Come ogni anno, arriva il momento della pausa per questo blog. Non è soltanto un rito, è la necessità mentale di non scrivere ogni mattina. Anzi, di farlo, ma di preservare la scrittura per altro, di cui si parlerà al momento giusto.
La sospensione di questo agosto arriva in un momento di ulteriore spaesamento. Quando, ieri, appresa la notizia della morte di Roberto Calasso, parlavo di fine di un mondo, ero molto seria. Un mondo che non va giudicato migliore o peggiore, le classifiche non hanno senso se non per noi che abbiamo scavallato i sessant’anni, e fatalmente guardiamo indietro perché guardare avanti fa più paura di un tempo (eppure bisogna, sempre e sempre): un mondo diverso, dove il libro era al centro dell’editoria, dove contava meno il conticello di chi vende entro i primi cinque giorni di uscita altrimenti molliamo tutto e concentriamoci sul libro successivo, e per farla breve, come ha scritto stamattina Christian Raimo, “ci sono una montagna di cose per cui ringraziare il lavoro di Roberto Calasso, ma sicuramente la più importante è di aver mostrato e non solo dichiarato quanto il libro può essere centrale in ogni progresso civile, politico, culturale”.
Non è solo questo: in quel mondo finito c’erano i giornali. Certo, esistono ancora, ma se devo giudicare il ruolo che hanno avuto e hanno (non tutti e non sempre) nel rendere più profondo il divario fra le presunte parti a proposito di vaccini e green pass, ebbene, è un ruolo di primo piano, sconsiderato, teso a ottenere un clic in più nelle versioni on line, in una parola irresponsabile. Il modo in cui si racconta la morte di Libero De Rienzo (e per me il diritto di cronaca, qui, c’entra poco) è esemplare, da questo punto di vista. Sarebbe troppo facile dire che un tempo i giornali provavano a crescere insieme ai lettori, e anzi a fornire loro spunti di crescita: da anni inseguono la parte più rissosa dei lettori, in un ouroboros che non avrà fine se non con quella dei giornali medesimi, molto probabilmente. Peccato.
Detto questo, ci sono ancora possibilità da esplorare, ce ne sono infinite, anzi, a patto di riuscire a vederle, a capirle, e a distogliere per una volta lo sguardo dalla fanghiglia della polemica quotidiana. Se non ci si riesce, se ci si inchioda all'”innominabile attuale”, è un disastro.
Ma spero che non sarà così, infine. Dopo il crollo di un centro, ne appare un altro. O forse si farà a meno del centro e dei falconieri (scusa, Yeats) e i falconi avranno un nuovo e fin qui impensato assetto di volo.
Buone vacanze, commentarium, se riuscirete a farle. E comunque che l’estate sia propizia e il più possibile serena. Ci si ritrova qui, come sempre, agli inizi di settembre. Viva i falconi.