Quando si parla di Amazon, anzi, quando si critica Amazon in Italia si viene accusati di essere dalla parte dei poteri forti (!) dell’editoria, e dunque di contrastare il diritto del lettore a pagare poco un libro e il diritto dell’autore ad autopubblicarsi. Proteste, se permettete, da cortiletto: perché a forza di rivendicare quel che dovrebbe spettarci in prima persona e di infischiarcene di tutto il resto siamo dove siamo (dove siamo? Ditemelo voi). E negli altri paesi? Le cose stanno in modo leggermente diverso. Qui sotto, l’articolo di Federico Rampini per Repubblica di oggi: che riporta quanto si dice nei media americani e inglesi. Poteri forti pure loro? E sia, ma forse qualcosa di vero c’è, no?
Un editore americano la paragona al Padrino. Un grande giornale la definisce la Piovra. Un documentario della Bbc, girato in segreto nei suoi stabilimenti, descrive sfruttamento e ritmi ossessivi da “Tempi Moderni” di Charlot. Amazon è il nuovo volto del capitalismo americano? Innovativa, flessibile, lungimirante e visionaria, ma anche spietata. A 20 anni dalla fondazione, tre libri usciti a poca distanza l’uno dall’altro, e un’inchiesta del New Yorker, cercano di fare luce su un’azienda talmente misteriosa che, al confronto, la Apple dei tempi di Steve Jobs era trasparente.
Amazon ha un fatturato di 75 miliardi annui, eppure nessuno sa esattamente quali siano le fonti di guadagno. Il numero dei suoi dipendenti (molti dei quali stagionali, part-time, con contratti a termine, sottopagati) è un segreto industriale. La creatura che Jeff Bezos cominciò a costruire nel 1994, viene additata come un Moloch inarrestabile, capace di divorare interi settori, stritolando la concorrenza. E non solo nei libri. Chi ancora identifica Amazon con la vendita dei libri online, è indietro di molti capitoli. «Le vendite di libri ormai rappresentano solo il 7% – racconta George Packer su The New Yorker – oggi Amazon vende proprio di tutto: iPod o tagliaerba, giocattoli e opere d’arte, pannolini o scarpe, stampanti 3-d, armi da fuoco, perfino vibratori ». È il supermercato online per eccellenza, vero concorrente di Wal-Mart, il numero uno della grande distribuzione. E a differenza di Wal-Mart non si limita affatto a vendere: affitta, produce in proprio.
L’inchiesta del New Yorker mette in fila questo elenco di nuovi mestieri. Amazon con il boom del suo lettore digitale Kindle è ormai un’azienda manifatturiera di hardware elettronico come Apple. È una utility che noleggia servizi, dai video a domicilio in streaming fino al “cloud” informatico per custodire grandi quantità di dati. È una casa editrice, offre agli autori di pubblicare libri saltando l’intermediazione dei vecchi editori. È una casa di produzione cinematografica e televisiva in concorrenza con Time Warner e Paramount (ma anche con YouTube di Google). È un magazine di recensioni letterarie, anche se tutt’altro che “indipendente”. E di recente il fondatore e chief executive Bezos ha anche deciso di comprarsi il più importante giornale della capitale, il Washington Post.
