SERINO E WALLACE

Gian Paolo Serino mi invia un suo polemico articolo su David Foster Wallace, uscito sul numero attualmente in edicola di Stilos. Ve lo riporto.

“Geniale pittore dell’ipermoderno, David Foster Wallace alterna la scrittura di opere narrative a deliziosi e bizzarri ritratti della cultura americana pop”: così si legge sulla quarta di copertina della prima edizione di “Considera l’aragosta”, raccolta di “reportage, indagini erudite, pezzi di costume, diari intimi”. Dall’11 settembre all’influenza di Kafka sugli studenti universitari statunitensi, da un viaggio nel mondo della pornografia da Oscar al tragico destino delle aragoste: Wallace in quest’ultimo pamphlet (in uscita da Einaudi, pp. 350, € 12,00) ci offre una sorta di talk show di carta condotto da un autore idolatrato e da molti considerato, oltre che un genio, uno scrittore reazionario. 

In realtà David Foster Wallace è un classico autore da esibire: più commentato che letto, più osannato che amato, è un fenomeno che dice molto sull’attuale situazione della letteratura giovane non solo americana e, soprattutto, sulla misera condizione nella quale sono obbligati a barcamenarsi lettori e critici. E’ un mondo senza memoria il nostro: e fa bene Wallace ogni volta a ricordarcelo riproponendo, come nuove, idee che con un eufemismo si potrebbero definire obsolete. Sempre rinchiuso tra le gabbie da definizione, passando agevolmente dall’essere il “portavoce di una rinnovata metanarrativa” ad “ultimo esponente del postmoderno” sino a “punta di diamante dell’avant pop più estremo”, Wallace non è altro che un prodotto, un logo da esportazione sinonimo di una qualità narrativa più ventilata che effettiva, di una ricerca più vicina al marketing intellettivo che all’intelletto.

La sua prosa, poi, è quasi sempre siderale, quasi sempre autoreferenziale, sicuramente sempre noiosa: tant’è che leggendo il saggio “E unibus pluram” (inserito nella raccolta “Tennis, tv, trigonometria, tornado”, pubblicata da minimum fax) viene quasi da pensare che Wallace prenda in giro il lettore rimarcando la sua distanza proprio dall’autoreferenzialità.

In “Verso Occidente l’Impero dirige il suo corso”, invece, dietro la maschera di “scrittore difficile” – nient’altro che una copia sterile e mal riuscita del peggiore Barthes- si vuole vedere l’esperimento di “un racconto che usa le tecniche alla metafiction per operare una critica feroce alla metafiction stessa” perché, per Wallace, la metafiction ha raggiunto ormai “un rassicurante status istituzionale”. E allora? Forse esiste ancora qualcosa che non sia diventato istituzionale? Forse bisogna leggere Wallace per capire che “la cultura di massa è la grande ninna nanna che culla gli Stati Uniti d’America col suo affettato la la la”? Che “la realtà diventerà fiction che diventerà realtà” è forse una scoperta? Bisogna leggere Wallace per capirlo? Non basta guardare fuori dalla finestra o, al limite della fiction, leggere uno Shopenhauer di due secoli fa per capire che “la vita è una tragedia recitata da commedia”? Forse il filosofo tedesco aveva bisogno delle coordinate morali dettate dalle sit com a stelle e strisce o delle pirotecniche trovate di Wallace? La realtà è che il più delle volte David Foster Wallace è di un tedio e di una scontatezza intellettuale che sconvolge e che tutte le sue teorie si potrebbero riassumere in dieci pagine: una di testo e nove di citazioni delle fonti. 

Infinite Jest , ad esempio, è il classico libro che paralizza la critica e spiazza il lettore: i recensori, impallidendo davanti alle mille e passa pagine del romanzo, hanno preferito incensarlo (evidentemente senza leggerlo) e seguire ciecamente quegli intellettuali americani, soprattutto la lobby underground capitanata da Larry McCafferry&Co, che considerano questo libro come un capolavoro di originalità; il lettore, invece, impallidisce perché, non solo a libro chiuso, si rende conto di essere stato preso in giro, di trovarsi di fronte ad una lettura banale, dispendiosa e soprattutto inutile.

Infinite Jest non è altro che una sorta di blob cartaceo a bobina impazzita dove di originale non c’è proprio nulla, anzi: è una sorta di remix usurato che non cita nemmeno le fonti e che si vuole spacciare come esempio di “nuova frontiera della metanarrativa”.

Dell’idea chiave di tutto il libro – la denuncia di una società ormai cancrenizzata dalla “metastasi del guardare”- , ad esempio, ne parlava già nel 1800 (ma è solo il primo dei tanti) un certo William Wordsworth (d)enunciando in versi profetici la “tirannia dell’occhio corporeo”.

Dell’altra idea guida – i pericoli di una società che ha il suo unico credo nel divertimento- ne hanno invece scritto in modo sicuramente più incisivo Aldous Huxley nel romanzo Il mondo nuovo ( 1932) e Neil Postman nel saggio capolavoro Divertirsi da morire.

Che dire poi di quella che Wallace definisce “la propria polifonia linguistica che rappresenta l’impazzimento della società”?

Prima di lui (sempre qualche anno prima…) ci erano già arrivati il Robbe-Grillet di Progetto per una rivoluzione a New York (1970) e persino l’Andy Warhol di From A to B and back again (tradotto in italiano con il titolo “A”).

