PER RADIO RADICALE (SEI), MA NON SOLO: IL GRANDE VUOTO IN CUI CREDIAMO DI AGIRE.

«Cari Pannella, caro Spadaccia, cari amici radicali […] voi non dovete fare altro (io credo) che continuare semplicemente a essere voi stessi: il che significa essere continuamente irriconoscibili. Dimenticare subito i grandi successi: e continuare imperterriti, ostinati, eternamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarvi col diverso; a scandalizzare; a bestemmiare»
Era Pier Paolo Pasolini, lunedì 3 novembre 1975. La  lettera, un giorno dopo la sua morte, viene letta al congresso del Partito radicale di Firenze. Radio Radicale, come sempre, ne dà conto.
Continuare a parlare di Radio Radicale, contro ogni apparente logica, è quello che per me restituisce una logica a queste giornate. Giornate in cui continuo a pensare, anzi, mi spavento sempre più a pensare allo svuotamento di contenuti di una feroce, lunghissima, campagna elettorale dove ogni possibilità di riflessione, di distinguo, di, maledizione, approfondimento è diventata impossibile. I partiti, si dice. I giornali, la televisione, si dice. I social, si dice. No, non è vero: ognuno di noi, come se infine ci fossimo arresi allo svuotamento di ogni contenuto.
In un saggio di Raffaele Alberto Ventura, La guerra di tutti, di cui abbiamo parlato ieri a Fahrenheit, si racconta esattamente questo: il definitivo collasso della società dello spettacolo, lo svuotamento di significato anche delle battaglie politiche, la riduzione a slogan persino dell’antagonismo, fatte salve poche eccezioni. E’ come indossare ogni giorno la maschera di Guy Fawkes senza sapere esattamente perché e  contro chi. E’ come se la politica, dice Ventura, assumesse l’unico compito di farsi odiare per evitare che l’odio si riversi dalla società verso la società stessa, gli uni contro gli altri, senza altra motivazione che il famigerato desiderio di riconoscimento. Guardami, amami, onorami, perché me lo merito. Non voglio, non sempre, soldi o potere, voglio che il mio essere al mondo venga riconosciuto come splendente, unico, incontestabile.
E’ così fino in fondo? Esistono altre possibilità? Le possibilità esistono sempre, ma le stiamo tralasciando, temo. Mi sentivo molto sola, lo confesso, in questo smarrimento che agli uni sembra tradimento, o non volersi schierare, brutta codarda, e agli altri sembra invece proprio uno schieramento. Questa mattina, però, ho letto un lungo status di Fabio Chiusi, che è persona che stimo, e che quanto meno mi ha fatto pensare “vedi, siamo in due”. Ve lo riporto, per chi non fosse su Facebook:
“Io i giornali e i siti li ho letti. Sui social ci ho vissuto, anche troppo. Ho azzardato qualche talk show, ma lo ammetto: questa volta ce l’ho fatta (molto) meno del solito. Ho dovuto lavorare, ma il mio lavoro non comportava – diversamente dal passato – seguire ogni alito di vento tra i corridoi del potere e della politica italiana. Comportava un consumo innaturalmente alto di informazioni e notizie, questo comunque sì, e dunque avrei dovuto saperlo, di cosa si è parlato in questa campagna elettorale per le Europee. Almeno a grandi linee.
E invece non ci ho capito niente. Ho visto apparire e sparire proposte di legge come striscioni critici a un comizio di Salvini. Balenare divieti categorici (rimangiati), promesse di sicurezza totale (emendate e rimandate), vaghe riscoperte del valore del rispetto istituzionale e dei diritti umani internazionali da parte di chi — gli improvvisati tovarish Cinque Stelle — parlava, e continua a non chiedere scusa, di “taxi del mare” dopo avere chiesto l’impeachment di Mattarella. Ho sfogliato le pagine e gli articoli di politica, retroscena compresi (in pieno Game of Thrones, finisce per piacere qualunque romanzo), e tutto ciò che ho compreso è stato il millimetrico spostarsi delle armate dei due nemici-amici al governo una contro l’altra, mentre tutto intorno sarebbe stato un florilegio di complotti (o almeno, così tradunt) per portarli allo scontro finale. E impedire così un “cambiamento” di cui sarebbe, in ogni caso, impossibile dedurre senso e direzione, se non quando va dritto a destra, e a tutta forza.