In 20 anni di storia tumultuosa, l’espansione da un settore all’altro può apparire disordinata. Invece c’è un filo conduttore, che fa di Amazon il paradigma di un capitalismo nuovo. Anzitutto un capitalismo senza profitti, o quasi. Forse come scelta transitoria, e tuttavia ormai ventennale, quest’azienda fa degli utili ridottissimi. Eppure a Wall Street il modello di Bezos piace moltissimo e la performance delle sue azioni nel lungo periodo è spettacolare. In Borsa vale più di Coca Cola e AT&T. Quel che conta per Amazon è crescere a gran velocità, invadere nuovi settori, travolgere i concorrenti fino a creare il deserto (o quasi) attorno a sé. L’uso dei libri è esemplare. Bezos intuì nel 1994 due cose: che l’industria editoriale era in una crisi profonda a causa di Internet, quindi vulnerabile; e che i lettori sono un bersaglio importante perché sono una fascia medioalta dei consumatori. Il libro era il cavallo di Troia, un modo per impossessarsi di informazioni preziose su di noi, i nostri gusti, i nostri interessi. E ovviamente anche il nostro indirizzo e la nostra carta di credito. Prima ancora di Google e Facebook, fu Amazon a capire che nell’economia digitale la risorsa strategica sono i dati sui clienti. Una volta conquistati quelli, tutto diventa possibile. E in molti campi Amazon punta a replicare la strategia “non si fanno prigionieri” che ha usato con successo nell’editoria: facendo fallire metà delle 4.000 librerie indipendenti e costringendo gli editori a praticarle sconti fino al 53%. Un business nuovo come la lettura digitale è finito sotto il suo controllo con il Kindle che ha il 65% del mercato. Di questi successi non traggono beneficio i dipendenti, in un’azienda dove il sindacato è vietato, e nei maxi-magazzini i commessi spedizionieri devono esaurire un ordine ogni 33 secondi. Wal-Mart, per i suoi comportamenti anti-sindacali, almeno si attira addosso l’antipatia dell’opinione pubblica progressista. Bezos ha inventato lo “sfruttamento invisibile”, in un business dove il consumatore è solo in casa davanti allo schermo di un tablet o di uno smartphone, a fare la spesa in un cyberuniverso asettico e (apparentemente) senza lavoro umano.
Ci sono troppe cose in questo articolo di Rampini. Non che non siano vere, ma il loro affollamento rende difficile rifletterci su. C’è l’impatto di Amazon sul mondo del libro, ma anche un punto interrogativo grosso come una casa sul modello di business: come fa a stare in piedi un’azienda che fa profitti solo al margine? E come mai, in un periodo in cui tutti si riconcentrano sul core business e prendono atto della difficoltà di operare in campi di cui si ignora la specializzazione, questi diversificano al punto di creare un’azienda-mondo, che tutto ingloba e ogni desiderio vuole esaudire? E poi la percezione del pubblico: perché Wal Mart è giustamente esecrata e Amazon è invece esaltata come alfiere della nuova libertà digitale? Questo è un grande tema: i consumatori che si consegnano da soli nelle mani del moloch, lieti di farlo. C’è qualche esperto di comunicazione o, meglio ancora, qualche psicologo/a che abbia voglia di provare a spiegare questo fenomeno?
Che fare, quindi, di domande del tipo (che vengono dalla citata, ma forse un po’ troppo frettolosamente riassunta, inchiesta del New Yorker)
“Jane Friedman, the former Random House and HarperCollins executive, who now runs a digital publisher called Open Road Integrated Media, told me, “If there wasn’t an Amazon today, there probably wouldn’t be a book business.””
Oppure:
“What do you want as an author—to sell books to as few people as possible for as much as possible, or for as little as possible to as many readers as possible?”
Dibattiti da cortiletto, è ovvio. Eppure, appaiono sui media angloamericani, quindi, qualcosa di vero ci sarà, no?
La risposta italiana è chiara: massima restrizione del mercato, che tanto era già asfittico, sostegno dei prezzi ope legis, chiusura totale all’innovazione – tutto per il bene della cultura, e la giustizia sociale, eh, non permettiamoci sospetti provinciali.
Usciti dal cortiletto, ci troveremo in tasca un’altra edizione scollata della Divina Commedia, comprata a 30 euro dalla cartolibreria dell’angolo (che ha anche sei Oscar di Manzoni, e il libro “le tagliatelle di Nonna Pina”). Buon per la Mondadori, (e l’editoriale Repubblica/L’Espresso, e Condè Nast), visto che Dante e Manzoni di anticipi e royalty non ne hanno più bisogno.
Dibattito da cortiletto è tirar fuori ogni volta i “poteri forti” (debolini, al momento) e non considerare mai che il vendere il maggior numero di libri al maggior numero di lettori, e aggiungo nel minor tempo possibile ha un costo umano. Quello di chi lavora ad Amazon. O tuteliamo solo il diritto del consumatore a scapito di quello del lavoratore?
@alessandro forghieri: non mi pare si stia verificando quanto sostieni. E comunque il rispetto delle norme sulla concorrenza (antitrust, divieto di dumping) e quello dei diritti dei lavoratori devono o no essere imposti anche con mezzi – se del caso – coercitivi? Perché è di questo che si sta parlando, non di altro.