E ancora: l’idea di una società dominata dalla pubblicità non è forse mutuata da “ I mercanti dello spazio” di Fredrick Pohl e C.M. Kornbluth (1953)? Della merce “imbevuta di una traccia utopica” non ne aveva forse già parlato Walter Benjamin?

Che dire, infine, delle imbarazzanti somiglianze con molti passaggi de Le perizie di William Gaddis (1955), del Limbo di Bernard Wolfe (1952) o di Uno zoo lungo la strada di Tom Robbins (1971)?

Più che un “geniale pittore dell’ipermoderno” Wallace ci appare così: un abile miniatuirista, un furbo riciclatore capace di mettere la testa di lettori e critici in centrifuga. Un “radical chic”, scampato agli anni ’70, e inghiottito da quell’idrovora ipno-televisiva che ha ridotto la carta in una succursale di pixel catodici. Si possono cambiare le pagine certo, ma non canale: le sue frequenze sono sempre le stesse. Così potenti da incantare il mercato editoriale. Così basse da incatenare alla noia del già (a) letto.

40 pensieri su “SERINO E WALLACE

  1. non mi è molto chiaro il succo della critica.
    se vuole dire che non gli piace come scrive, de gustibus, a chi non piace qualcosa?
    Ma che per scrivere cose interessanti si debbano evitare tutti i riferimenti che serino cita (e un bel po’ si inventa, è così facile buttare giù due nomi pensando di denigrare – denigrare??) altrimenti “l’ha già detto qualcuno”, mi pare bizzarro come metodo critico. 🙂
    probabilmente tutto si capisce e rivela nell’affermazione un po’ maoista e molto sciocca di wallace come “scrittore reazionario”. gli è proprio scappata, poi si capisce tutto.

  2. Io sono d’accordo con questo articolo. Per schiarire eventuale dubbi, autocertifico che DFW l’ho letto. Solo il primo libro, dopodichè mi sono appellato al punto 1 della dichiarazione dei diritti del lettere di Pennac :”non leggere” (più, aggiungo io dopo un’esperienza noiosa.)
    PS:
    Aggiungo una piccola provocazione, questo articolo si può legare alle discussioni precedenti. in particolare ai penultimi due post: queste parole di Serino ( “qualità narrativa più ventilata che effettiva, di una ricerca più vicina al marketing intellettivo che all’intelletto.La sua prosa, poi, è quasi sempre siderale, quasi sempre autoreferenziale, sicuramente sempre noiosa”)potrebbero essere applicate alla lettera per certi poeti e romanzieri della (presunta) nostra realtà, molto impegnati in battaglie civili, anche giuste; il fatto però che prendano la parola – anche sui giornali – dipende dal credito letterario (esagerato) che hanno ricevuto. Se poi i suddetti autori, singoli o collettivi, diano vita alle discussioni di cui NON si auspica il bis, cara la mia eccetera, è responsabilità di chi, critico letterario o editore – o le due cose insieme alla faccia del conflitto di interessi- ha dato loro la patente. Ma di questo inutile dire,è già tutto un dilagare di blog. Ma anche qui la discussione, invece che arricchirsi, si “davidfosterwallacizza”.

  3. De Santis, guarda che il mio non auspicare un bis non si riferiva assolutamente agli autori a cui tu ti riferisci. Provocazione per provocazione: possibile che chi contraddice l’altro, nella cara blogosfera, diventi da quel momento e per lungo tempo IL bersaglio?

  4. scusa mario, visto che tu lo capisci, potresti farmi un esempio riconosciuto di “prosa siderale”? E dirmi in che punto della tecnicalità letteraria è un errore per una prosa essere “autoreferenziale” (con esempi, grazie)? E mi potresti illustrare il criterio non dico oggettivo e sottratto al gusto, ma almeno comunicabile ad altri umani, per cui una prosa viene detta “noiosa” (anzi, “sicuramente noiosa”).
    Servono davvero 5990 caratteri spazi compresi per dire che una cosa non ti piace, senza argomenti che non siano di gusto o comici? A me ne servono nove per replicare esaustivamente: e allora?

  5. Se ogni volta che esce un nuovo libro di DFW, tocca fare la “discussione su DFW”, allora mi sa che tanto marginale e sdato e riciclato non sarà.
    Il fatto che sia in realtà TOTALMENTE americano, che usi talvolta materiale letterario et concettuale già precedentemente elaborato da altri (chi non lo fa?), il fatto che spesso si incarti e risulti di una noia mortale, il fatto che talvolta sia atteggiato, ridondante e fuori bersaglio, il fatto che sia un fichetto, eccetera (lui stesso sa benissimo di essere un fichetto), non toglie nulla all’interesse che provo per la sua scrittura e non impedisce che mi precipiti a comprare ogni sua nuova cosa.
    Opinione personale, certo.
    Tuttavia (e per esempio) sfido chiunque a trovare oggi uno capace di restituire con la stessa minuzia maniacale di DFW, lo stesso acume e la stessa completezza, clima e contenuti della campagna elettorale (primarie) di un aspirante alla candidatura repubblicana per la presidenza degli Stati Uniti (mi riferisco al saggio Forza simba, in Considera l’aragosta).
    Quando l’avrete trovato datene segnale et notizia, per favore.
    Sommessamente aggiungo: comprate questo libro, ne vale la pena.

