Qualche settimana fa, per l’esattezza il 19 ottobre, Raffaele La Capria scrive un articolo dove si rivolge al lettore, lo strapazza, lo rimprovera, lo accusa di aver perso passione, e anche competenza. Apriti cielo. Di qua accuse di meschinità scopo vendita, di là lo stigma furfantello di muffito borghese, in mezzo, la sempre opportuna”nomenklatura intellettuale” che porta sugli altari un La Capria tralasciando (indovinate?) altri meritevolissimi autori che bramano attenzione (quali? ma quelli che se la prendono con la nomenklatura, ovvio).
Pochi hanno capito che La Capria stava in parte giocando, come ha spesso fatto, e in parte denunciando quel che sta avvenendo davvero: la perdita progressiva non solo del gusto della lettura (non dei libri di La Capria, della lettura dove non si rispecchia la nostra scrittura, che è cosa molto diversa) e una politica editoriale che sta rivelando in questi mesi le sue tendenze suicide. Non metamorfiche, suicide: per i motivi elencati miliardi di volte (troppi libri scelti e pubblicati a caso, pochissimo sostegno agli autori, economico e letterario, per citarne solo due).
Ieri La Capria è stato a Fahrenheit (il podcast è in questa pagina) e fra le altre cose ha citato Faulkner: ““Un vero scrittore deve temere di fallire. Deve essere insicuro e afferrare per un lembo la verità che il libro gli offre. Faulkner diceva che il vero scrittore si riconosce dalla tentazione del fallimento.”
Cosa intendeva dire? Andiamo a ripescare un’intervista a Faulkner di Jean Stein, apparsa sul numero 12 di The Paris Review nel 1956. Dice dunque Faulkner:
“Nessuno è mai riuscito a essere all’altezza del suo sogno di perfezione, per questo il mio giudizio si basa sul nostro splendido fallimento nella creazione dell’impossibile. Sono convinto che se potessi scrivere di nuovo le mie opere riuscirei a migliorarle, e questo, per un artista, è in assoluto la situazione più positiva. Ecco perché l’artista non smette di lavorare, provare e riprovare; ogni volta crede che sarà quella buona, che ce la farà. È ovvio che non ce la farà, ed è per questo che la situazione è positiva. Se ce la facesse, se riuscisse davvero a portare l’opera all’altezza dell’immagine, del sogno, non gli resterebbe altro che tagliarsi la gola, buttarsi giù da quel pinnacolo di perfezione, verso il suicidio. Io sono un poeta fallito. Forse ogni romanziere attraversa un momento iniziale in cui vuole scrivere poesie, poi scopre che non è in grado di farlo, e allora prova con i racconti, che dopo la poesia sono il genere più impegnativo. E solo allora, dopo aver fallito anche in quello, comincia a scrivere romanzi”.
Pensate: quante volte avete sentito la parola “fallimento” pronunciata da uno scrittore, oggi? Uno scrittore famoso, sconosciuto, medio, esordiente, ancora non pubblicato, aspirante? Quante? Quante volte avete sentito, invece, la parola “sogno” (come in Faulkner) ma legata alla parola “successo”? Come se la scrittura fosse la via privilegiata per realizzare quel sogno di successo e riconoscimento, come lingua non “fantasticante”, come dice La Capria, ma normante, come autostrada che conduce a quella stessa nomenklatura su cui si sputa. Invece di essere anche, e forse banalmente, il mezzo che ci conduce altrove mentre scriviamo, e che sappiamo destinato a fallire perché non sarà mai all’altezza delle nostre aspettative.
Delle nostre, non quelle di una stramaledetta classifica, del vicino di bacheca e del direttore commerciale della casa editrice.
Le nostre.
Per esempio, fra i non molti che ragionano in modo diverso, Andrea Tarabbia. http://andreatarabbia.wordpress.com/2013/01/02/dichiarazione-dimperizia/
Grazie Loredana. Questo articolo è bellissimo, lo conserverò o le rileggerò quando il disgusto per molto di quello che si pubblica oggi sarà insostenibile. Spero che molti scrittori, o esordienti tali, leggano e capiscano il tuo messaggio. Ne va della letteratura, quella vera, quella pulsante e mai morta.
Grazie a te, Stefano. Spero che valga soprattutto per gli editori, che quel sogno di successo in molta parte stimolano e cavalcano.
Cara Loredana, che bello. io penso sempre che più che corsi di scrittura, bisognerebbe fare corsi di lettura
antonello salis,un jazzista di queste parti che si è conquistato una stima internazionale grazie a un’ispirazione capace di non farcelo confondere con i tanti rampolli dei circuiti musicali allevati in batteria dal sistema,in un’intervista ricordava come l’arte,la sua arte, nasceva anche dalla fame nera. Grazie comunque per la reminiscenza Faulkneriana, perché anche per quanto mi riguarda,seppure in un altro piano, posso considerarle un genere di conforto nelle “albe dei giorni” storti
http://www.youtube.com/watch?v=RsGx1KtAgyM
Grazie Loredà 🙂
Semplicemente perfetto.
Poi c’è un problema. Penso. Basandomi sulle riflessioni pubbliche e anche un poco sullo stile di molti scriventi scrittori-potenziali e di certi scrittori scriventi-effettuali, credo di capire che la letteratura appartiene ormai nell’immaginario più alla dimensione pubblica che a quella, diciamo, confidenziale in cui effettivamente si svolge la lettura. E il passaggio da confidenziale a pubblico, nel modo in cui si percepisce uno scrittore, porta con sé almeno due conseguenze. La prima è che il successo non concerne il rapporto tra autore e lettore. Non è cioè un successo presso il lettore, non è l’esito diretto nell’immaginazione e nella percezione del lettore. Il successo è pubblico: avviene col e nel mercato. La seconda conseguenza tocca il nodo qui evidenziato: il fallimento. In un rapporto di tipo confidenziale, anche se virtuale immaginato finto, il fallimento è all’ordine del giorno, ed è, in molti casi, causa di un successo successivo, in ogni caso è connaturato, i rapporti di tipo confidenziale stanno in vita sul filo del fallimento e il fallimento è, com’è ovvio, di natura morale. Ma se lo scrittore vive e si vive sotto i riflettori e al centro della società, il fallimento è un’altra cosa. E’ prima di ogni cosa un fallimento economico. Le copie non vendute sono denari sprecati. E’ perdita di prestigio e potere sociale, o mancato raggiungimento di questi. E’ cosa che riguarda più che sé gli altri. E oltre a essere più difficile da accettare, non è affatto costruttivo. Ed è essenzialmente “quantitativo”. Di qui la necessità di scrivere un libro di successo.
Loredana complimenti … la Capria dal quale sono stato a pranzo ieri primo maggio a Piazza Grazioli e abbiamo parlato proprio di questo , di faulkner e del fallimento …quando vengo a Roma vivo a Monte Tiburtini dove mi pare vivi anche tu nei paraggi… al tuo giornalaio ho lasciato un paio di volte un biglietto a te destinato …ma tu non ti sei fatta viva …sarebbe simpatico bere assieme un caffè qui da me o nella terrazza di la Capria che ne pensi?