Non ho mai visto il documentario della BBC, ma ho visto il documentario su Channel 4 e ho letto di altri problemi di questo tipo di Amazon Germania. Per questo da almeno 6 mesi ho cancellato il mio account AMAZON e compro i miei libri in libreria. L’ultimo l’ho ordinato online alla mia solita libreria e poi sono solo passato a ritirarlo in centro, il costo credo sia stato circa 7 pounds, non credo che con Amazon l’avrei comunque pagato di meno. Di certo non voglio prendere vantaggi economici da una multinazionale che sfrutta il personale, che assume a tempo determinato (attraverso agenzie interinali) e poi lascia a casa il giorno prima che il contratto dovrebbe dare diritti, …
Mick
ho un cognato portalettere alle soglie della “quasi pensione” che mi dice che la maggior parte delle consegne ormai sono corrispondenze da amazon(mi ha anche chiesto,”ma che cazzo tratta questa gente?”)
http://www.youtube.com/watch?v=Roh0tSJ01Ks
@lalipperini Le ramanzine sui costi umani convincono di più quando non provengono dai concorrenti e sono confrontate coi costi (sempre umani) delle alternative, tra cui è opportuno anche contemplare il differenziale eventuale di occupazione (con/senza Amazon). Se no sono discorsi vagamente ludditi, “scare tactics” volte soprattutto a screditare il concorrente. Si direbbe quasi che gli editori tradizionali non riescano concorrere efficacemente con Amazon per convinzione etica e simpatia per i sindacati.
Sono sempre d’accordo con la tutela dei diritti dei lavoratori (ma lavorare in Amazon è sempre meglio che lavorare in fonderia, varrebbe la pena di ricordarsene). Come bisognerebbe ricordarsi più spesso che lo spregevole consumatore coincide in toto con il nobile lavoratore.
@maurizio DIrei proprio che si sta verificando. Il decreto sul massimo sconto applicabile ai prodotti editoriali (noto come norma Anti-amazon) è dell’anno scorso direi. La qualità materiale media (carta, rilegature, etc.) dei prodotti editoriali italiani è spregevole come lo è stata negli ultimi decenni, i costi elevati (dai 20 euro in su per un hardback non illustrato) come di consueto, l’offerta … ‘nsomma. Se non fosse per l’odiata Amazon, l’offerta degli e-book sarebbe minima e un reader costerebbe 300 Euro (prezzo di un reader Sony – scarsino – di 2 anni fa). Last but not least, un e-book costerebbe come l’equivalente cartaceo.
Piangere sulla sorte degli editori tradizionali è un po’ come provare a piangere sulla sorte dell’industria musicale – per quanto ci si provi, non ci si riesce. Fra l’altro trovo un po’ paradossale che i difensori dello “status quo ante Amazon” siano gli stessi che lamentano costantemente che l’Italia sia un paese di non lettori.
P.S: E no, no sono un dipendente di Amazon, neanche alla lontana. Neanche lavoro nell’editoria. Sono solo uno che compra libri da una vita, in Italia e negli Stati Uniti,
Alessandro, se ha la bontà di leggere le testimonianze dirette sui e dei lavoratori di Amazon, credo che cambierà le sue opinioni sulle fonderie. Quanto al luddismo, non se ne avrà a male, spero, se le dico che questa è la classica critica che si oppone a chi avanza dubbi sulle magnifiche sorti e progressive della rete (ma poi, parlare genericamente di critica alla rete ha poco senso: si discute di pratiche all’interno del mezzo, e non del mezzo, ma facciamo finta che sia così): quando avviene, si viene arruolati nelle fila del generale Ludd. Anche qui, sarebbe interessante ricordare chi era Ned Ludd: non il visionario retrogrado della vulgata sprezzante nei confronti dei luddisti, ma un combattente che fece ben più che distruggere un telaio meccanico negli ultimi anni del Settecento. Il luddismo era un movimento operaio che difendeva i lavoratori, attraverso il sabotaggio, non dalla rivoluzione industriale in sé, ma dalle forme di sfruttamento che ne derivarono. A maggior ragione, ritengo importante provare a capire quali forme di sfruttamento molto meno visibili di un telaio meccanico vengono messe in atto oggi.
I sindacati non possono neanche mettere piede dentro Amazon: di certo non in Italia. E, in tutta sincerità, non vedo perché “avere simpatia per i sindacati” debba essere un male.
Gli editori tradizionali, inoltre. Che stiano sbagliando miliardi di cose ci trova concordi. Contestare Amazon non significa AFFATTO difendere l’editoria così come è concepita oggi.