  6. Così si espresse Paolo Beneforti su Infinite Jest in it.cultura.libri il 16 maggio 2002 (poiché il libro spezza la trama in piu’ sottotrame, anche la recensione fu spezzata in piu’ thread, N.d.R.)
    >2) Alla Enfield Tennis Academy vivono inoltre il figlio minore di Incandenza,
    >Hal
    Hal è apparentemente, assieme a Don Gately, il protagonista di IJ. È un genio
    mnemonico e lessicale (ricorda fotograficamente ciò che legge), terribilmente
    intelligente, e un talento tennistico (come fu Wallace in gioventù); ma ha
    problemi di comunicazione affettiva e il cui apice critico esplode nelle
    primissime pagine di IJ.(*)
    In realtà tutti i personaggi di IJ hanno problemi. Non ce n’è _uno_ sano (il
    più equilibrato sembra il fratello di Hal, Mario, minorato mentale e fisico).
    Una delle sottigliezze di questo straordinario romanzo è di mostrare senza
    discontinuità il disagio ‘normale’ e quello patologico (quello dei ricoverati
    alla Ennet House): tra le terribili storie di droga e alcolismo dei degenti
    della Ennet House e i conflitti famigliari, sessuali, sociali dei rampolli
    wasp dell’ETA con le loro nevrosi appare poco a poco non esserci una
    differenza sostanziale (per non parlare della follia politica, ambientale e
    ‘spionaggistica’ della vicenda Onan-Quebecq-Gentle-Concavità.): il mondo di IJ
    è un mondo impazzito-e-opportunamente-narcotizzato.
    >E, non a caso, anche un romanzo è, in una certa misura, una forma di
    intrattenimento
    [SPOILER]
    [SPOILER]
    [SPOILER]
    [SPOILER]
    (questi mi sono avanzati, li metto qui).
    >La ricerca del samizdat, la “videocassetta” letale è forse il fatto con
    maggiore >continuità, una delle colonne vertebrali
    >della vicenda complessiva;
    in effetti IJ è un giallo, una spy story. Ma non abbastanza per forwardare su
    idg, ehm.
    >all’interno della ETA nel novembre del 2007,
    o, per meglio dire, nel novembre dell’Anno dei Pannoloni per Adulti Depend
    (APAD): da una decina d’anni infatti la numerazione progressiva degli anni è
    stata sostituita dai nomi degli sponsor. L’azione presente di IJ si svolge
    appunto nell’APAD, ma ci sono vari brani appartenenti al passato: all’Anno dei
    Cerotti Medicati Tucks, all’Anno dei Prodotti Caseari dal Cuore della’America,
    dall’Anno della Saponetta Dove In Formato Prova etc.
    E’ una delle trovate paradossali (una delle tante) che rendono grottesco il
    mondo di IJ.
    > Ci saranno anche alcuni lievi SPOILER non segnalati – inevitabili.
    Inevitabili perché IJ è costruito per frammenti, frammenti mescolati, non
    ordinati cronologicamente. I fatti si ricostruiscono ricordando elementi
    sparsi qua e là. Sparsi anche nelle 200 pagine di note in corpo 8, molte delle
    quali contengono brani essenziali per la vicenda (e molti dei più scabrosi).
    Il lettore è continuamente distolto dalla storia generale: contano molto di
    più le particolareggiatissime descrizioni dei personaggi minori e degli
    episodi che li riguardano: una scelta funzionale alla descrizione di un mondo,
    prima che alla narrazione di una vicenda.
    IJ avrebbe potuto benissimo essere un ipertesto – o anche un megathread.
    David Foster Wallace, Infinite Jest, Fandango 2000, 1434pagg.x24,78euro
    Questo post sarà lungo. Abbastanza. Proporzionato al testo, ecco (alla sua
    mole e al suo valore). Però adeguatamente (?) spez zet ta to.
    Ci saranno anche alcuni lievi SPOILER non segnalati – inevitabili.
    La storia. IJ racconta una vicenda semplice e breve (AH!), attorno alla quale
    fioriscono propaggini di molte altre storie. La vicenda si sviluppa
    raccontando parallelamente tre situazioni principali:
    1) C’è in circolazione una video cassetta (una cartuccia) di un film
    amatoriale la cui visione è letale: chi lo guarda entra in stato di dipendenza
    catatonica dal film, non comunica più con l’esterno, la sua mente è
    cancellata; vuole solo vedere il film e in breve tempo, ovviamente, muore.
    Agenti segreti americani e canadesi, quebecqeani e ONANiani,
    cercano di capirci qualcosa, di impedire la diffusione di questo film, di
    risalire all’autore. Se non che l’auteur è defunto:
    (mini SPOILER)
    si tratta infatti di James Incandenza, ingegnere ottico con vari brevetti alle
    spalle, ex tennista e
    fondatore della Enfield Tennis Academy di Boston, una scuola di tennis per
    giovani promesse danarose diretta dalla vedova di Incandenza e dal di lei
    fratello non germano C. Tavis (CT).
    2) Alla Enfield Tennis Academy vivono inoltre il figlio minore di Incandenza,
    Hal, fortissimo tennista juniores, e il figlio mediano Mario. Il
    figlio maggiore Orin fa invece il punter professionista. La vita
    all’interno della ETA nel novembre del 2007, soprattutto per quel che riguarda
    Hal, è la seconda vicenda che si sviluppa più o meno indipendentemente nelle
    1400 pagg di IJ.
    3) Ai piedi della collina ove sorge l’ETA c’è un centro di riabilitazione per
    tossicodipendenti e alcolisti, la Ennet House: le storie e le vicende di
    parecchi ospiti della Ennet House sono il terzo ‘nocciolo’ di IJ. Specie
    per quel che riguarda Dan Gately (un omone gigantesco, ex-tossico da narcotici
    orali e ex-ladro, che, dopo essere
    stato ospite della EH, ci lavora come membro dello staff) e Joelle Van Dyne,
    ricoverata lì da poco.
    Ovviamente le tre vicende vanno gradualmente a confluire e ad assumere una
    definizione via via più completa fino a ricongiungersi con l’episodio narrato
    nelle primissime pagine – che avviene cronologicamente prima.
    La ricerca del samizdat, la “videocassetta” letale è forse il fatto con
    maggiore continuità, una delle colonne portanti della vicenda complessiva;
    tuttavia è abbastanza evidente che questa e le altre storie sono solo elementi
    della descrizione di un mondo. un mondo in decadente autodistruzione, fatto di
    persone alla ricerca di una “carota” per cui valga la pena vivere e di una
    qualche forma di oblio, di intrattenimento che lenisca la paura di fallire in
    questa ricerca.
    E, non a caso, anche un romanzo è, in una certa misura, una forma di
    intrattenimento (ah ah!)
    p.b.
    >Ai piedi della collina ove sorge l’ETA c’è un centro di riabilitazione per
    >tossicodipendenti e alcolisti, la Ennet House: le storie e le vicende di
    >parecchi ospiti della Ennet House sono il terzo ‘nocciolo’ di IJ.
    L’attività dei gruppi di Alcolisti Anonimi e simili (narcodipendenti,
    cocainomani etc.) e le vicende da loro raccontate occupano molte pagine,
    spesso durissime, tragiche. Però Wallace le racconta con un distacco sempre in
    bilico tra il tragico e il grottesco – e poi scrive da dio, diciamolo.
    Questo scrimolo tra tragedia e parodia è subdolo, per il lettore: queste
    storie piene di vomito, sangue, squarotti, prostituzione, violenza – alternate
    ai top spin e alle felpe pulite degli adolescenti che giocano a tennis – vanno
    giù con un’empatia inavvertibile; tragedie sdrammatizzate; del resto, appunto,
    il disagio prosegue, con lo stesso equilibrismo tra grottesco e tragico, con
    lo stesso delicato distacco, attraverso tutte le pagine e tutti i personaggi:
    quella lì è la normalità, ecco.
    >Joelle Van Dyne
    La Ragazza Più Bella Di Tutti I Tempi, ex-fidanzata di Orin Incandenza, ex
    protagonista di un programma radiofonico notturno di monologhi col nome di
    Madame Psychosis, suicida mancata e membro dell’UDRI (Unione delle Deformità
    Improbabili e Ripugnanti: Joelle indossa costantemente un velo, anche se non
    si capisce bene se sotto è davvero deforme oppure troppo bella per mostrarsi.)
    Joelle è inoltre
    S
    P
    O
    I
    L
    E
    R
    l’interprete della cartuccia letale, il samizdat.
    >si tratta infatti di James O. Incandenza, ingegnere ottico con vari brevetti
    alle spalle, ex >tennista
    Jim Incandenza, la Cicogna Triste, Lui In Persona, si è dedicato al cinema
    amatoriale negli ultimi anni della sua vita, producendo una ventina di opere
    terribilmente concettuali-formali, curate soprattutto dal punto di vista dell’
    ottica, le cui trame sono disseminate qua e là in IJ (*).
    (*) di questi film e di cinema si parla abbastanza, nel romanzo, ma non mi
    pare un motivo sufficiente per forwardare su it.arti.cinema, ehm.
    >Agenti segreti americani e canadesi, quebecqeani e ONANiani ,
    Il quadro geopolitico è la parte più grottesca di IJ. Alla fine del XX sec.
    (?) è diventato presidente Usa Johnny Gentle, Il Famoso Cantante Confidenziale
    (una specie di mix tra Reagan, Berlusconi e Perot), col suo Partito Pulito
    degli Usa. Dopo di che è nata l’Organizzazione delle Nazioni dell’America del
    Nord, l’ONAN. Gentle inoltre ha cominciato a smaltire le montagne di rifiuti
    tossici e radioattivi prodotti nel Paese facendoli seppellire (o forse non è
    stato lui, mah) nel New England (invece che sparandoli nello spazio, secondo i
    suoi slogan elettorali): risultato: la zona nord est degli USA (New Hampshire,
    Vermont, Maine etc) è diventata inabitabile, totalmente tossica. Chi ci
    abitava si è ammalato; i bambini sono nati clamorosamente deformi. Quando la
    cosa è venuta fuori Gentle ha deciso – geniaccio! – di donare tutti quei
    territori al Canada (donazione forzata, si capisce), di modo che quell’area
    enorme (la Grande Concavità) è ora off limits, presidiata da torri con enormi
    ventilatori che tengono lontane le esalazioni multicolori: una pattumiera
    gigantesca ancora in uso.
    >1) C’è in circolazione una video cassetta (una cartuccia) di un film
    >amatoriale la cui visione è letale: chi lo guarda entra in stato di
    dipendenza
    >catatonica dal film, non comunica più con l’esterno, la sua mente è
    >cancellata; vuole solo vedere il film e in breve tempo, ovviamente, muore.
    La ‘trama’ di questa cartuccia viene più o meno raccontata, ed anch’essa è
    coerente con la descrizione del mondo semi-immaginario fatta da wallace: una
    società nevroticamente normalissima che cerca un oblio materno e mortale,
    piena di dolore, una società che si autodistrugge collettivamente e
    individualmente nella ricerca del succedaneo narcotizzante di uno scopo di
    vita, un obiettivo, una qualche felicità-o-almeno-minor-sofferenza-cazzo! Non
    suona mica tanto fantascientifico, neh.
    Beh, cmq IJ descrive quel mondo lì.
    >1) C’è in circolazione una video cassetta (una cartuccia)
    una cartuccia per Teleputer. IJ si svolge in un futuro solo parzialmente
    paradossale (nel 2007, principalmente) in cui la TV via etere è sparita –
    almeno negli USA -, le tv commerciali hanno fatto flop (anzi, crack) intorno
    al 1998 e sono state sostituite dalla Disseminazione Interlace: una
    distribuzione nazionalizzata di programmi via Internet che vengono scaricati
    da questi Teleputer e coi quali ciascuno si costruisce il proprio palinsesto
    (un meccanismo tutt’altro che immaginario, neh?): un fatto che rende ancora
    più pericolosa l’esistenza della cartuccia letale, il samizdat(*).
    (*) che si intitola Infinite Jest: uno scherzo infinito che non è quello
    giocato da wallace ai suoi lettori, naah!: il samizdat
    S
    P
    O
    I
    L
    E
    R
    O
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    E
    Il samizdat, dicevo, è l’intrattenimento assoluto, finale, mortale con il
    quale una società votata alla ricerca di intrattenimento trova il proprio
    involontario seppuku.
    La cartuccia viene infatti ritrovata dai terroristi anti Onaniti. E questo
    viene detto nelle prime pagine, anche se in modo molto vago. A dire il vero
    no, non si sa come va a finire.
    >Il quadro geopolitico è la parte più grottesca di IJ. Alla fine del XX sec.
    (?) è diventato presidente Usa Johnny Gentle, >Il Famoso Cantante
    Confidenziale (una specie di mix tra Reagan, Berlusconi e Perot), col suo
    Partito Pulito degli Usa. >Dopo di che è nata l’Organizzazione delle Nazioni
    dell’America del Nord, l’ONAN
    (Che una società che si autodistrugge nella ricerca di uno sterile
    intrattenimento si chiami ONAN.)
    >Agenti segreti americani e canadesi, quebecqeani e ONANiani
    >cercano di capirci qualcosa, di impedire la diffusione di questo film, di
    >risalire all’autore.
    Per l’esattezza, gli agenti USA cercano di distruggere il samizdat, mentre gli
    agenti indipendentisti Quebecqiani vogliono diffonderla, o almeno usarla come
    arma di ricatto per ottenere l’indipendenza.
    I dialoghi tra l’agente USA Steeply (costantemente travestito da donna) e l’
    agente AFR (Assassins des Fauteuils Rollents) Marathe (che fa il triplo gioco
    ed è tentato dal fare il quadruplo) sulla decadenza
    iperliberista-individualista degli USA rispetto al moralismo patriottico del
    Quebecq sono tra le più lucide di tutto il testo.
    > (Che una società che si autodistrugge nella ricerca di uno sterile
    > intrattenimento si chiami ONAN.)
    cielo!, mancano due puntini.

