PER RADIO RADICALE. DUE: L'ABORTO

Da ieri sera si è sviluppata una discussione piuttosto accesa sulla mia bacheca Facebook perché continuo a stupirmi delle reazioni suscitate (in radio) quando si racconta quel che avvenne in Italia negli anni Settanta sui diritti civili. Avevo scritto questo: “Ogni volta che, giustamente, Massimo Teodori ricorda che il Pci era titubante, se non contrario, alle battaglie per il divorzio e l’aborto scatta l’indignazione degli ascoltatori. Eppure, banalmente, è vero. C’ero, me lo ricordo, non si vede perché non dirlo”.
Da molti commenti, mi rendo conto che una parte considerevole di quella storia non è, semplicemente, passata. Non è passato quasi nulla della nascita del Cisa (Centro d’informazione sulla sterilizzazione e sull’aborto) nel 1973, nulla delle iniziative di Emma Bonino e Adele Faccio non per spingere le donne all’aborto, come alcuni spaventevoli personaggi ProVita oggi sostengono, ma per sottrarle all’aborto clandestino. Di cui, semplicemente, si moriva, e si moriva male. Nulla è passato delle battaglie per il divorzio, nulla degli scioperi della fame, degli arresti, del carcere. Nulla.
Ora, traggo dagli archivi di Radio radicale l’audio integrale dell’udienza sulle attività del Cisa che si è tenuta a Firenze lunedì 2 ottobre 1978.
E, già che ci sono, riprendo dagli archivi di Repubblica un’intervista di Simonetta Fiori a Luciana Castellina, del 2 maggio 2005. Non per “odio verso il Pci”, come su Facebook ha sostenuto qualcuno. Semplicemente, perché questa storia non si ricorda. E questo è male, e fa male.
“Pesca tra le carte un vecchio fascicolo ingiallito, gli atti della Camera dei Deputati con la seduta del 15 dicembre del 1976, presidente della camera Ingrao: un capitolo del lungo iter parlamentare della legge, partito nel 1973 e concluso cinque anni più tardi.
«Lì dentro c’ è tutto. Anche la mia polemica con Natalia Ginzburg proprio sul tema dell’ aborto».
Perché polemizzaste?
«Quando esplosero le prime manifestazioni femministe per l’ aborto, prevalsero sorpresa, indignazione, anche scandalo. Perché mai, domandò la Ginzburg, questa “gagliarda spavalderia”, questa “libera ed allegra festa”, questo “scampanio festoso” per una questione così drammatica? Non capiva quale carica di liberazione rappresentasse per le donne».
In quell’intervento alla Camera, lei rivendicò con convinzione le “ragioni della festa”.
«Finalmente potevamo gridare per la strada un problema per secoli rimasto sepolto nella coscienza, custodito segretamente, oggetto di vergogna, tabù e colpa».
Non eravate più sole.
«Sì, lo “scampanio” deprecato allora da una scrittrice sensibile e non certo conservatrice come Natalia Ginzburg era mosso proprio da questo: dal non trovarci più sole davanti a questo dramma».
(…)
«Forse bisogna ricordare cos’era la sessualità negli anni Cinquanta. Non esisteva la contraccezione e moltissime donne si trovarono a subire gravidanze non desiderate. Quella sì che era una violenza: imporre alle donne di essere madri dopo un atto sessuale. Io allora ero segretaria della sezione universitaria del Pci, e sentii il dovere di aiutare molte compagne che volevano abortire: uno strazio indicibile. Questa era la nostra condizione».
Poi sono arrivati gli anni Sessanta.
«Ma nel Pci non si muoveva granché. Sul tema della sessualità era di un conservatorismo spaventoso. Ricordo ancora un convegno promosso dall’Istituto Gramsci nel 1964 sulla famiglia nella tradizione marxista. Relazione introduttiva di Nilde Jotti: “Nel rapporto sessuale – mmh, pardon, scusate la parola – nel rapporto sessuale etc etc.” Ecco, sessuale era una parolaccia. E parlo di una protagonista nelle battaglie per l’ emancipazione delle donne».
Stavate insieme nella commissione femminile.
«Sì, sempre in quegli anni insieme a Diana Amato preparammo un testo sul divorzio all’ interno della riforma del codice di famiglia. Spavalde e fiere, presentammo la nostra proposta alla direzione del Pci, che si frantumò in due schieramenti: favorevoli Longo e Macaluso, violentemente contro Amendola e Pajetta».
Sappiamo come andò a finire.
«A testa bassa, fummo costrette a ripresentare la riforma del codice di famiglia: questa volta senza l’ articolo sul divorzio».
La ragione della contrarietà?
«Era un tema troppo borghese, si pensava che alla classe operaia non interessasse. E poi l’ eterno moralismo».
Per l’ aborto non andò molto meglio. Guido Crainz, nel libro Il Paese mancato, pubblica per la prima volta i verbali delle direzioni del Pci sul tema dell’ aborto. Le prime reazioni di Adriana Seroni furono di profonda irritazione. Nel febbraio del 1973, la proposta di legge presentata dall’onorevole Fortuna fu respinta con convinzione.
«Anche lì il ritardo fu pauroso. Io allora, già da tempo nel gruppo del Manifesto, seguivo quegli eventi da fuori. Mi si ripresentavano i riti letargici con cui era stato accolto il divorzio. Con la differenza, però, che la questione dell’ aborto era ancora più popolare rispetto a quello del divorzio: gran parte delle donne, direttamente o indirettamente, s’ era imbattuta nel problema». E infatti, già all’inizio del 1975, sia la Seroni che la Jotti fecero presente in direzione che “nelle sezioni la spinta delle donne è di proporzioni inimmaginabili” e che “non c’ è riunione in cui il problema non ci venga sbattuto in faccia”.
E tuttavia, nel febbraio del 1976, il principio di autodeterminazione della donna venne nuovamente respinto.
«Sì, era in gioco il rapporto con il mondo cattolico e con la Dc. E poi agiva anche una sorta di perbenismo, che segnava da sempre il partito».
Alla fine le donne convinsero il vertice. Sempre nel gennaio del 1976 Bufalini protestò perché su Rinascita erano uscite quattro lettere contrarie alla posizione del Pci e una sola favorevole. Reichlin gli rispose: «La lettera a favore l’ abbiamo racimolata a fatica».

