Del mio voto al referendum ho parlato con la mia famiglia, con i gatti (invero disattenti, ma in questi giorni hanno altro da fare, come sterminare ratti e merli alle prime ore dell’alba), con il dilagante plumbago del giardino. Non ne ho parlato e non ne parlerò in rete, anche se so che il riserbo (che è un mio diritto) verrà interpretato dal fronte del No come “si vergogna di aver votato Sì” e dal fronte del Sì come “non vuole metterci la faccia, codarda”. Dunque, non commenterò neppure i risultati se non con una considerazione che non riguarda in alcun modo l’esito, ma il come è stata condotta, da ambo le parti, la campagna elettorale.
Da ambo le parti, e lo sottolineo, quello che ho registrato in rete è l’annichilimento dell’interlocutore. Anche quando l’interlocutore, sui due fronti, aveva qualcosa da dire e le competenze per dirlo. E questo mi dà da pensare. Molto.
Competenza è parola che non è più utilizzabile. In politica. In letteratura. In tutto. Le uniche competenze sono riconosciute a quelli che presumi essere “pari grado”. Ovvero, a coloro che non hanno visibilità alcuna se non quella della rete (e non importa se quella visibilità è stata sudata con lo studio e il lavoro: c’è, dunque fa ombra a ME). La professoressa di lettere che pubblica, forse a pagamento, la raccolta di poesie può insultare la scrittrice, perché la scrittrice fa ombra a LEI. La libraia pisana può scrivere pubblicamente che le intellettuali trombone devono trombare di più (e, si suppone, parlare meno) perché fanno ombra a LEI.
Democrazia, si dirà. Ed è vero, certo. Ma vorrei portare alla vostra attenzione un particolare: nel solito regno di molto lontano e nel solito tempo che fu, quando ci si trovava davanti una persona “visibile”, si aguzzavano le orecchie. Per imparare. Poi si concludeva anche che quella persona “visibile” non aveva meritato affatto la propria visibilità e si controbatteva e si discuteva, anche duramente assai. Ma prima si imparava. Chi smette di imparare, qualunque sia la sua età, appassisce e diventa un avvelenato, un’ombra triste che si abbevera al proprio risentimento. Questo è quel che ci sta accadendo.
Ed è per questo che, nel mio piccolo, voglio continuare a imparare. Per esempio da Ubaldo Straino, che mi invia questo testo su Camerino (dove si racconta anche cosa accade a non ascoltare le competenze), che leggo e rileggo, felice che ci si altro da dire, altro in cui credere, altri con cui camminare.
CADONO LE PIETRE MA NON I SIMBOLI
La chiesa di Santa Maria in Via è fortemente lesionata e pessimistiche voci, speriamo infondate, dicono che non si riuscirà a salvarla.
Nel 1997, a pochi giorni dal terremoto del 26 settembre, il famoso critico Federico Zeri venne a Camerino a sincerarsi di persona sui danni che il sisma aveva provocato alla città. Nel servizio televisivo mandato in onda dalla RAI, fui particolarmente colpito dal moto di commozione con il quale il professore chiedeva un intervento immediato per salvare la chiesa, da lui stesso definita un capolavoro di enorme importanza nel panorama storico-artistico della nostra zona.
Qualche tempo dopo la messa in onda di quel servizio, mentre me ne stavo a guardare tutto quell’acciaio con cui era stata imbragata la chiesa per evitare il peggio, non potei fare a meno di ascoltare le parole di monito di alcuni tecnici della Protezione Civile. Dai loro discorsi capii che se l’edificio non fosse stato oggetto di una radicale ristrutturazione sarebbe stato in un pericolo costante; questo perché era stato costruito in una zona in pendenza, con la parte più esposta, il campanile, nella parte più bassa. Inoltre in caso di crollo avrebbe seriamente compromesso la viabilità, rendendo difficoltosa l’evacuazione veloce della popolazione e l’accesso dei mezzi di soccorso. Una situazione da evitare assolutamente visto che Camerino, a causa della sua conformazione, ha due sole vie che possono essere percorse da mezzi di notevole dimensioni. Questa problematica ha pesato come una spada di Damocle su tutte le amministrazioni comunali che si sono succedute da allora ad oggi, costrette dal buon senso e dalla legge a studiare piani per la gestione delle emergenze.
Di conseguenza, dopo la forte scossa del 24 agosto, avendo la chiesa subito evidenti danni, sono stati interpellati fior di tecnici che hanno garantito la stabilità del campanile. La loro sicumera li ha inoltre spinti a dichiarare che nella malaugurata ipotesi di una nuova forte scossa, un eventuale crollo avrebbe interessato la facciata, non certo il campanile. Sulla base di questa relazione, gli amministratori hanno provveduto a transennare solo il sagrato.