  7. A me sembra che si sia perso di vista due dettagli, nei lit-blog soprattutto. 1) L’esercizio del gusto personale è differente dall’esercizio critico. 2) La presa di posizione critica è diversa dalla presa di posizione personale. Spesso invece si tende a credere e a (re)agire come se non fosse così. Il lettore appassionato di letteratura e lit-blog che non ama i versi di Tizio è perché Tizio gli sta sul cavolo, e non perché trova quei versi deboli; così come d’altra parte ci si dichiara entusiasti di scritti innanzitutto in base a un’affinità ideologico-contenutistica. Quanto alle posizioni critiche, chi non ama DFW o Valerio Evangelisti ed espone ragioni critiche (che devono tendere a mettere in contatto testi coi contesti più vari e ampi possibile) non può farlo.
    E’ giusto che il dibattito sia un dibattito. Che gli autori dei testi o dei pezzi critici si difendano anche. Ma bisognerebbe sempre ricordare che il dibattito pubblico, soprattutto quello virtuale, non è un processo (chiaramente fa eccezione il momento in cui sul blog si affrontano vicende come quella di Carlo Giuliani atti giudiziari alla “mano”). Il dibattito letterario è la messa in comune delle più varie opinioni. In un certo senso hanno ragione tutti. Devo citare la iper-abusata massima di Voltaire? ;0)
    Un caro saluto,
    Gemma

