Questa mattina l’Amaca di Michele Serra è dedicata a Erri De Luca. Eccola:
“Non so se avere definito “assurdo” il processo torinese contro Erri De Luca, anzi contro le sue parole, basti a defalcarmi dal novero dei conformisti e dei pavidi che lo stesso De Luca chiama in causa. Vorrei però aggiungere ai gironi (effettivamente esistenti, e piuttosto gremiti) dei conformisti e dei pavidi una terza bolgia, nella quale mi dispiacerebbe ugualmente sprofondare, che è quella dei disinvolti. Mi riferisco ai tanti intellettuali (è capitato anche a me) che hanno firmato e firmano con disinvoltura appelli e prese di posizione perché suonano bene, piuttosto che per effettiva conoscenza della materia.
Esempio classico gli appelli indignatissimi di francesi intelligentissimi sul caso di Cesare Battisti, che è un perseguitato politico tanto quanto io sono una ragazza avvenente.
Esiste, per chi ha parola pubblica, l’obbligo della testimonianza e del rischio; ma anche l’obbligo dell’onestà intellettuale. Esprimere, contro la Tav o in suo favore, certezze che si possiedono, non solo è lecito; è anche ammirevole. Ma simulare, contro la Tav o in suo favore, certezze che non si hanno, è banalmente disonesto. È un esercizio indebito di prestanza intellettuale (e di ricerca dell’applauso) laddove un grumo di dubbi rende opaco il problema. Io ammiro in Erri De Luca, lo dico davvero, la luce nitida della scrittura e dei sentimenti dalla quale discende. Ma mi permetto di suggerirgli di non considerare “dalla sua parte” chiunque alzi la voce, e “contro di lui” chiunque taccia”.
Ho poche cose da dire e due libri da consigliare. Se il problema è la mancanza di approfondimenti su Tav e NoTav, il saggio ideale, in quanto non sospetto di parzialità, è Binario morto di Luca Rastello e Andrea De Benedetti. Qui è possibile ascoltare la puntata di Fahrenheit in cui se n’è discusso.
Ma ho la sensazione che il problema non sia il progetto della Val di Susa, quanto il fantasma degli anni Settanta, e quanto il non detto e il non narrato di quegli anni abbia portato molti intellettuali a prendere le distanze e a sposare la narrazione “Notte della Repubblica”. Magari saltando a pié pari il momento esatto, il cono d’ombra, in cui quello che siamo oggi andava prendendo forma.
Ed ecco il secondo libro consigliato, che è L’aspra stagione di Tommaso De Lorenzis e Mauro Favale. Come dice De Lorenzis nell’intervista che ho linkato, la questione è una sola: uscire dalla dicotomia del reducismo o dell’abiura, che sembrano al momento le sole due ipotesi da percorrere, e capire cosa spinga, ancora oggi, ad agitare gli spettri di quel decennio a ogni protesta collettiva. L’aspra stagione, dice De Lorenzis, è questa:
“Indicativamente l’“aspra stagione” potrebbe essere compresa tra la mattina del 16 marzo 1978, quando viene rapito Aldo Moro, e l’11 luglio del 1982, quando Dino Zoff alza la coppa d’oro col globo per celebrare la vittoria della nazionale italiana al mondiale di football in Spagna. (…) In quel lustro si compie – almeno a nostro avviso – la fine della prima Repubblica, della Repubblica uscita dalla Resistenza, con i suoi partiti di massa, la grande fabbrica, la centralità operaia, un preciso statuto del politico e via dicendo. Ed è anche il momento in cui si manifesta l’inversione di tendenza, il ribaltamento dei rapporti di forza, l’offensiva liberista che in Italia assume le forme del craxismo. Se la consideriamo in questi termini, quella stagione non è mai finita, coincidendo con la genesi dell’Italia contemporanea, quando le possibilità vengono scartate una dopo l’altra, gli eventi prendono una determinata piega e la Storia scandisce il suo corso. È l’eterno presente, il passato che ritorna, di cui abbiamo provato a scrivere. In altre parole: l’origine dell’oggi. Al di là dell’alternanza tra fasi ritenute espansive e congiunture recessive, al netto della Milano da bere, di Tangentopoli, della discesa in campo dell’imprenditore milanese e delle bolle speculative, per trent’anni abbiamo sperimentato le medesime politiche di attacco al lavoro, disintegrazione dei diritti, devastazione del pubblico e dannazione di un’idea di società. Anzi: queste politiche sono cambiate nella misura in cui sono mostruosamente cresciute d’intensità”.
Ecco, credo che onestà intellettuale significhi guardare alle prese di posizione di Erri De Luca al netto di un pensiero infestato, come mi sembra avvenga un po’ ovunque, da uno sguardo all’indietro che per giunta non è ancora stato in grado di diradare le nebbie. E, no, non si tratta di firmare con disinvoltura: ma, semplicemente, di capire in quale contesto oggi si pronuncia la parola sabotaggio. E se per una parola si possa andare a processo. Tutto qui.
