DI NOI DOBBIAMO AVERE PAURA: IPOTESI PER UNA RIVOLUZIONE

Elenco. Tav in Val di Susa, Tap, Quadrilatero. Terra dei fuochi. Sarno.Gestione del dopo terremoto in Centro Italia. Elenco minimo, parzialissimo, di tutte le problematiche che ci pongono davanti a una biforcazione. Continuiamo così, come se tutto quel che avviene non ci riguardasse, o proviamo ad agire diversamente?
Elenco. Genova, agosto. Bellunese, Friuli, Trentino, Sicilia, ora. Anche questo elenco è minimo e parzialissimo. Va fatto perché ci sono state decine di morti e una cancellazione del paesaggio così come le ultime generazioni, inclusa la mia, lo hanno conosciuto.
Ora.
Per mesi ho ripetuto che non bisogna, a mio umile parere, seguire l’agenda altrui, e ribattere colpo su colpo ai tweet governativi. Questa volta faccio un’eccezione, perché la faccenda degli “ambientalisti da salotto” mi fa riflettere. La stessa espressione è stata usata, per esempio, da quella parte degli abitanti di Castelluccio di Norcia che intendeva usare i fucili contro coloro che evidenziavano l’impatto ambientale del Deltaplano. Un modello economico, mangia e paga, contro un altro modello, pur con tutte le sfumature del caso, e di una popolazione (o meglio, dei gestori dei ristoranti, non necessariamente residenti) messa all’angolo da povertà e disperazione.
Ora, di nuovo.
Ci sono scrittori come Amitav Ghosh e Naomi Klein che non hanno usato il paesaggio come uno sfondo narrativo: hanno scritto saggi chiarissimi sul punto in cui siamo e sul rischio che stiamo attraversando. La percezione è stata, grosso modo, “chi se ne frega”. Perché da svariati decenni ci siamo abituati a considerare solo l’oggi, l’urgenza, a volte l’emergenza, e in questo modo abbiamo perso la capacità di accorgerci del cambiamento in corso. Il nostro, per cominciare: la nostra chiusura in nuclei sempre più piccoli, fino a coincidere con la nostra famiglia e, in certi casi, con noi stessi e basta. La nostra impossibilità a concepire un futuro. E’ così, esattamente così, che si è aperto il varco a quel che stiamo vivendo: e che si costruisce sulla paura dell’altro, mentre siamo noi che facciamo paura.
Ma anche le dichiarazioni scomposte sull’ambientalismo sono indice di una paura, e dunque di una forza possibile: chi le ha pronunciate, sa bene che c’è una sola battaglia che oggi può vincere, e quella battaglia racchiude tutte le altre (le disuguaglianze, con tutte le declinazioni che questa parola ha). E quella battaglia è quella che riguarda l’ambiente, e dunque l’economia.
Scrive Naomi Klein:
“I politici non sono i soli ad avere il potere di dichiarare una crisi: possono farlo anche i movimenti di massa di gente comune (…) in quel caldo e tempestoso futuro che abbiamo ormai reso inevitabile con le nostre passate emissioni, una fede incrollabile nell’uguaglianza dei diritti di ogni persona e la capacità di provare una profonda compassione saranno infatti le uniche cose che separeranno la civiltà dalla barbarie (…) L’urgenza della crisi climatica potrebbe formare la base di un potente movimento di massa. In grado di tessere quelle questioni in apparenza disparate in un unico discorso coerente su come proteggere l’umanità dalle devastazioni generate tanto da un sistema economico ferocemente ingiusto quanto un sistema climatico destabilizzato“.
Se riusciamo a mantenere chiaro l’obiettivo, il modo di fare politica che stiamo subendo (e non solo da parte governativa, evidentemente) può saltare. Ma che sia questo, l’obiettivo comune, e non altri.

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