Quanto alla sua ultima frase, quella del consumatore che coincide con il lavoratore, è verissima: una delle grandi questioni che è stata posta da chi si occupa seriamente della tutela dei lavoratori nell’epoca delle multinazionali “digitali” è proprio come far capire al lavoratore Foxconn che apre un pacco di Amazon e al lavoratore Amazon che usa un iPhone che sono parte del medesimo sfruttamento. Il che non significa, ovviamente, fare a meno dell’acquisto di libri on line nè degli iPhone. Ma criticare lo scenario, invece, è legittimo.
Concludo, chiedendo venia per la lunghezza, riprendendo una vecchia citazione di Foucault, che in Microfisica del potere scrive: “Quel che gli intellettuali hanno scoperto a partire dalle esperienze politiche degli ultimi anni è che le masse non hanno bisogno di loro per sapere; sanno perfettamente, chiaramente, molto meglio di loro, e lo dicono bene. Ma esiste un sistema di potere che blocca, vieta, invalida questo discorso e questo sapere; potere che non è solo nelle istanze superiori della censura, ma che affonda molto in profondità, e molto sottilmente in tutte le maglie della società. Gli intellettuali stessi fanno parte di questo sistema di potere, l’idea che essi siano gli agenti della ‘coscienza’ e del discorso è parte di questo sistema. Il ruolo dell’intellettuale non è più di porsi ‘un po’ avanti o un po’ a lato’ per dire la verità muta di tutti; è piuttosto di lottare contro le forme di potere là dove ne è ad un tempo l’oggetto e lo strumento: nell’ordine del ‘sapere’, della ‘verità’, della ‘coscienza’ e del ‘discorso’. E’ in questo senso che la teoria non sarà l’espressione, la traduzione o l’applicazione di una pratica, ma una pratica essa stessa”.
Pratica. Dire non “devi fare questo”, ma “questo è quel che vedo”. E noi vediamo multinazionali che per vendere ti coinvolgono nel processo: sei libero di dire no, naturalmente, o di accettare. Non critico la tua scelta: dico che il tuo essere nella rete ANCHE per vendere un prodotto altrui fa parte di un processo che riguarda tutti noi.
Ci credo, Alessandro, infatti, se fossi un dipendente amazon non solo non potresti parlare, ma non avresti neanche il tempo per farlo, sfinito come saresti dai ritmi di lavoro.
Resta il fatto che si sono altre narrazioni possibili e quella di guardare amazon nella sua realtà è una narrazione interessante, istruttiva, che porta a ragionare anche su altri lati più o meno oscuri del mercato. Perchè lo sappiamo bene che non c’è solo amazon, ma amazon per molti è più fastidiosa di altri.
Tanto come dice il cognato portalettere tutti comprano amazon, per cui non verrà meno il suo posto sul mercato.
Diciamo che la storia che personalmente voglio raccontare e sentir raccontare è un’altra e mi impegno di cuore, come lo faccio già da tempo con Nestlè, Adidas ed altri marchi sfruttatori. Non ho problemi a rivolgermi altrove e spero di poter continuare a narrare questa storia altra senza ogni volta dover sentire qualcuno che vuol farmi cambiare idea.
Io penso che il problema sia sindacale, le multinazionali approfittano delle divesità legislative dei vari paesi, così da approfittare delle agevolazioni dei vari stati; quindi imporre un prezzo minimo di sull’editoria non porta altro che a maggiori introiti ad una mutinazionale che spende il minimo di tassazione e di costo del lavoro… quindi la via non può essere altro che:
azienda multinazionali, leggi e tasse globali e norme sindacali globali. Fino a che tutte le aziende non produrranno a delle stesse regole internazionali, ci troveremo di fronte ad un’impari braccio di ferro fra azienda e silgoli lavoratori.
detto questo, non penso che non comprare da Amazon risolva il problema dei lavoratori, questo deve essere accompagnato da una sorta di job-action che dica: non compro fino a che non ti adegui a certe regole.
Certamente Amazon sta approfittando del mercato e del suo peso, ma chi gli ha dato potere di arrivare fin qui? Son state le nostre compravendite attraverso il sito o piuttosto il fatto di darci un potere di acquisto superiore a quanto il governo ha “stabilito”, con leggi sempre dalla parte della categoria più ricca?
