LA TRASFORMAZIONE DI CHI SCRIVE IN PERFORMER (E LA RESISTENZA A TUTTO CIO')

Ogni tanto mi capita di leggere le proteste degli ascoltatori nei confronti delle scrittrici o degli scrittori che presentano i propri libri a Fahrenheit. Antipatico/a, dice uno. Noioso/a, dice l’altra. Parla male, parla troppo, parla troppo veloce, parla troppo lentamente. Ha l’ego. Beh, sì, tutti abbiamo un ego. Parla dei suoi personaggi. In effetti, se racconti il tuo libro, parli dei tuoi personaggi. Ha un’alta concezione di sè perché parla del suo romanzo. In effetti, sei qui proprio per parlare del tuo romanzo, e non della Lemniscata di Bernoulli. Così accade, e accade spesso.
Il brontolio però è utile. Perché mi porta a chiedere cosa si vuole, oggi, da chi scrive, e a confermare certi timori che emergevano già dieci anni fa. Chi scrive deve essere un performer, nell’idea comune. Dovrebbe offrire al suo pubblico pensieri scintillanti, apologhi edificanti, parabole e sermoni, battute spiritosissime e momenti di ispirata commozione, le lacrime, il sangue, il sudore, il teatro, la commedia, la tragedia, stelle danzanti, discese ardite e risalite. Insomma, dev’essere un po’ un comico, un po’ un attore, un po’ un regista e sceneggiatore di se stesso. Tutto bello, ma la scrittura?
Non funziona così. Ho raccontato tanti libri degli altri e tanti autori e autrici ho intervistato. Alcuni sono totalmente incapaci di parlare in pubblico, ma sono scrittori immensi. Dovrei privarmi della bellezza della loro scrittura solo perché sanno fare il loro lavoro, ovvero scrivere, e non sanno fare il lavoro dei performer? Direi che la risposta è no. O almeno per me è no. E, di grazia, quando abbiamo cominciato a valutare chi scrive per la sua simpatia e la sua capacità  di affascinare? Da un bel po’.
Non me ne vorrete, spero, se vi ricordo Ewan Morrison.  Morrison è uno scrittore inglese che nove anni fa  ha deciso di mettere in pratica i consigli del bravo autopromotore. Dunque, cosa fa? Intanto, cerca di capire come funziona davvero una delle prime regole dell’autopromozione via web, quella dell’ 80/20, secondo la quale (parola dei vari guru) un autore deve trascorrere il 20% del proprio tempo a scrivere e l’ 80 ad autopromuoversi su Facebook e Twitter. Ma di questo 80%, viene specificato, solo il 20 deve essere impiegato a lodare i propri libri, per non offendere troppo gli eventuali acquirenti: dunque, l’ 80% dell’ 80% va utilizzato per parlare di quel che ai navigatori piace. Gatti. Cibo. Sport. «Quanto tempo resta per scrivere? Dal momento che molti autori  hanno un lavoro, tre ore al giorno. 1095 ore l’ anno. Se le riduciamo a quel 20% da dedicare alla scrittura, 219 in un anno. Diciotto giorni».
Ammettiamo che siano sufficienti, e proviamo a utilizzare la maggior parte del tempo sui social media, cominciando da Twitter. «Solo il 10% dei tweet vengono ritwittati», scrive Morrison. Colpa dell’ utente? È quello che viene sostenuto dalle compagnie di marketing che si sono trasferite in rete e che propongono di insegnarti a usare Twitter per centinaia di sterline, o di farlo al tuo posto: cinque tweet al giorno da cinque account diversi. 29 dollari al giorno, 10.000 sterline l’ anno. Non funziona ancora? Ti viene consigliato di «innescare gli algoritmi di Amazon», cercando di ottenere trenta o cinquanta o cento recensioni favorevoli. «Te lo spacciano come un trucchetto segretissimo, ma il concetto è quello di contattare tutti i tuoi amici di Facebook chiedendo loro di postare recensioni», scrive ancora Morrison. Peccato che non funzioni: «Finchè “facebolla” controlla le tue azioni online, non importa se hai mille amici o cento, vedrai gli aggiornamenti solo di due dozzine di persone che hai recentemente contattato». Insomma, il rischio è di rivolgerti ai compagni di scuola e ai parenti, e di sprecare il tuo tempo a vendere non più di dieci libri. Puoi fare altro. Comprare annunci a pagamento su Facebook («un mio collega, in due mesi, ha ottenuto 490 “mi piace” e venduto tre libri»). Uno studio Reuters, inoltre, dimostra come quattro utenti Facebook su cinque non abbiano mai comprato nulla dopo aver letto un annuncio o un commento. E allora? «Vuoi spendere l’ 80% dell’ 80% del tuo tempo parlando di gatti su Facebook nella speranza di incrementare del 2% le vendite di un libro che hai scritto in diciotto giorni e facendo propaganda all’ industria dei social media?O vuoi essere al cento per cento uno scrittore?».
Sarò sempre dalla parte di chi balbetta, di chi esita, di chi parla troppo o troppo poco, ma scrive buoni libri, sappiatelo.

Un pensiero su “LA TRASFORMAZIONE DI CHI SCRIVE IN PERFORMER (E LA RESISTENZA A TUTTO CIO')

  1. Grazie. Questo articolo mi ha ripescata dal fondo del pentolone in cui mi trovavo da un paio di settimane. Da quando cioè è uscito il mio primo romanzo – L’Uomo di Selinunte – e l’Ufficio Stampa della mia casa editrice mi ha inviato un dettagliato vademecum con tutte le indicazioni per l’autopromozione. E adesso? In pochi minuti dovevo trasformarmi da solitaria amante della scrittura a vivace venditrice porta a porta. Non ce la farò mai. Passi per la pagina Facebook da gestire in società con l’ufficio stampa, mi sono detta, ma … mi ritrovo ad inciampare anche lì, a vergognarmi per un ruolo che non è il mio e che soprattutto non riesco né voglio impersonare. E allora? Spero che qualcuno, casualmente, passando in libreria si ritrovi in mano il mio libro e incuriosito si chieda …”Carneade, chi era costui?”. Sperare: questo lo posso fare anche da casa, e in silenzio.

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