aperto un blog in cui finalmente ho dato voce ai miei “pensieri femministi”: le va di dare un’occhiata?
    Grazie, e non solo se verrà a leggermi.
    Le consiglio uno dei primi post, Aspettative
    http://lammalia-api.blogspot.it/

  6. Anche Morandi cantava “Fatti mandare dalla mamma” ed era il tipo geloso e possessivo che voleva controllare quella che gli piaceva. Per lo meno lui il muso voleva spaccarlo a quell’altro.
    Schiaffi ai bambini, calci alle donne, certo, è facile prendersela sempre con i più deboli.
    @diamonds Quella frase è stata detta da Bok Derek quando era rettore di Harvard era una risposta a quanto fosse cara la retta universitaria in quell’ateneo.

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