  8. d’accordo gemma, è difficile ma opportuno cercare di distinguere il gusto, la moda, l’ambiente di riferimento, l’ideologia, la critica, i tatuaggi, le camicie fuori dai pantaloni, i capelli a coda di cavallo e il giornale nella tasca posteriore destra. E bisogna portare rispetto. Lo dico sempre.
    Ma se un critico – un autodefinito critico per di più “nonaccademico”, mica un “povero lettore” – scrive un pezzo di gusto e lo sorregge da pseudo-argomenti critici e pezze d’appoggio non richieste della consistenza del gelato al pistacchio – gusto-pistacchio – forse per suscitare un po’ di “incandescente discussione”, o per farci sapere cosa (non) gli piace, si può far notare che il discorso è privo di qualsivoglia interesse generale?
    Non è questo – il pezzo, non il contenuto – un caso interessante, da dibattere nei lit-blog con adeguato spirito volterriano?
    (un pezzo scritto anche bene, per carità. Magari un po’ autoreferenziale, o come dire… siderale. Ma bello eh).
    Oppure bisogna rifare il giochetto “questo l’avevano già pensato gli assiro-babilonesi” applicato ad altri 200 scrittori presi a caso prima di rendersi conto che l’unico argomento non esiste e questa è una roba scritta perché c’era il pc acceso?