Se i dipendenti di Amazon ACCETTANO di lavorare senza sindacati, e se la legge lo permette, a chi imputiamo questa responsabilità? Ad Amazon, ai dipendenti, o piuttosto sempre al governo che lo permette?
Meditiamo, cerchiamo il bersaglio prima di sparare…
@Alessandro Forghieri: “La qualità materiale media (carta, rilegature, etc.) dei prodotti editoriali italiani è spregevole come lo è stata negli ultimi decenni, i costi elevati (dai 20 euro in su per un hardback non illustrato) come di consueto, l’offerta”. Va bene, parliamo per un momento di mercato del libro e facciamo finta che il problema dello sfruttamento delle persone (che è il più grave) non ci sia. Sulla qualità editoriale non discuto, ma come ti ha già fatto notare Loredana criticare Amazon non significa difendere l’industria editoriale degli ultimi decenni. I costi elevati dipendono in massima parte dal problema della distribuzione, che in Italia è oligopolistica e non solo fagocita metà o più del prezzo di copertina, ma decide pure chi deve andare in vetrina e chi no. Anche qui un problema di antitrust, la stessa che NON interviene sugli abusi di posizione dominante di Amazon. Quanto alla legge, non sono in grado di dire se sia fatta bene o meno; osservo però che cercare di limitare il dumping, pratica commercialmente scorretta, è (sarebbe) un dovere da parte delle autorità; e certe politiche folli di sconto si chiamano così: dumping. Qui nessuno, credo, è contro il commercio on line o contro gli e-book; io stesso ho un Kindle, sebbene non me lo sia comprato da solo, e certo non l’ho parcheggiato in magazzino per punire Amazon. Solo che cerco di fare acquisti critici: certi libri li compro in librerie piccole che mi piace che restino aperte, altri on line ma da distributori meno chiacchierati (e che pagano le tasse in Italia), e da Amazon compro solo ebook. Non mi sento per questo un trinariciuto, ma solo uno che non si ferma alla superficie delle analisi. Vogliamo parlare di mercato? Bene, facciamolo. Ma per favore, cerchiamo di andare oltre quello che si legge a pagina 1 del manuale di economia 1.
@George
non possiamo pensare all’operato illuminato di aziende e governi; i lavoratori ACCETTANO in quanto deboli nella singola contrattazione; bisognerebbe che TUTTI i lavoratori si coordinassero nel non accettare condizioni sotto a certi standard.
forse è utopistico nel mondo del lavoro al tempo della crisi, ma la via è pensare globale: commercio globale, lavoro globale, leggi globali, sindacati globali (anche se mi ridere pensare che un sindacato globale possa essere efficente qunado non lo è nel singolo stato.. ma va beh)
Buongiorno, da diversi mesi non faccio più acquisti su Amazon. Vorrei sapere se anche le altre librerie online (ad esempio IBS) adottano una politica del lavoro altrettanto nefasta. Sono state raccolte informazioni in proposito? Grazie.
Ho letto le testimonianze dei lavoratori Amazon. Non c’è dubbio che
alcuni comportamenti di Amazon siano spregevoli (e.g. il conteggiare
nell’orario di riposo il tempo richiesto uscire dai tornelli) e penso
che andrebbero sanzionati *ove irregolari o – peggio – illegali*. (A
proposito, mi incuriosisce questo fatto che i sindacati in Italia non
possano mettere piede in Amazon – siamo sicuri? Pensavo che il
comportamento antisindacale fosse sanzionato dal diritto del lavoro,
ma IANAL, etc.) D’altra parte io – non da solo – trovo ripugnanti
anche alcuni atteggiamenti della Fiat, ma non ho sentito invocare
tariffe o tassazioni punitive a suo carico. Nessuno che abbia detto
che la Fiat sia un Moloch (un Dio cartaginese cui si sacrificavano i
bambini, tanto per capirci). Tutt’al più si criticano i pulloverini di
Marchionne invece di estasiarsene (a proposito, anche Bezos si mette i
dolcevita – complotto?)
Ciò detto, mi pare che siamo pituttosto lontani dal padrone delle
ferriere e molto vicini alla normale dinamica aziendale. Se invece
Amazon fosse in violazione delle regole, non si capisce perchè queste
ultime non vengano applicate.
