E NON CHIAMATELA LIBERTA' D'ESPRESSIONE

Abbiamo un paio di problemi, direi. Li ha esemplificati benissimo Mauro Biani in una vignetta per Il Manifesto: si vedono Greta e Vanessa e un tizio con la maglietta d’ordinanza dove campeggia “Je suis Charlie” che le apostrofa “Dovevate stare a casa e farvi i cazzi vostri”.
Alt, fermi. Significa che la libertà d’espressione vale solo in alcuni casi? No, vale sempre. Ma quella che si è scatenata in questi giorni contro le due ragazze non è manifestazione di libero pensiero: è borbottio volgare, sfogo da basso impero, parlo perché sì, e se mi contrasti significa che sei contro la libertà, io sono Charlie e tu no.
Facciamo un minimo di chiarezza: i vignettisti di Charlie Hebdo sfidavano un tabù e sapevano quello che facevano, e lo facevano con competenza e talento. Non dicevano la primissima cosa che passava loro per la testa senza approfondire, senza pensare, così-solo-perché-si-può. Non mettevano in campo la propria pancia e i propri risentimenti, ma la propria testa. Chi scrive con le trippe non fa informazione libera, ma cerca una nevrotica consolazione, si accontenta della miseranda soddisfazione di chi  insulta perché ha una tastiera sotto le dita (e questo  fa sentire al sicuro, peraltro) e per quella  manciata di minuti in cui vomita sulla rete si sente meglio.
Perché succede? Per un’infinità di motivi. Ma uno preesiste ai social e riguarda la responsabilità della parola pubblica. Se permettete, cito una pagina di Ancora dalla parte delle bambine. Era il 2007. Sono passati quasi otto anni e Roberto Polella aveva drammaticamente ragione. Diamine.
“Vado a trovare Roberto Polella, che presso il Tribunale dei Minori è sostituto procuratore della Repubblica. E che conosce un bel po’ di storie. Storie di grandi.
“Abbiamo un problema di genitori. Genitori che contestano fino a creare problemi di sicurezza all’insegnante. Per parlar chiaro, gli tagliano le gomme dell’automobile. La scuola? Minimizza. Altrimenti dovrebbe riconoscere il proprio fallimento. Abbiamo un problema di madri, soprattutto. Sono apprensive, e aggressive: fanno piazzate in classe perché ritengono che il figlio venga discriminato. Infine, abbiamo il problema delle denunce, dove i genitori di altri bambini chiedono l’allontanamento di chi disturba le lezioni.”
In pratica, gli chiedo, vi viene chiesto di fare da arbitri in una guerra dove i bambini sono la posta in gioco. “Come Tribunale – dice- siamo al centro di tensioni esasperate. La famiglia non ha autorevolezza. La scuola è in crisi. Per il bullismo, dicono. Ma il problema non è questo. Il bullismo è sempre esistito, a dispetto della mancanza di memoria dei mass media. Da sempre, a scuola, si picchia e si ruba. Ma ai miei tempi il bottino erano le merendine. Oggi il valore degli oggetti è molto più alto: e il reato diventa quello di rapina con estorsione. Semmai un fenomeno nuovo, pesantissimo, è quello dello stupro fra minorenni. Sa come funziona? Si sceglie una vittima e per prima cosa, con metodo, la si annienta moralmente. Prese in giro feroci, battute pesanti: giorno dopo giorno. Poi le si dice: la smettiamo in cambio delle tue prestazioni sessuali. Lei, in genere, accetta. Dopo la prima volta, si chiamano gli altri compagni. Lei torna. Altrimenti è fuori dal gruppo. Nessuno dei torturatori si chiede mai: “cosa stiamo facendo?”. Anche il pentimento è strumentale, chiaramente invogliato dai difensori e dalle stesse famiglie. “E’ stata una ragazzata. Sono giovane”. Questo è quello che dicono. E i familiari aggiungono: “sono vittime, sono stati provocati, la ragazza si è offerta, ci sta”.
E gli altri compagni? “Silenzio. Mi è rimasto impresso il caso di una bambina di tredici anni, in provincia. Le hanno rotto le costole durante il cambio delle ore, perché non si ribellava e subiva ciecamente gli insulti e le vessazioni. Un gruppo di quattro. Nessuno l’ha difesa. Se vuole sapere perché si arriva a questo, le dico come la penso. Perché non viene capito il disvalore dei soggetti più deboli e labili, con minor capacità reattiva: la vigliaccheria è ai massimi livelli. Ma si arriva a questo anche e soprattutto perché le madri iperproteggono figlie e figli fin dalle elementari. E quando sono alle medie, li provvedono di soldi e telefoni costosi. Poi c’è un terzo motivo: sa cosa farei, se potessi?”. No, non lo so. “Bene, prenderei per il collo i vertici Rai e Mediaset e li inchioderei al muro. Editori, dirigenti, autori. E imporrei il canone etico: un vero codice, non una formalità. E se non lo rispettano li caccerei tutti. Le faccio l’elenco: Michele Cucuzza. Maria De Filippi. Maurizio Costanzo. Lo staff di Buona domenica. Bruno Vespa, con il caso Cogne trasformato in soap opera. Con questi modelli, cosa devono pensare i ragazzi? Quel che penso io, è che da questa situazione non si torna indietro”.

