RIMANERE IN LATOGUARDIA: SU BARBERO E SULLA PAURA

Molti anni fa (era il 2005), mi infilai in una polemica letteraria sulla cultura popolare: brutto termine, in verità, almeno in italiano, perché le due parole sembrano annullarsi a vicenda in un contesto come il nostro, purtroppo. Allora, come oggi, ero convinta che il popolare fosse materia prima con cui cimentarsi, spingendomi a dire, come oggi,  che l’equivalente contemporaneo di Wilhelm Meister fosse, ai tempi, il videogioco dei Pokémon. Allora, come oggi, ero convinta che un certo disprezzo intellettuale verso “la gente”, i suoi gusti e le sue azioni (lo stesso di cui, su altro argomento, parla Donatella Di Cesare nel suo “Il complotto al potere”) sia non solo ingiusto ma controproducente.
Ai tempi, con un caro amico scrittore, ci dicemmo che nei momenti in cui non  è possibile parlare di avanguardia, tocca, per non retrocedere, fare battaglie di latoguardia.
Il che non significa essere pilateschi, ma provare a guardare da tutte e due le parti che si oppongono. Ora, mi ritrovo in piena  latoguardia a proposito dell’ultima polemica su Alessandro Barbero e della parte dell’intervista rilasciata alla Stampa dove afferma:
“Rischio di dire una cosa impopolare, lo so, ma vale la pena chiedersi se non ci siano differenze strutturali tra uomo e donna che rendono a quest’ultima più difficile avere successo in certi campi. È possibile che in media, le donne manchino di quella aggressività, spavalderia e sicurezza di sé che aiutano ad affermarsi?”
Sono tre righe. E sarebbe interessante approfondire questo punto, laddove “strutturali”, a parer mio, non significa “biologiche” ma di sistema, e dove quella mancanza è esattamente la stessa di cui abbiamo discusso infinite volte: la sindrome dell’impostora che è culturale, evidentemente, e con cui evidentemente facciamo i conti perché evidentemente esiste una costruzione sociale e ancora una volta culturale che alle donne è ostile. Fine degli evidentemente, ma il discorso è gigantesco, perché quella costruzione si è fatta persino più granitica ma con una maschera amichevole: sono tutti “dalla parte delle donne”, da ultimo, non foss’altro per faccende di mercato. I fatti, e i fatti riguardano il lavoro, la salute, la scrittura, la vita delle donne, sono enormemente diversi.
Ho scritto, in passato, cose molto simili, se non identiche a quelle dette – a modo suo – da Barbero, in “Ancora dalla parte delle bambine”. Ma le cose sono cambiate. Esiste, passatemi il termine (e lo uso da femminista) un femminismo della paura che, temo, si autoboicotterà. Dove la militanza, molto spesso, si identifica con il tondino su Instagram e la chiamata a raccolta su tutti i social disponibili contro un bersaglio. Valanga che cresce e a cui si accodano tutti coloro che alla propria reputazione social tengono, vedi mai perdessero un colpo, o un like, o una lettrice.
Come credo sia noto, non solo non mi piace, ma lo trovo pericoloso per i femminismi stessi. E quello di raggiungere molte giovani persone in questo modo è un motivo certamente valido (difatti, il femminismo social è molto potente), ma non sufficiente. Perché esiste un noi. E troppo spesso quando si partecipa a questo tipo non di discussione, ma di linciaggio, si dice “io”.
Non durerà, forse. Ma finché dura mantengo la posizione laterale.

Un pensiero su “RIMANERE IN LATOGUARDIA: SU BARBERO E SULLA PAURA

  1. Lateroguardia bel termine!
    Lateralmente non mi è chiaro per quale ragioni sia necessaria aggressività, spavalderia e sicurezza di sè per affermarsi. Nel merito, non dovrebbe essere il merito? in particolare nell’ambito accademico dal quale Barbero proviene, dove il merito si misura (almeno nei concorsi e avanzamenti di carriera) con fatti e dati oggettivi come citazioni, indici bibliometrici, produzione? cosa hanno a che vedere tali fatti e dati con l’aggressività?
    E, da uomo, contesto anche il fatto che sarei strutturalmente più adatto alla aggressività, alla spavalderia e alla sicurezza in sè, cioè alla sicurezza in me e alla sicurezza in quanto tale.
    *
    Lei scrive che
    “esiste una costruzione sociale e ancora una volta culturale che alle donne è ostile” amplierei dicendo che
    “esiste una costruzione sociale e culturale violenta e aggressiva che colpisce soprattutto le donne”.

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