Io non ho detto da nessuna parte che la “simpatia per i sindacati” sia
un male (o un bene). Mi limito a notare che a me pare che spesso si
monti un caso etico contro le cattiverie – vere o presunte – di Amazon
perchè
1) Fa copia – più, che, ad esempio, andare a vedere come si faccia a
diventare giornalista in Italia, o cosa voglia dire fare il
pubblicista o il traduttore, o se nella logistica di un quotidiano (o
di una mozzarella) tutti siano sindacalizzati, pagati adeguatamente e
a tempo pieno.
2) Amazon è bravissima a vendere ,più brava di quasi tutti gli altri
ed è più facile dire quanto è cattiva che eguagliarla – un po’ come
quando il nucleo antisofisticazione si fa un giro e, guarda caso,
becca solo i cinesi.
3) L’abbiamo presa per i fondelli per 10 anni buoni mentre
continuavamo col business as usual, impipandocene di internet e
tutte queste idiozie e adesso ci sta mandando a stendere.
Tutti fenomeni già osservati, fra l’altro, (molto più in piccolo) 30
anni fa, quando tutti ce l’avevano con Newton Compton perchè vendeva i
classici a mille lire (e se ben ricordo c’era un risvolto umano anche
lì, sul trattamento dei traduttori e degli editor)
Massimo rispetto per Foucault, ma mi sembra che in questo caso la
sapienza nelle masse (di lettori) sia votare con il portafogli per
Amazon – mi chiedo se schiaffare delle tariffe sui libri sia la
reazione più etica. Visto che, poi, chi non se li potrà più permettere
– i libri – sarà il magazziniere di Amazon, che sta a Spinaceto, e non
il frequentatore della deliziosa, piccola libreria che sta in centro a
Roma e dove negli anni 50 si incontravano Flaiano e Calvino (faccio
per dire, ma solo un po’).
A @Isabella dico di raccontare tranquillamente la storia che vuole
raccontare, come anche io racconto la mia – quello di non volere
ascoltare pareri discordanti (che si chiama confronto delle idee- a
volte anche informazione) è una presa di posizione un po’ originale,
ma insomma, c’è ancora abbastanza cera per chi ama riempirsene le
orecchie. Naturalmente con le orecchie tappate non si sentono le
sirene, nè si corre il rischio di sentire cose scomode.
@Maurizio: Sì se si tratta di dumping. Ma nel caso specifico, all’italiana, non si è neanche posto il caso (che, probabilmente, non c’era, e comunque mai dare potere all’antitrust, siamo matti?): si è solo limitato lo sconto massimo applicabile, andando in tasca fra l’altro a insegnanti e biblioteche, e facendo anche imbufalire i librai. Solo Mondadori e Feltrinelli non si lamentarono – missione compiuta.
Ciò detto, anch’io compro “dolphin safe”, figuriamoci se voglio limitare le opzioni di qualcun altro.
(TL;DR: Se Amazon viola le regole, si applichino subito. Ma se è solo brava a vendere, ed è etica ne più ne meno che qualunque altra azienda, siete sicuri che i vostri motivi siano puri?)
Difendere 2000 librerie indipendenti non puo` essere sospetto.perlomeno non quanto fare dumping,pratica peraltro sanzionabile giuridicamente,col culo degli altri per giunta
P s. Tanti minatori erano fieri di essere quello che erano. Gli sarebbe persino piaciuto farlo fino all`eta` della pensione se ce ne fosse stata la possibilita`. Almeno sarebbero stati in grado di mandare i figli all`universita`
Alessandro, come detto sopra: non è che deprecando le pratiche di Amazon non si deprechi Marchionne, la Fiat, il comportamento degli editori verso i lavoratori precari. Mi sembra un ragionamento, permettimi, pieno di pregiudizi, come se qui si fosse col mignolino alzato a sorseggiare tisane (naturalmente rimpiangendo, signora mia, i tempi di Flaiano e Calvino, visto che chi parla contro un monopolista è gioco forza un intellettuale da caricatura, una damazza da salottino), ignorando quanto avviene. Non è così. Depreco Marchionne E Amazon, i grandi e piccoli editori che sfruttano i precari e i traduttori, e se vuoi ti faccio la lista. Ma mi sembra un po’ grottesco.
