Ve ne avevo parlato qualche tempo fa ed è appena uscita, la “presentazione” fatta dalla vostra eccetera a proposito di Ragione e sentimento.
In via eccezionale, vi offro un assaggino:
La stanza di passaggio dove Jane scriveva è diventata il simbolo di un’emancipazione impossibile, in doloroso contrasto con la stanza tutta per sé di Virginia Woolf. Vero, la scrivania di mogano di Austen non era affatto protetta dalle incursioni di domestiche e familiari, e sembra che lei, sì, nascondesse il foglio ogni volta che qualcuno arrivava, suscitando gli interrogativi di Woolf. Perché vergognarsi? Perché, se si stava scrivendo un capolavoro? Sembrava stupita, Woolf, davanti a questa donna che scriveva “senza odio, senza amarezza, senza paura, senza protestare, senza far prediche”. Una donna che Mary Mac Carthy, in una intervista del 1961, non ascriveva affatto fra le scrittrici femminili per eccellenza. Anzi. “Jane Austen non è mai stata uno Scrittore-Donna, secondo me. Il suo culto esige che lo sia, ma a me non pare…Una volta volevo scrivere qualcosa su ‘ senso e sensibilità’, che dividono gli scrittori-donna. Io rappresento il senso, come Jane Austen”.
Eppure divenne una delle madri nobili del femminismo. Leggevamo Jane ed Elsa (Morante) ricordano le ex ragazze del movimento. E, certo, nel film più recente tratto da Ragione e sentimento si è posta cura nel fare di Margaret, la terza sorella Dashwood decisamente sbiadita nel romanzo, il presagio del femminismo che verrà. Jane come sorella di tempi oscuri, che col rifiuto del matrimonio avrebbe tracciato la strada.
Non è neanche così, forse.
Penso che l’attizzatoio abbia colpito dove faceva più male. Dove, anche oggi, farebbe malissimo: nell’arroganza e nella considerazione di se stessi che spesso hanno i letterati quando si considerano unici depositari del sapere, artefici e custodi del linguaggio, eroi della teoria vecchia e nuova, eletti che ricevono il bacio ardente della musa. E penso alla ferocia con cui Austen, con le sue sottogonne e i cappellini e gli amori spiati ad un ballo, colpiva il romanzo gotico, beffando fantasmi e stirpi maledette e tutti i precipizi, i lupi, i torrenti adorati da Horace Walpole.
Penso proprio a Marianne, quando dedica un elegia degna dell’urna di un eroe caduto alle foglie morte della natia Norland Park: “Con qual trasporto io le vedevo cadere! Come godevo, mentre passeggiavo, di mirarle roteare come una pioggia intorno a me, trascinate dal vento”. E l’addio a Norland? In originale, perché suona meglio: “Dear, dear Norland! (…) Oh! happy house (…) And you, ye well-known trees!”. Un capolavoro di sarcasmo.
Marianne, forse ancor più della Catherine di Northanger Abbey, è il tramite per sbeffeggiare l’ingrediente fondamentale del gotico. L’eroina. Bellissima, trepidante e ovviamente salvata da un eroe.
Qual è l’eroe che salva Marianne?. Willoughby. E quale il lupo, il mostro, il fulmine da cui la trae in salvo? Una caviglia slogata. E chi è l’eroe definitivo che la salva da una malattia (che poco eroicamente la risparmierà)? Il colonnello Brandon, quello col panciotto di flanella e i reumatismi.
E quale sarà la punizione di Willoughby? La morte? La perdita dei propri cari o, Dio ci guardi, della ricchezza? Nemmeno. Willoughby resta ricco e sposato con la donna che non ama. Elinor e Edward si accomoderanno in un’esistenza non agiata ma dignitosa, Marianne disporrà di maggior reddito con il suo colonnello, e di minori passioni.
Tutto torna, senza che l’ombra della malinconia oscuri la superficie dell’avorio. Austen si diverte, le giovanissime lettrici fanno spallucce e sognano un Willoughby mascalzone in giacca da cacciatore che le sollevi dal prato umido di rugiada dove sono scivolate.
ehi lipperatura questo assaggio è saporitissimo e mi viene voglia di dire Ne voglio ancora. c’è una cosa molto divertente, forse sprezzante, in Woolf (che di certo aveva uno scrittoio protetto dalla voci di fuori) e si legge in Orlando. Perché una donna che scrive un biglietto di auguri non è una donna che scrive. “senza odio, senza amarezza, senza paura, senza protestare, senza far prediche”. e senza parole. ci sono considerazioni di sé che forse hanno bisogno di tempo, come le pere sugli alberi.
ticordi quel film intitolato cold-comfort-farm dove una giovanissima fanciulla diceva di voler ricalcare le sorti di austen? era simpatico.
🙂
chi