7 pensieri su “PER RADIO RADICALE. DUE: L'ABORTO

  1. Io non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo-giuramento di Ippocrate

  2. E’ proprio questa sovrapposizione tra servizio pubblico e battaglie di partito ( come l’aborto ma non solo) a rendere poco credibile la difesa di radio radicale. Non si è mai capito bene perché col finanziamento di tutti i cittadini si devono sostenere posizioni da tutti Non condivise. E’ vero che radio radicale di là dei programmi in convenzione, offriva un utilissima informazione pluralista anche punti vista molto diversi, ( insomma diversa dal maniaco settarismo di Radio3..) però è anche vero che tutti i giorni non mancavano mai le lunghe martellanti programmazioni incentrate sulle loro campagne , alcune anche giuste, ma di certo non tutte condivise dalla totalità dei contribuenti. Ora radio radicale pare debba chiudere, certo per molti sarà un duro colpo anche dal punto di vista affettivo, ma forse si può anche pensare che la sua missione sia ormai giunta al termine; voglio dire..la marjuana finalmente in vendita anche lì, nella bottega accanto alla scuola elementare. Le famiglie fragili, i figli soli, sfiduciati. La nazione sempre più vecchia, i paesi abbandonati, la popolazione dissanguata. Preservativi e anticoncezionali dappertutto, propagati come pesticidi umani, inquinanti. In giro i pochi rimasti depressi, vecchi narcotizzati. Umanità al collasso.Diciamo che forse si, a questo punto possiamo fare anche a meno di radio radicale.

  3. K,
    commento non all’altezza dei tuoi soliti, al di là della condivisione o meno.
    La missione di Radio Radicale non è mai stata quella di sfasciare tutto, se di sfascio totale si può parlare perchè, ancora una volta, siamo nell’ambito delle opinioni personali.
    Io spero non chiuda, perchè è stato forse l’unico vero servizio pubblico, ha dato voce a tutti, antiabortisti e abortisti tanto per dire, sempre, ogni volta che se ne presentava l’occasione.
    E confesso, nonostante io non sia mai stata in sintonia con i radicali (troppo spinti sui diritti individuali e scarsissimamente interessati a quelli sociali), se dovesse chiudere mi mancherà molto; primo fra tutti Massimo Bordin, per il quale ho pianto (e non mi capita spesso).

  4. Forse sfascio non è il termine adatto ma diciamo che le posizioni radicali affrontano le questioni sociali sempre con intenzioni dissolutorie, es. una persona ammalata, seppure imperfetta è pur sempre un organizzazione quasi miracolosa di tessuti e cellule ( anche solo per rimanere nell immanente) qual è la soluzione proposta dai radicali? Morte, dissoluzione. Una vita nel grembo di una donna lo stesso; milioni di cellule orientate alla vita, alla crescita, se subentra una crisi un problema, qual è la proposta dei radicali? Morte dissoluzione. Così pure la famiglia è una struttura, se vogliamo organica, anche qui gli intenti dei radicali sono sempre gli stessi. rispetto all’uso di droghe l’intento di dissolvere è evidente( anche solo cervello di chi ne fa uso. ) D’altronde l’entropia non l’hanno inventata loro. Radio radicale insieme a tante interessanti dirette ha promosso con forza l’evolversi di questa mentalità nichilista, peraltro già sempre presente nel cuore di ciaschiuno di ogniuno di noi.

  5. ..eh caro Ekerot, ma com’erano belli i blog, il loro andamento lento, il rimuginare prima di scrivere.. specie se lo pensiamo contrapposto al frenetico frastuono dei social..A me per esempio è tornata in mente questa tua frase qui sopra, di cui, sinceramente non avevo capito il significato, ma me la sono compresa a caratteri cubitali sulla prima di Repubblica proprio sopra alla foto di quella povera ragazzina olandese, chissà se avrebbe scandalizzato qualcuno.. come pure l’apparizione di marco cappato che da un antico podcast di radio radicale ci mostra le mani lorde e tranquillizza : “e e è… è solo vernice”

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