Quanto alle tariffe sui libri, se ti riferisci alla legge sul prezzo del libro, quella italiana è contraddittoria, parziale e confusa. Ma, se permetti, occorre fare una scelta: modello liberista fatevi concorrenza o modello francese con lo Stato che tutela editori e librai? L’Italia non ha deciso nulla, e arranca, e lo stato delle cose in editoria è disastroso.
Ma la questione Amazon va al di là di queste considerazioni, direi. (e, sì, sono sicura, i sindacati non possono entrare nei magazzini, in Italia, e, sì, la tutela di chi lavora mi interessa più dei delfini, e che gli dei marini mi perdonino):
Ma infatti la questione dello sfruttamento trascende di gran lunga la singola soggettività Amazon, per quanto grande. Che, forse c’é bisogno di sottolinearlo, non esaurisce in quanto tale quella splendida invenzione che é la tecnologia che informa l’inchiostro elettronico se vogliamo parlare di libri. Tecnologia incredibilmente economica ed efficace nella trasmissione della parola scritta. Con buona pace dell’industria editoriale io continuo ad essere convinto che sia tutta salute. Per la scrittura ci sarà sempre posto, non c’é dubbio alcuno. É il modello economico che ha sorretto finora le attuali posizioni che necessita di un reset.
E infatti questo non è un post contro gli ebook, se non fosse chiaro 🙂
OK, ultimo post, e spero conciliatorio – che se no su internet si sa
come si va a finire, si litiga anche se si è d’acordo su quasi
tutto. Perciò, chiedo scusa, sarò lungo.
Loredana, intanto si sa che questo è un forum (e uno di quelli intelligenti,
complimenti) e che uno finisce per infilare in 4 post tutto quello che
ha pensato leggendo sullo stesso tema in luoghi più impervi ad una
discussione ragionevole (“tutta colpa di Berlusconi!” “Ah, ecco la zecca
seguace della mortadella…” etc.) Quindi chiedo scusa se ho fatto di
molte erbe un fascio. Ad esempio, la difesa della deliziosa libreria
di Roma l’ho sentita fare non qui, ma usu Radio 3, da gente
che nella stessa frase è capace di prendersela con i libri al
supermercato e col fatto che gli italiani non leggono ma gli inglesi –
che bravi gli inglesi – sì. Si vede che da W.H.Smith, secondo loro,
c’andava a bere W.H.Auden. E poi non avevo ancora letto questo http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/lipperatura/2014/02/10/noi-che-non-abbiamo-bisogno-di-leggi-sul-libro-figurarsi/, quindi ero fuori tema.
Facciamo finta che in Italia si riesca a fare una scelta. Il modello
francese, coi suoi grand commis dirigisti, gli ordinateurs e i
megaoctets mi dà un po’ noia. Però si vede che qualcosa di giusto
riescono a combinarla, visto che il loro cinema produce ancora film
decenti: il nostro, a forza di tutelarlo, lo abbiamo ammazzato.
Dovessi scegliere, lascerei fare a Darwin, anche perchè ho in gran
dispetto le tutele all’italiana di cui vedo gli effetti.
Anche io (quando non sono chiuso in salotto da solo a comprare roba su
Amazon) frequento librerie di cui sono innamorato (ad esempio c’è
Bastogi a Orbetello – fine consigli per gli acquisti) e quando (negli
Stati Uniti) hanno chiuso Border’s mi è preso il magone. Ma non penso
sia giusto far mantenere i miei vizi al pubblico senza averci pensato
molto bene. Vado all’opera, ma non credo che si possano far pagare i
bilanci fallimentari degli enti lirici a chi – vivaddio – vuole usare
i suoi soldi per andare allo stadio. In qualche modo va sempre a
finire che vengono tutelati quelli che sono più bravi a beccarsi i
finanziamenti. Quelli che fanno le opere migliori o i film più
avvincenti vanno da un’altra parte. Forse in Francia.