  9. caro bg, è contro l’anti accademismo che la mia parola, ben lontana dal roveto ardente, si vuole proporre.
    Per il resto, la critica è più facile dell’arte…
    Gian Paolo Serino

  10. Mi pare eccessiva, l’acrimonia di Serino… in fondo parliamo solo di uno scrittore, eccheccazzo!
    Non c’è da arrabbiarsi tanto.
    Però Serino ha detto una cosa nuova, che non avevo mai sentito dire a proposito di DFW (ma che avevo pensato): è uno scrittore (talvolta) reazionario. O dà l’impressione di esserlo. Meriterebbe un post, questa faccenda.
    Comunque a me lui piace. Lyndon è uno dei più bei racconti che io abbia mai letto.

  11. @Gemma, scrivi: “Il lettore appassionato di letteratura e lit-blog che non ama i versi di Tizio è perché Tizio gli sta sul cavolo, e non perché trova quei versi deboli;…”.
    Personalmente trovo ‘limitata’ e ‘limitante’ una simile affermazione: così com’è posta sembra quasi che tu voglia dire: “La critica che il lettore fa a Tizio o a Caio non conta nulla poiché è basata solo su simpatie personali.” In pratica il Lettore che espone una critica a un qualunque testo dello scrittore Tizio è un pirla incanalato all’interno di correnti ‘simpatiche’.
    Beh, mi pare un pochino assolutista e antipatica come osservazione.
    Personalmente ritengo capiti più frequentemente il contrario: su alcuni scriventi e/o scrittori non si può dire alcunché senza incorrere nel ‘reato’ di lesa maestà 🙂
    Buona notte. Trespolo.

  12. @ G.P.Serino
    Se avesse letto Oscar Wilde (il quale aveva copiato da altri, si sa..) non avrebbe mai scritto en passant “la critica è più facile dell’arte”…in realtà sono profondamente convinto del contrario… Certo, questa critica, e quando parla di certa “arte”…
    ecco mi è proprio venuto alla mente quel dialogo di Wilde “Il critico come artista” e ho pensato che sarebbe ancora molto utile per un nuovo bon ton dei blog letterari. Propongo una rilettura del testo con successiva discussione.. 😉

  13. No no, Trespolo. Forse mi sono espressa male. Intendevo l’esatto contrario! Riportavo il modo in cui spesso vengono decodificate le opinioni ( e, raramente, anche codificate certo). Forse avrei dovuto aggiungere, dopo i punti 1) e 2) un “mentre invece succede che”. :0)

  14. A tutti quelli che intendono discutere non di personaggio ma di qualità della scrittura non può non risultare evidente la forza che DFW ha e sa dispiegare nelle pagine. Tash, d’accordo con te su tutta la linea.

  15. Cara Gemma, questa storia che “non si può parlare male di Evangelisti” la leggo come l’ennesimo riferimento polemico a un presunto “linciaggio” subito da Andrea Cortellessa dopo la sua critica a “Distruggere Alphaville”. Gemma, non è questione di lesa maestà: si può tranquillamente essere in disaccordo completo con le posizioni di Evangelisti, si può anche dire che scrive male, che i suoi libri sono polpettoni ignobili, tutto quanto. Ma recensire un libro senza averlo letto (e questo era più che evidente) e mettere in bocca al suo autore l’esattissimo contrario della tesi che espone è una pratica inaccettabile. Io credo di avere dimostrato, in concreto (e non era difficile), che Cortellessa il libro non lo aveva letto e si è appoggiato soltanto a pregiudizi nei confronti di Evangelisti. Che può essere criticato sì, e in una certa misura chiede a gran voce di essere criticato, ma nel merito, a ragion veduta e per quello che scrive davvero, non per quello che un critico si è immaginato in un vaneggiamento autoreferenziale.