Insomma, non ci ho capito niente. Pagine, siti, servizi, post, tweet, dibattiti. Non ho sentito un’idea. Un’idea degna di essere chiamata tale. Qualcosa che inventa, sfida, seduce, appaga, comanda. Ciò che muove il mondo: lo scontro tra come si fa, tutto questo. Come si seduce, cosa si deve appagare per primo. Come si comanda, quello che va comandato.
Qui invece solo il deserto. Quello che si mostra più burbero perché piace ai burberi. Quello che rutta più forte perché ai suoi piace così. Quello che si dice più puro degli altri, manipolati e ignoranti — che non dissentono: non capiscono. Quello che è ancora più puro, ed è finito al governo con i più impuri di tutti, a ruzzolarsi dentro al letame: basta che paghi puzzare di merda.
Ora tra striscioni, Zorri, selfie sabotati e altri hackeraggi a base di memi, genio e fantasia in carne e ossa, la Grande Narrazione dell’Italia del Buonsenso, un sorriso e una foto segnaletica se osi fare le corna, sembra essere stata irrimediabilmente incrinata. Lui, l’Elefante di Lakoff, “l’aggiustatutto” (cit. Cartoni Morti), il sole del sistema eliocentrico della politica italiana, ha cominciato a inseguire. A doversi difendere. A reggere in mano i cellulari altrui, un po’ imbarazzato. A improvvisare una faccia mentre due ragazze si baciano per fotterlo mediaticamente con la stessa viralità con cui lui ha cercato di fottere loro. A passare i comizi a deridere chi lo contesta, rendere caricaturale il dissenso, reprimerlo e lasciarlo reprimere: allora vedi, si dice da casa, non era un uomo nuovo — era solo un altro uomo di destra, solo ancora più a destra. E giù altri striscioni, altri cori, altri tweet da vittima, e via a inseguire.
Ma questa è stata la mia campagna elettorale. Ho visto molti bravi amici e colleghi affannarsi a spiegare le forze e la posta in gioco, e ancora prima le regole — non semplici — del gioco delle elezioni Europee. Spero l’affluenza sia altissima, e che comunque vada ci sia un segno forte di partecipazione popolare, che dimostri che delle sorti di questa disgraziata Europa ci interessa davvero. Li ringrazio, soprattutto perché so quanto è difficile riuscire a dire qualcosa, in momenti come questi. Dire, non ripetere parole altrui.
Eppure, se alziamo lo sguardo, se andiamo al consumo di massa, io temo e sospetto che l’esperienza sia uguale se non peggiore alla mia. Battibecchi, alleanze ipotetiche e future, promesse per i prossimi dieci minuti invece che mesi o anni, lo sguardo che dal continente si ferma al cortile. E in più, rispetto al passato, tanto tanto razzismo cattiveria cinismo intolleranza. Tanta comunicazione. Tanti discorsi sulla comunicazione (affascinanti e sacrosanti, sia chiaro: io li adoro). Ma poca sostanza. Anzi: nessuna. Poca opposizione — forse, di nuovo, nessuna.
Soprattutto, nessuna scelta.
Ed è questo che fa tremare i polsi. Io non ho capito, quando andrò a votare, per cosa dovrò scegliere. Per quale visione del futuro. Per quali idee. Ho solo capito che c’è un mostro di destra, orrendo, dogmatico, autoritario, e che va fermato. Ma non ho capito che cosa esattamente lo dovrebbe fermare, e soprattutto in nome di quale angelica alternativa di uguaglianza e democrazia.
Ho capito che si deve andare a votare, e contro quel mostro. Ma non ho capito altro.
Sarà un problema di noi giornalisti. Saranno gli intellettuali. Saranno i social media, la televisione-spazzatura, l’infotainment, le fake news, l’invasione degli ultracorpi russi nell’italico organismo. Ma il fatto resta: qui ormai non si parla più di contenuti. Ci sono gli scontri tribali, primitivi. Quello che vuole prima gli italiani e quello che vuole prima gli onesti. Quello che vuole stare con gli ultimi e quello che li vorrebbe cacciare tutti.