Non credo faremo nè l’uno nè l’altro, in Italia la non scelta è una
strategia, che, tra una regola contraddittoria e l’altra, fa sempre sì
che si possa fare una carezza ad un amico. La via italiana al mercato
passa per la chiusura del concorrente a colpi di leggine ad hoc,
ispezioncine della finanza e via legiferando (basta vedere come se la
cava Esselunga in Emilia – e a me non piace Caprotti, eh)
Il che mi riporta alla tutela dei lavoratori, ai delfini (di cui mi
assumo la responsabilitàe eliminandoli dalla discussione) e ad
Amazon. E’ vero che Amazon trascende le nostre questioni da
cortiletto. C’è di mezzo la disintermediazione indotta da internet, la
sparizione dei media fisici, l’impatto sul processo editoriale (di cui
parla l’inchiesta del New Yorker). E poi i segnatempo messi fuori dai
tornelli. Io non è che voglio toglierla di mezzo l’ultima questione,
ma perchè la vulgata italo-europea s’interessa di amazon
principalmente per l’ultimo punto? Ma veramente 8 ore di amazon sono
peggio che 8 ore nella linea di packaging di una ceramica? Se in
amazon si violano le regole s’intervenga subito. Ma se no?
L’articolo di Rampini riassume servizi fatti dai soliti sospetti (BBC,
New Yorker) lasciando però fuori tutte le sfumature e si lamenta che
“Wal Mart…almeno si attira addosso l’antipatia dell’opinione
pubblica progressista.” E dalli col Moloch, con la gente che isolata
nel suo salotto, etc. Si ha l’impressione che Rampini sarebbe contento
se potesse dire che le custodie dei Kindle sono fatte di pelle di
delfino (non ho resistito a reinserirli).
Quello che fa sentire me isolato è che pare che opinioni di questo tipo: http://www.slate.com/articles/technology/technology/2011/12/independent_bookstores_vs_amazon_buying_books_online_is_better_for_authors_better_for_the_economy_and_better_for_you_.html le legga e ponderi solo io. (Oh, si tratta di Slate, mica di Forbes)
Infatti mi sorprende che tu dica “…in Italia si viene accusati di
essere dalla parte dei poteri forti (!) dell’editoria, e dunque di
contrastare il diritto del lettore a pagare poco un libro e il diritto
dell’autore ad autopubblicarsi”. Io ho sempre visto copertissimo il
lato del Moloch, à la Rampini. Sarà mica che a coprire l’altro
versante ci siamo solo io e Slate ;-).
Con simpatia,
Alessandro
(TL;DR : Bel blog. Complimenti)
Alessandro, mica siete soli, tu e Slate, c’è anche Bezos 😀 A parte gli scherzi, che l’Italia sia alquanto disorientata e spesso ignorante in materia è vero. Vero anche un altro fenomeno, molto ben descritto in questo post:
http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=5241
(grazie!)
C’è di mezzo, Alessandro, lo sfruttamento di una forza lavoro occidentale rassegnata sempre più (giocoforza) a dover subire la pressione di un miliardo e mezzo di lavoratori sottoposti a metodi schiavistici nelle aree più depresse del mondo. Italia compresa. Amazon e il suo leader Bezos è su quel campo che giocano per creare valore. Per questo sono convinto che inquadrare una faccenda così enorme dall’angusta angolatura editoriale non ne faccia comprendere a dovere la portata (“Il libro era il cavallo di Troia, un modo…”). Men che meno il cortiletto, no? E’ un problema di (non) regole e può tornare utile Google Earth 🙂
La cosa notevole di una simile discussione in un blog è “apprezzare” l’ottusa pervicacia di personaggi come Sir Robin (che ha scambiato il post per un attacco al favoloso (????) mondo degli e-books, cosa che, con evidenza, non era nelle intenzioni dell’autrice) al puro, raffazzonato e spocchiosetto esercizio di mirror-climbing di A.F. (scritto in un italiano da mani nei capelli), in favore del potentucolo di turno (Bezos) che se ne impipa (cit.) delle regole
P.S.: cancelli pure, e mi scusi il tono, ma i ciarlatani non li reggo.
Si dice “Amazon costringe gli editori a praticarle uno sconto del 53%”: Finora ho venduto solo cartaceo su Amazon, ho appena avviato la procedura per ebook (sono capitata qui proprio per raccogliere informazioni su kindlestore). Ci sono vari dettagli per i quali il trattamento riservato all’editoria indipendente è a volte vessatorio ma non questa faccenda dello sconto perchè l’editore indipendente comunque pratica uno sconto del 55% al distributore dunque il 53% di Amazon è perfino più basso.
notare che i feedback negativi vengono censurati alla faccia di ogni logica democratica!!
Troppo comodo pubblicare quello che e’ utile!!
I miei complimenti ad Amzon e alla sua politica PROFONDAMENTE DEMOCRATICA………….