Che tristezza, Michele Serra… Forse il giorno in cui sarà processato anche lui per una sua parola fatta finire fuori contesto e fuori luogo capirà. Temo che il rischio che ciò accada sia aumentato a dismisura. A sua insaputa.
Seguìta l’odierna puntata di Fahrenheit sul caso-De Luca… che dire? E’ stato imbarazzante ascoltare con quanto disagio, quante contraddizioni e quanti distinguo gli interlocutori cercavano di difendere la (anche loro, eppure sembravano non essersene accorti!!) libertà di espressione. Ma il top l’ha toccato il giornalista de “Il Giornale” che è stato capace di sostenere tutto e il suo esatto contrario… adducendo motivazioni che pescavano dagli anni ’70!! Così s’è inscenato l’ennesimo psicodramma sulle conseguenze di quel rimosso (e forse anche dell’altro, quello risalente al Ventennio): Loredana, sei diventata un’indovina, pardon, una Sibilla, per caso!? Solo la giornalista che stava in Francia ha osato dire la verità: gli intellettuali italiani non sono intervenuti in massa semplicemente perché hanno valutato che sarebbe troppo scivoloso e sconveniente farlo. Il re è nudo, semplicemente.
Io firmo pochissimi appelli e petizioni, meno delle dita di una mano negli ultimi anni. Quando le firmo, m’informo: prima, e poi anche dopo (nel senso che continuo a tenermi informato). Lo faccio come cittadino, non come “intellettuale”; ma anche, perché sono consapevole che se firmassi a usta, per moda, perché suona bene, potrei fornire il pretesto per una generalizzazione a danno di quelli che, a torto o a ragione, sono percepiti come intellettuali: poiché non mi vergogno di essere considerato tale, ne sento anche la responsabilità. Se Michele Serra è abituato a firmare per amicizia, o perché suona bene, se ne assume la responsabilità: beato lui che per la mera ammissione di essere stato poco serio viene anche pagato, giacché le sue “Amache” gratis non sono. Quanto al paragone fra Battisti e l’eventuale avvenenza femminile di Serra: se vuole documentarsi sul caso Battisti, può farlo. Ad esempio, partendo da queste FAQ, riprese in un volumetto da derive e Approdi, che le corredò della traduzione del testo con cui il ministro brasiliano Tarso Genro (che, ministero a parte, è uno dei massimi giuristi sudamericani), appoggiandosi anche alla dottrina giuridica di Norberto Bobbio, chiedeva alla Corte Suprema del Brasile di rigettare la richiesta di estradizione. In ogni caso, stia sereno, Serra: dovesse scoprire che la giustizia brasiliana (e gli intellettuali che hanno firmato l’appello in suo favore) avevano ragione, non gli toccherà comunque il contrappasso di ritrovarsi trasformato in un’avvenente ragazza.
Sugli intellettuali italiani, invece, non troverei nulla di più appropriato di questo De Gregori d’annata (era il 1992): “Tu sei da tutte le parti, io sempre da una parte sola, / non ho consigli da darti, la tua politica ha fatto scuola. / Ciambellano del nulla, avanzo di segreteria. / Ma ti ricordi com’eri quando cercavi una sistemazione? / Professionista dell’amicizia e della compassione? / Ma sempre meglio di adesso che vai girando come una sciantosa, / e non sei niente ma fai di tutto per sembrare qualcosa. / Dimmi come ti va, come ti senti, / dimmi come ti va e come ti addormenti. / Dimmi come si sta, come ti senti, / se c’è qualcuno di cui ti penti o se va bene tutto così com’è.”
Uh buongiorno! Di solito non lascio commenti (e non firmo mai appelli), ma qui, lusingato dalla citazione, mi concedo l’eccezione. Per dire che non sarebbe brutto che il “disinvolto” Serra e tutti i proteiformi ipergarantiti che gli tengono compagnia sulle amache, invece di alzare il ditino per discettare sul dovere di informarsi, provassero ad affrontare la fatica di informarsi. Così magari eviterebbe di confondere una questione in fondo non così inafferrabile come il progetto Tav (basta leggerlo) con il mistero imperscrutabile della transustanziazione. Del resto mi pare che già sugli adolescenti, il filosofo morale sull’amaca non si sia proprio spremuto per capire, e lì la merce che stava esponendo, appunto con disinvoltura, al mercato era ancora più delicata di quanto lo siano le infrastrutture… Io, per quel che mi riguarda sto cercando il chiosco per l’iscrizione al partito degli sdraiati.
@Luca
Il bello dell’alzarsi dall’amaca (o dal divano verdolino di casa mia, che per quanto di colore discutibile non sta poi male sullo sfondo della parete arancione) e dell’affrontare la fatica dell’informarsi è che alla fine si può diventare convintamente favorevoli alla TAV.
Non l’avevamo capito, sa? Picobeta, se le interessa si sta discutendo anche di altro su questo blog, oggi. Ma capisco che lei scatta solo davanti alla parola Tav. La compiango.