Come è andata a finire lo sanno tutti. Le immagini di Santa Maria in Via ferita a morte hanno fatto il giro del mondo intero. Un disastro annunciato. Un tragedia evitata per puro miracolo. Ma il dispiacere, l’emozione che hanno suscitato quelle macerie hanno lasciato il posto alla sdegno. Molti tra noi, io stesso in primis, sperano che una volta tanto la giustizia faccia quello che dovrebbe essere il suo normale corso e che i colpevoli paghino il dovuto.
Si lo ribadisco, sono arrabbiato perché la considerazione che ha questa chiesa per noi camerti, va ben al di là della di per se già grave perdita di un bene architettonico o di un luogo di culto tanto amato.
Parlo in modo particolare dell’importanza che ha sempre avuto nella nostra cultura e nella nostra tradizione la divisione in tre grandi parrocchie della nostra città. Quelli che hanno pressapoco la mia età o qualche anno di meno, sono cresciuti con un senso di appartenenza e riverenza verso il Duomo, San Venanzio o Santa Maria in Via. Nascere, vivere e morire, fare la prima comunione, la cresima, sposarsi nella chiesa della propria parrocchia, era prassi abituale. Perché appena si iniziava da piccolissimi a frequentare gli oratori, era come se ti venisse consegnata una divisa. Un’insegna virtuale che si cercava di portare sempre con onore quando eri chiamato a rappresentare la tua parrocchia nei tornei di ping pong o biliardino. Una maglia senza colori che sentivi cucita sulla pelle quando si sfidava gli altri in interminabili sfide a pallone su campi improvvisati . Poi con il corso degli anni e lo sparpagliarsi della cittadinanza verso nuovi quartieri, questo campanilismo di provincia è venuto meno e le nuove generazioni non hanno avuto il piacere di viverlo.
Questo finché non è nata la grande idea di di rivivere i fasti medioevali del ducato dei Varano, attraverso la rievocazione storica della “Corsa alla spada e palio”. Per questo evento la città è stata divisa in tre terzieri. Una ripartizione nuova per i nostri tempi ma allo stesso tempo antica tanto da essere stilizzata nello stemma del comune. Sono nate nuove passioni che richiamano le rivalità tra parrocchie del recente passato.. Così quelle maglie ora sono diventate realtà, hanno finalmente dei colori. Con il bianco e il rosso, il verde e il nero, il bianco e l’azzurro, vengono addobbate le tre chiese. All’ombra di esse i terzieri si riuniscono, pianificano le attività, festeggiano le vittorie. Da San Venanzio la corsa prende il via, transita sotto il Duomo e proprio di fronte al sagrato di Santa Maria in Via dove è posto il traguardo, vede il il suo epilogo.
Con quel campanile non è caduto solo un monumento di grande bellezza artistica ma per noi è caduto anche un simbolo. Ma la forza dei simbolismi è di andare oltre le rappresentazioni e comunque vada a finire, la chiesa di Santa Maria in Via rimarrà là dov’è, in quella casetta bianca del gonfalone della città, e nei nostri cuori.
Mio padre era di Camerino, confermo parola per parola.
Per fortuna, dama Lipper, a scuola la parola “competenza” è ancora una piccola lucciola che sta nelle tenebre. E cerchiamo di preservarla, a fatica, tutti i giorni.
Ma quanto dici è vero: avrò visto decine di dibattiti, e nessun* che sia mai riuscito – per colpa dell’interlocutore, dell’intervistatore, della propria ignoranza – a scendere nel merito della riforma.
Uno vale uno, è il mantra di adesso. Su qualsiasi argomento.
Cara loredana, questo non è un commento sul post, ma un complimento per lei. Oggi pomeriggio in auto ascoltavo lei che parlava con Tiziano Fratus (mi ricordo bene?) e sono rimasta ammirata da come lei ha risposto ad una piccola provocazione . Lei forse non lo sa , ma da un bell’esempio di civile conversazione ed è una cosa rarissima e molto preziosa. Lei e i suoi colleghi maschi siete accoglienti, gentili e rispettosi con gli ospiti e gli ascoltatori. Le voglio bene. Vi voglio bene.
Grazie mille, Lorenza.
Peccato, Ekerot, che qui si parli di Camerino; che conosco bene, per i motivi che puoi aver letto sopra.