PERCHE' NON E' VERO CHE TUTTO E' COME PRIMA

E’ la mattina dell’ 11 settembre 2001: un reporter telefona a Susan Faludi, scrittrice e femminista americana, premio Pulitzer 1991, autrice del best-seller Contrattacco. Ufficialmente, desidera una dichiarazione sulla catastrofe appena avvenuta. Con ogni probabilità, intende soprattutto farle conoscere il proprio pensiero: «di certo, questo cancellerà il femminismo dalla faccia della terra». Non è andata proprio così: ma da quel momento l’ immaginario americano si è rivolto con forza, e forse con sollievo, agli antichi miti della virilità vincente e della femminilità sottomessa. Il racconto di questo stupefacente tuffo nel passato è  stato riportato in un saggio probabilmente introvabile, The Terror Dream, uscito in italiano con il titolo de Il sesso del terrore . A Faludi  non andò liscia: sul  New York Times,  venne amabilmente accusata di arroganza.
Poi torno su Faludi. Ora, mi piacerebbe però che quella parola, arroganza, non venisse utilizzata nei confronti di tutti coloro che in questi difficilissimi mesi hanno provato e provano a riflettere su quanto avviene. La cosa che mi spaventa di più, in questo martedì 19 maggio, è la sensazione sgradevole, umidiccia, soffocante come lo scirocco di questi giorni, che si faccia finta  di niente. Non parlo delle reazioni sacrosante di chi posta la foto del primo spaghetto al ristorante, di chi va all’Ikea e di chi beve un bicchiere guardando uno qualunque dei fiumi che attraversano le città. Sono reazioni normalissime. Il fatto che personalmente io non me la senta di fare altrettanto (ma questi sono affaracci miei, del mio modo di essere e interagire col mondo e di essere persino, in fondo, un animale da tana da quando ero adolescente, anche se non sembra), non significa che debba piazzarmi in qualche balcone virtuale ad ammonire gli altri col dito alzato. Quando parlo del far finta di niente intendo un ritorno agli antichi e mai sopiti umori: la polemicuccia letteraria, il poeta che si sente incompreso dal Sistema, la zuffa virtuale, il rancore, lo strillo, la bassissima lega dei rapporti di prima. Quella roba là. Come se non fosse accaduto niente. Come se quel che è accaduto fosse magicamente sparito  senza lasciar traccia.
Non parlo del virus. Parlo di noi.
Nella conversazione con Claudia Durastanti e la sottoscritta, Donna Haraway ha detto fra l’altro:
“La solidarietà con gli altri non è mai stata così intensamente necessaria come adesso, e non è mai stata così difficile da costruire, sostenere e diffondere.”
E i Wu Ming, in questo post su Giap!, dicono:
“In giro c’è troppo pensiero binario, troppo manicheismo, troppo facile e tranciante tertium non datur. Invece non solo esistono tertia: esiste il molteplice, con la sua complessità. Negarlo ci porta dritti nella braccia del “doppio legame”, quello su cui si è imperniata gran parte della gestione dell’emergenza e la cui logica è stata presa per buona da chi si concentrava solo sul virus”.
Ora, so benissimo che non tutti stanno allegramente facendo finta di nulla, figurarsi. Ci sono centinaia di migliaia di persone che NON POSSONO far finta di nulla, perché hanno perso il lavoro, e dunque la possibilità di pagare un affitto, e dunque la possibilità di fare una vita decente, e non hanno certo tempo per le zuffe e le risse e lo spaghetto. Ma quel che mi fa arrabbiare è la difficoltà di una narrazione di tutto questo che sia complessa, che appunto non sia binaria, che non ci scaraventi nell’uno o l’altro di quelli che si vorrebbero fronti.
E torno a Susan Faludi. Che in quel saggio colse segni che altri non volevano vedere. Prese in esame centinaia di articoli, libri, programmi televisivi, film, e inquadrò la «ridefinizione dei generi» nell’antica fantasia americana dell’ invincibilità, nata negli anni della frontiera e prosperata fino al momento in cui quattro aerei l’ hanno mandata in frantumi. Da quel momento, la vulnerabilità dell’ America è stata letta «come un problema tra i sessi, in cui l’ uomo americano e il vigore della nazione erano indeboliti dall’influenza femminile». «Risorgono le virtù maschili», scrisse DAVVERO il Wall Street Journal, mentre le televisioni mandavano in replica i film di John Wayne e Mezzogiorno di fuoco. Qualcuno arrivò a sostenere (sul Washington Post) che negli occhi di George W. Bush brillava lo stesso riflesso delle pupille di Gary Cooper. I vigili del fuoco vennero trasformati in cow boy ed eletti a sogno proibito delle vere donne («Firefighters are Hot, Hot, Hot!»).
Non importa, scrisse Faludi, che la maggior parte delle vittime dell’ 11 settembre fossero maschi adulti (il rapporto è di tre a uno): nelle fotografie sono ritratte quasi esclusivamente donne in lacrime.  Su quotidiani e riviste, intanto, le firme femminili si ridussero drasticamente. Eppure, il saggio di Faludi non innescava alcuna guerra di genere. Semmai, invitava saggiamente ad uscire da una tragica fantasia adolescenziale: «quando basiamo la nostra sicurezza su una mitica forza maschile che può solo misurarsi con una mitica debolezza femminile, dovremmo sapere che stiamo mostrando i sintomi di una sofferenza culturale letale».
Vi ricorda qualcosa? A me sì. E no, non è ininfluente. Si cambia per forza, dopo quel che è avvenuto e avviene. Trovo insano negarlo. Trovo insano non studiarlo, soprattutto.

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