Ma queste non sono ideologie. Non sono nemmeno idee. Sono campagne di marketing fatta politica. Ognuno la propria nicchia di domanda. Ognuno secondo il proprio studio di settore. Ognuno non tanto microtargettizzato — quella è fantascienza — quanto banalizzato, reso caricatura di un profilo elettorale: il radical chic, il buonista, il fascista, l’onesto, l’indignato, il democratico. Non le “dark ads”, ma la televendita delle due del pomeriggio la domenica quando piove.
A Roma, nel 2019, come a Bucarest, sotto Ceausescu.
I posti e i regimi sono diversi, per carità. Ma l’allegria, lo slancio, la vitalità e l’ingegno: quelli sono all’incirca gli stessi”.
E’ così, e il problema è che il compito di chi scrive, ragiona, riflette, insomma dei famigerati intellettuali, dovrebbe essere esattamente quello di provare a leggere il reale e restituirne la complessità, con chiarezza. Non lo vedo accadere, tranne le solite poche eccezioni. Vedo l’appropriazione automatica e rabbiosa di frasi fatte, di video, di meme, di vignette. Non vedo pensiero. Non necessariamente pensiero politico: pensiero!
Faccio un esempio sciocco, futile, ininfluente: un paio di giorni fa, nella lunghissima discussione a proposito di Game of Thrones (pop quanto vi pare, ma sempre nel saggio di Ventura si dimostra con chiarezza come l’immaginario pop influenzi il nostro essere nel mondo, oggi, e viceversa: dunque è in grave errore chi lo trascura), piomba sulla mia bacheca una signora che sentenzia: “minchiate”. La signora è un’insegnante. La signora è un’insegnante di sinistra, perché la sua bacheca è piena appunto di video e slogan e meme antagonisti. La signora interpreta la mia contrarietà all’intervento come il complotto di Rai Tre (sic) per difendere il proprio prodotto televisivo (ri-sic). La signora non si rende conto che le risposte al suo commento che le arrivano come notifiche rispondono al funzionamento di Facebook e pensa che io in persona le stia rispondendo sempre per difendere “il mio prodotto”. La signora è su un medium potentissimo senza sapere come funziona. Ed è inconsapevolmente parte di un’onda gigantesca che procede contro qualcosa o qualcuno senza sapere cosa rivendicare.
O ci rendiamo conto di questo, o finiremo col coltello fra i denti, sia pure virtualmente, a decretare la morte di ogni possibilità di essere parte di una comunità politica.
“Io vi prospetto quello che per me è il maggiore e peggiore pericolo che attende specialmente noi intellettuali nel prossimo futuro. Una nuova “trahison des clercs”: una nuova accettazione; una nuova adesione; un nuovo cedimento al fatto compiuto; un nuovo regime sia pure ancora soltanto come nuova cultura e nuova qualità di vita. Vi richiamo a quanto dicevo alla fine del paragrafo quinto: il consumismo può rendere immodificabili i nuovi rapporti sociali espressi dal nuovo modo di produzione “creando come contesto alla propria ideologia edonistica un contesto di falsa tolleranza e di falso laicismo: di falsa realizzazione, cioè, dei diritti civili”. Ora, la massa degli intellettuali che ha mutuato da voi, attraverso una marxizzazione pragmatica di estremisti, la lotta per i diritti civili rendendola così nel proprio codice progressista, o conformismo di sinistra, altro non fa che il gioco del potere: tanto più un intellettuale progressista è fanaticamente convinto delle bontà del proprio contributo alla realizzazione dei diritti civili, tanto più, in sostanza, egli accetta la funzione socialdemocratica che il potere gli impone abrogando, attraverso la realizzazione falsificata e totalizzante dei diritti civili, ogni reale alterità. Dunque tale potere si accinge di fatto ad assumere gli intellettuali progressisti come propri chierici. Ed essi hanno già dato a tale invisibile potere una invisibile adesione intascando una invisibile tessera. Contro tutto questo voi non dovete far altro (io credo) che continuare semplicemente a essere voi stessi: il che significa essere continuamente irriconoscibili.
(Pier Paolo Pasolini, lettera al Partito Radicale)

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