NON SI AMA RESPIRARE: CERCANDO STRATEGIE, ANCORA.

Mi scrive un amico di Facebook, in privato, ponendomi una questione tutt’altro che peregrina. Benissimo, dice in sintesi, la protesta di Non Una di Meno al comune di Verona con l’abito da ancelle. Ma, ecco, a chi parla quella protesta? Chi ne riconosce la portata simbolica? E aggiunge: “Verona è patria di alcune delle punte più avanzate del pensiero femminile a livello internazionale, come il Circolo Diotima o Adriana Cavarero e Luisa Muraro. Ma la città è stata solo marginalmente sfiorata da queste presenze. Verona ha un’anima nera (la RSI; l’appoggio pratico alla strategia della tensione con Amos Spiazzi e La Rosa dei Venti; il caso Ludwig; molti aderenti a Gladio; l’omicidio di Nicola Tommasoli; i cattolici tradizionalisti. Ma ha anche un’anima cattolica tra le più avanzate, che ha dato esempi importanti già dall’Ottocento nell’assistenza ai malati e ai disabili (don Calabria), nella promozione culturale e scolastica dei poveri (don Mazza), nell’azione missionaria certamente non tenera con i colonialismi (don Comboni). Ma il pensiero femminile, l’azione politica laica e di sinistra hanno in rari e sporadici casi saputo parlare alla città. Se non troviamo modalità di comunicazione meno ‘aristocratiche’ – vale non solo per Verona – rischiamo di entrare nel gruppo, nobile ma inefficace, di chi aveva ragione ma è stato sconfitto. Verona è città bellissima che si promuove attraverso una patacca per turisti come il balcone di Giulietta. Nostro compito – lì e ora – sarebbe di far conoscere e valorizzare l’enorme patrimonio culturale che lì e in tutta Italia abbiamo a disposizione. Ma la cultura è condizione necessaria e tuttavia non sufficiente. Serve altro, che non so, ma che dovremmo cercare insieme prima che l’onda nera ci travolga”.
Ecco, non lo so neanche io, e chi segue il blog sa benissimo che da settimane e mesi mi arrovello su questo punto. Certo, la prima cosa che mi viene in mente è che bisogna diffondere cultura, molto di più di quanto abbiamo fatto fin qui. C’è un bellissimo brano in La Repubblica dell’immaginazione di Azar Nafisi. Questo:
“Nei paesi come l’Iran, l’immaginazione è minacciata da un regime che vuole controllare in toto la vita dei cittadini. Per loro, la resistenza allo Stato è un atto non solo politico, ma esistenziale. Cosa dire, invece, delle democrazie, dove questa tirannia così scoperta non esiste? Nei paesi totalitari, la brutalità e la repressione si mostrano nelle loro forme più lampanti: torture, leggi arbitrarie, esecuzioni. Per ironia della sorte, in queste società il valore dell’immaginazione – la sua minaccia allo Stato e la sua importanza per la gente – è assai ovvio: è uno dei motivi per i quali nelle società repressive le persone corrono grossi rischi per leggere libri messi all’indice, guardare film messi all’indice e ascoltare musica messa all’indice. Per loro la letteratura non è semplicemente un percorso culturale o una tappa obbligata della formazione; è una necessità di base, un atto per riappropriarsi di un’identità confiscata dallo Stato. Anche se l’istruzione è il primo e fondamentale passo verso la cittadinanza attiva necessaria a una democrazia fiorente, da sola non basta, perché è semplicemente un mezzo per raggiungere un fine. Il modo in cui impariamo le cose conta quanto le cose che impariamo. Indipendentemente dalle loro tendenze ideologiche, le autocrazie come quelle che devastano l’Iran, la Cina, lo Zimbabwe, l’Arabia Saudita e la Corea del Nord temono – a ragion veduta – le conseguenze dell’istruzione, e cioè la conoscenza, il morso al frutto proibito, con la promessa di un diverso tipo di potere e di libertà. Ecco perché i talebani distruggono le scuole e vogliono uccidere le ragazzine come Malala, così coraggiose da esprimere in pubblico il loro ardente desiderio di istruzione e libertà. C’è una ragione, se gli Stati totalitari considerano pericolose e sovversive le cosiddette discipline umanistiche e cercano di eliminarle a ogni costo. Sanno quali sono i pericoli dell’indagine libera e autentica. La loro paura delle società democratiche e l’ostilità con cui le trattano non dipendono tanto dal potere militare quanto dalla cultura e da tutti i problemi che questa può causare. Paradossalmente, riconoscono il valore di ciò che noi scartiamo e svalutiamo sempre di più. Nelle democrazie, le arti non minacciano lo Stato, né suscitano lo stesso senso di bisogno.  «Leggere non mi è mai piaciuto tanto, finché non ho avuto paura di non poterlo più fare. Non si ama respirare». Così dice Scout nel Buio oltre la siepe, dando voce ai sentimenti di milioni di persone”.
Ecco, ma se questo è il punto, il problema è come comunicarlo. Il problema è come far sì che altri milioni di persone sentano il bisogno di quel respiro. Pensiamoci, e pensiamoci, e pensiamoci.
Comunicazione di servizio, al solito.
Il blog non sarà aggiornato per una settimana. Lunedì, infatti, sarò all’Istituto di Cultura Italiano a Parigi, per un incontro su letteratura e web. Torno mercoledì sera, ma giovedì e venerdì Fahrenheit andrà in onda dall’Auditorium Parco della Musica per la festa del cinema, quindi non avrò modo di accedere al mio computer, temo. Intanto, appunto, pensiamoci su.

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