  16. A Marco V: Mi dispiace ma “La critica è più facile dell’arte” è una delle citazioni più note di Oscar Wilde contenuta, tra l’altro, nel “Ritratto di Dorian Gray”…

  17. .. sì, ma lì faceva il verso a se stesso…
    Invece nel critico come artista, in cui Gilbert cerca di convincere Ernest che “è molto più difficile dire di una cosa che farla” (nella seconda parte parleranno di come “tutta l’arte è immorale”):
    “per il critico l’opera d’arte è solo uno stimolo per una nuova opera tutta sua, che non deve necessariamente avere un’ovvia somiglianza con la cosa che critica. L’unica caratteristica di una bella forma è che si può inserirvi tutto ciò che si desideri, e vedervi tutto ciò che si voglia vedere; e la Bellezza che alla creazione dà il suo elemento universale ed estetico, rende il critico a sua volta creatore, e sussurra mille cose diverse che non erano presenti nella mente di chi ha scolpito la statua, o dipinto la tavola, o inciso la gemma”.
    Questo per concludere che: “non far nulla è la cosa più difficile del mondo” ; “la critica è più creativa della creazione” dove la più alta è quella che “nell’opera d’arte rivela ciò che non vi ha messo l’artista” ; “chi non sa fare una cosa è la persona più atta a giudicarla” ; “il vero critico non è né sincero, né equo, né razionale”.

  18. Accidenti, più cerco di farmi capire meno ci riesco!!! Alessandro, io stessa, “sotto” Cortellessa talks about Evangelisti, proprio qui, scrissi (ora non mi va di cercare e copiaincollare) una cosa tipo: “Si può dire o no che uno dissente col Grande Critico?”… Quindi… Io direi che Cortellessa utilizza delle categorie interpretative, che spesso personalizzano un po’ troppo la lettura che fa dei testi, piuttosto possenti. Che non legga i libri che recensisce non voglio nemmeno pensarlo.
    Quindi ribadisco. E’ tutto lecito. Che il critico distrugga un autore. Che il lettore o l’autore si incazzino e difendano. Che il lettore distrugga un autore. Che il critico e l’autore si incazzino e difendano. Però io terrei a mente che è implicito nel dibattito esporre posizioni diverse, che non possono e a volte non devono essere per forza assonanti. Cosa che a volte si dimentica. Per questo quando leggo offese personali rimango di stucco (come il “miserabile” a Barbieri…). E poi, fatichiamo ad andare d’accordo con noi stessi, come si può pretendere di essere tutti d’accordo in un dibattito virtuale, che (ri)chiama a partecipare persone vicine e soprattutto lontane, in ogni senso?
    Chiedo scusa per l’O.T..

  19. @Marco V. : Mi si permetta di non essere in accordo con quanto hai scritto. o, almeno, con parte dei passaggi che hai riportato.
    Il rapporto tra critica e opera è piuttosto complesso. Anche perchè la maggior parte dei critici legge un libro come un ginecologo guarda una bella donna.
    Non credo che sia il caso del mio intervento su Wallace che, pur essendo (s)oggettivo, penso che penetri…

  20. serino :-))
    con quest’ultimo divertente commento per quel che mi riguarda si è meritato senz’altro l’onore delle armi. Non arrivo a dire che mi ero sentito penetrato, ma certo la mia reazione precedente, probabilmente un po’ troppo sopra le righe, qualche fastidiosa abrasione la rivelava 🙂

  21. direi che parole come queste “la Bellezza che alla creazione dà il suo elemento universale ed estetico” oggi davvero non hanno (nel senso di “non possono avere”) più senso.

  22. Gemma, non ho dato del “miserabile” a Barbieri. Gli ho dato dello “schifoso”, termine forte e che non avevo mai usato prima, ma siccome certi suoi modi di fare mi hanno fatto davvero schifo, cos’altro gli potevo dire? Per ben due volte ha approfittato della morte di qualcuno per mettersi in mostra con le sue petulanti ricerche di peli (superflui) letterari nell’uovo (di Colombo), sempre per attaccare chi vede come “nemico” nel contesto di ininteressanti dibattiti da cenacolo. Ho reagito con l’epiteto che trovavo giusto in quel momento.

  23. Tra l’altro, da parecchi giorni Barbieri interviene qui con fake e commenti anonimi, cercando sistematicamente di buttare in merda ogni discussione. Appena sgamato in uno dei thread qui sotto, “E’ già passato un lustro”. Come può pretendere di non suscitare il disprezzo altrui, uno che agisce così?

  24. @ Alessandro Canzian
    Il punto è solo questo: io mi chiedo perché il disaccordo delle opinioni deve diventare guerra. Tutto qui. Perché non si può accettare che sia lecito pensarla diversamente? Sfodero la massima più abusata di Voltaire? ;0)
    (Certo, poi la dimostrazione compulsiva del proprio disaccordo rompe. Come ha detto un mio amico, è come se uno andasse sempre in un bar dicendo che non gli piace e che schifo questo bar e gli avventori e i bicchieri sono sporchi… Cioè: uno. Alla fine. A quel bar. Se proprio. Non ce va più).