10 pensieri su “E NON CHIAMATELA LIBERTA' D'ESPRESSIONE

  1. Grazie! Grazie dal profondo del cuore! La seguo sempre e leggo i suoi libri. Sono (forse) la luce di una candela in un mondo buio, ma accidenti se ci serve questa luce! Sono disgustata dalla barbarie che vedo e che leggo ogni giorno. Greta e Vanesse sono le ultime di una lunga serie…e domani ci sarà qualcun altro da odiare. Da questa situazione non si torna indietro (?).

  2. Mi chiedo sempre e solo se questo “vomitatoio virtuale” è una salutare valvola di sfogo che ci proteggerà da insane azioni reali, o se è il prodromo del prossimo totalitarismo efferato.

  3. Pane al pane e vino al vino, in chiaro, finalmente.
    Questi padri e queste madri di oggi, non sono stati educati ad avere un progetto educativo… sono, a loro volta, figli di lavoratori che solo a sera diventano genitori ma sono stanchi e senza nerbo.
    Quante mamme ho sentito dire che a sera concedono ai figli quel che, a mente lucida, non avrebbero mai concesso.
    Trovare una soluzione, alla situazione attuale, non sarà facile…

  4. A parte il non sequitur (ma forse appare solo a me e Lipperini vedeva altro) tra la manifestazione di pensiero di un tizio, i vignettisti di Charlie Hebdo e responsabilità della parola pubblica, guardiamo un attimo a ciò che ha scritto:
    “Alt, fermi. Significa che la libertà d’espressione vale solo in alcuni casi? No, vale sempre. Ma quella che si è scatenata in questi giorni contro le due ragazze non è manifestazione di libero pensiero: è borbottio volgare, sfogo da basso impero, parlo perché sì, e se mi contrasti significa che sei contro la libertà, io sono Charlie e tu no.”
    Quindi è libertà d’espressione.
    Avere fiducia nella libertà d’espressione vuol dire avere fiducia nella razionalità degli argomenti e nell’obsolescenza progressiva di argomenti più deboli, teale per cui nel lungo periodo la sanzione verso ciò che non riteniamo condivisibile lascerà in minoranza la trasformazione politica e sociale di quella espressione.
    Libertà d’espressione vuol dire libertà di scemenza, sopratutto quella degli altri (che poi siano noi stessi).
    Per aiutare a non dire strafalcioni, magari animate da lodevoli intenzioni, ricordiamo ciò che l’Unione delle Corti penali italiane ha mirabilmente espresso a riguardo:
    “l’idea di arginare un’opinione – anche la più inaccettabile o infondata – con la sanzione penale è in contrasto con uno dei capisaldi della nostra Carta Costituzionale, la quale all’art. 21 comma 1 non pone limiti di sorta alla libertà di manifestazione del pensiero” e dunque “anche un solo argine – benché eticamente condivisibile – all’esercizio delle libertà politiche (e tale è, prima fra tutte, la libertà di espressione) introduce un vulnus al principio che l’elenco di esse deve restare assolutamente incomprimibile: quell’elenco infatti, come diceva Calamandrei “non si può scorciare senza regredire verso la tirannide.”.
    Ah, dimenticavo: il borbottio volgare, lo sfogo da basso impero, il parlo perché sì, e se mi contrasti significa che sei contro la libertà, io sono Charlie e tu no, ebbene, è libertà d’espressione.
    E semi contrasti con la critica o il boicottaggio va bene; se mi dai un pugno o mi sanzioni penalmente sei contro la libertà d’espressione.
    È così limpido.

  5. @L.
    Forse la confusione nasce tra chi non ha capito la differenza tra libertà di espressione e libertà di stampa (Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.)
    Infatti nessuno è contrario all’esistenza di specifici limiti alla Stampa (dalla carta di Treviso, a limiti di età per la fruizione pornografica, etc.).
    Sempre che qualcuno non voglia sostenere che un commento su Facebook rientri nella categoria concreta di ciò che è Stampa.

  6. Quindi le ragazzine hanno fatto bene ad andare in una zona tra le più pericolose del mondo senza le più che dovute precauzioni?Anni fa sono stato ad Amritsar e ho visitato il Tempio d’oro.Certamente non ci sarei andato qualche anno dopo,quando è stato occupato dai fondamentalisti Sikh.E se ci fossi andato me ne sarei assunto la responsabilità.In ogni caso chi critica il comportamento delle due giovani,a mio parere, fa bene,come fa bene chi le difende.Credo che a tutti o quasi faccia piacere la liberazione di persone sequestrate.E che chi deve essere criticato per primo sono i mostri che le hanno rapite,trattenute e chissà che altro e hanno diffuso quel video disgustoso delle due volontarie terrorizzate,piangenti e velate.In quanto al presunto pagamento, 10 milioni di euro sono equivalenti a un caffè bevuto da un italiano su sei in una mattina qualunque.Poi bisogna vedere cosa combineranno questi rapitori di esseri umani con queste risorse in più che si ritrovano.Quante persone sono in grado di uccidere 10 milioni di euro?Cordiali saluti dal Nord.

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