  25. Appunto. Tutti possono pensarla diversamente, ma se, con tutti i bar che ci sono in città, vieni proprio in questo bar e tutti giorni ripeti che è uno schifo e gli avventori sono dei miserabili, che il cesso è pieno di scritte insultanti, non puoi sorprenderti se quegli avventori si irritano un poco. Soprattutto se scoprono che a fare le scritte anonime nel cesso eri tu…

  26. Una precisazione.
    Lipperatura è il posto in cui è più facile beccarsi un’offesa personale esponendo un’idea. E’ anche vero però che “schifoso” o “miserabile” più che altro danno l’idea della grandezza d’animo e dell’apertura mentale di chi le pronuncia. Il vero problema sono le frasi stronze, per esempio quando scrivi qualcosa di sensato e ti senti rispondere che vuoi fare il protagonista.
    A me quella del protagonista è sembrata grossa e non sto a spiegare il perché. Comunque, sia per la facilità di beccarsi delle offese, sia per non rischiare di passare da protagonista ho scritto ESPLICITAMENTE su Lipperatura che non intendevo intervenire firmandomi col nome. Cosa ho fatto però?, ho lasciato dei piccoli segnali in ogni post. Quello firmato il lettore era fatto apposta perché Loredana capisse chi ero anche senza guardare gli IP (che comunque non sono univoci). E infatti qualche post dopo mi ha risposto con un messaggio in codice. Tutte le persone che mi conoscono e che hanno letto le mie risposte sconclusionate in rete riconoscono immediatamente i miei post anche firmati Zoroastro: dico sempre le stesse cose, cioè quelle a cui tengo. Mi fa quasi tenerezza Alessandro che cerca di sputtanarmi dicendo: guardate questo qua, in un vecchio post su XX citò lo stesso libro con lo stesso registro appassionato! Maledetto troll! In realtà, la mia identità non era ovvia solo per lui, come non era ovvia la mia coerenza.
    Rimane il problema dell’identità personale. Dite quello che volete, ma firmare col proprio nome dà a tutto quello che si scrive un’aura ben diversa. E’ quando si è obbligati a passare dalla firma al nick che si capisce qualcosina di più sulla libertà: quella che ti è stata tolta.
    andrea barbieri

  27. Una seconda precisazione.
    I miei interventi su:
    – Baj (frequentavo casa sua in forma di feto!)
    – l’art 53 cp (tesi di laurea!)
    – il metodo Munari (da dieci anni leggo cose di Munari!)
    sono ben lontani dall’essere scritte sul cesso. Oppure se proprio volete considerarle scritte sul cesso, allora il ductus appartiene a Basquiat.
    Buonanotte.
    andrea barbieri

  28. Poverino, è stato “costretto” a passare dalla firma al nick. Poverino, è stato “costretto” a insultare la gente. Poverino, vittima della dittatura/Lipperatura. Poverino, che gli danno del troll, eppure lo sapevano tutti che c’era lui dietro quel marasma di pseudonimi che insultavano la gente. Poverino. Che vita piena di sofferenza.

  29. a me questo andrea barbieri fa tenerezza.
    mi sembra come quei bambini che fanno di tutto per rendersi insopportabili con l’adulto, e , appena questo fa per allontanarsi, gli corrono dietro.

  30. cara loredana mi dispiace dare sensazioni negative e non faccio bersaglio di nessuno, spero.come si dice da sempre la comunicazione mediata in digitale non riesce a trasmettere l’ironia – o meglio bisognerebbe essere grandi autori e io non lo sono. Quindi facevo una battuta.Vabbè…Nessun bersaglio nella mia testa, solo opinioni molto mie su un oggetto terzo. Invece sì non c’è ancora la famosa netiquette, in molti hanno l’abitudine non di parlare dell’oggetto (DFW in questo caso) ma del soggetto che partecipa alla discussione e pronuncia un giudizio.Insomma se io dico il libro è noioso, si dimostri il contrario con ottimi argomenti sul libro, non si dica a me o chiunque: non capisci una cippalilippa (si dice così a roma, nessun riferiemnto personale). Questa abitudine a screditare l’oppositore so da dove proviene, ma è ormai inutile dirlo, se no si ricomincia. peccato, perchè la discussione letteraria mi interessa molto, anche perchè non me ne occupo (più) direttamente; e vedendo la “distanza siderale” (come la prosa di DFW) tra il mondo dei libri e della letteratura, il panorama di culture e sensibilità che circola in alcuni blog – la parte migliore della vita intellettuale oggi in italia – e altre culture che frequento o in cui mi capita di incappare, mi viene l’urgenza di dire e di tagliare le cose con l’accetta.le cose, non le persone, però.ciao.leggerò muto.con stima per il tuo ottimo lavoro. il tuo (anche ex ascoltatore da anni non sospetti).M.

  31. magari ci fosse in italia uno come dfw, mi sembra che in generale la letteratura americana sia su un altro pianeta (migliore). Perchè? Forse perchè hanno delle buone università? E un elite culturale? E un sistema impostato sulla ricerca? E un certo classismo nonostante tutta la retorica democratica (populista) che ci beviamo in italia? E siamo sicuri che la parola reazionario sia così negativa nel 2006? E mi domando: il fatto che gente come Deridda sia dovuta andare in america per trovare un po’ di spazio ha influenzato non poco le generazioni dei nuovi scrittori americani, che ne dite? ( Sto parlando di Wallace, Moody. Saunders ecc…) Sono gli unici che mi rendono contemporaneo mentre le leggo, perché?

  32. sono a pag. 389 di ij e mi sto divertendo un sacco, non riesco a separarmi dal libro (me lo porto dietro dappertutto), è guerra e pace un po’ acido..vi pare poco

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