MAN: Now, Marshall McLuhan–
WOODY ALLEN: You don’t know anything about
Marshall McLuhan’s work–
MAN: Really? Really? I happen to teach a class
at Columbia called TV, Media and Culture, so I think that my insights into Mr.
McLuhan, well, have a great deal of validity.
WOODY ALLEN: Oh, do you?
MAN: Yeah.
WOODY ALLEN: Oh, that’s funny, because I happen
to have Mr. McLuhan right here. Come over here for a second?
MAN: Oh–
WOODY ALLEN: Tell him.
MARSHALL McLUHAN: — I heard, I heard what you
were saying. You, you know nothing of my work. How you ever got to teach a
course in anything is totally amazing.
( da Io e Annie)
Bene, questa mattina leggo un’intervista ad Anna Oliverio
Ferraris a proposito del suo ultimo libro, Piccoli bulli crescono.
Permettete alla vostra eccetera di nutrire qualche piccolo dubbio a proposito
del rapporto fra i media e la nota psicologa: perplessità che risale al 2000,
quando, in pieno allarme anti-Pokémon, la medesima dichiarò ad un quotidiano
che l’uccisione a calci di un gattino da parte di un gruppo di ragazzi era da
attribuirsi ai malefici mostriciattoli giapponesi (il senso era: i Pokémon
vengono catturati attraverso una palla e sono simili ad animaletti. Ergo,
logica aristotelica vuole che i giovani teppisti avessero identificato il
gattino con un Pokèmon e ci avessero giocato a palla, tanto per emulare).
Comunque. Nella breve intervista le responsabilità del
bullismo vengono attribuite in primo luogo alla famiglia e alla televisione: per comprendere l’analisi fino in
fondo, ovviamente, leggerò il libro. Ma mi interessa il secondo e citatissimo
fattore, quello televisivo.
Anche perché, in fondo ad un vecchio post, trovo un
commento interessante, che riporto qui: viene da Paolo Landi, autore di questo
libro, su cui avevo espresso, all’epoca, le mie perplessità. Ma lascio la
parola a Landi medesimo e a quanto ha scritto ieri:
“Uno dei luoghi comuni che mi sono scordato di demolire
nel mio libretto "Volevo dirti che è lei che guarda te" (Bompiani,
arrivato alla 4 edizione!) è quello che dice: "I bambini imparano con la
tv cose diverse". I bambini con la tv imparano solo a comprare
(effettivamente, sì, è qualcosa di diverso di ciò che si impara o si imparava a
scuola). Poi i bambini imparano a ripetere i jingle e gli slogan della
pubblicità, le nuove "filastrocche" le definirebbe l’ottima e
speranzosa e moderna Loredana Lipperini (cara Loredana ti leggo sempre su
Repubblica e condivido quasi sempre le tue scelte ma che passo falso consigliare
quel brutto e disonesto libro "Tutto quel che ti fa male ti fa
bene"!!). Poi imparano a ripetere parole di cui non dovrebbero conoscere
il significato ("Comunista!", "Pedofilo!") e ha davvero
ragione don Milani quando diceva che un bambino che parla di cose più grandi di
lui è sempre un imbecille. Poi siccome guardano il National Geographic sanno
tutto delle foche nane ma se la maestra chiede loro di descrivere il gatto di
casa in un tema arrancano… Tempo fa ho incontrato Michele Serra che mi ha
detto: "Sai perché mi è piaciuto il tuo libro? Perché rilancia un tema,
quello della televisione, che credevamo di aver metabolizzato…E invece la tv
è sempre qui, sempre più inutile, sempre più brutta". Sono d’accordo:
bisogna smettere di parlare della tv (una cosa arcaica, antica, altro che
tecnologia!Una cosa fatta apposta per le classi meno abbienti e questo suo
classismo palese dovrebbe indignarci; non sono i figli della borghesia che
diventano obesi davanti alla tv: quelli sono pieni di amici, di sport, di
strumenti musicali da imparare…). C’è sempre qualcuno che mi commuove
ricordandomi che anche Adorno si sentiva più stupido quando usciva dal cinema
(effettivamente sì, ci si può sentire stupidi anche uscendo dal cinema…) e
che prendersela con il "progresso", il nuovo che avanza, è una
battaglia da retrogradi. A tutti consiglio di leggere Galimberti (Umberto)
sulla tecnologia usata come mezzo e la teconologia come "ambiente"
nel quale qualcuno (chi? provate a indovinare…) vorrebbe farci vivere. Ha ragione
Paolo Nori: dopo un po’ che si guarda la tv e si naviga su Internet ci sembra
che avremmo fatto meglio a fare un pisolino!”
E invece no: Paolo Nori non ha ragione. Fatta salva l’utilità del
pisolino, mi viene da chiedere se chi fa queste affermazioni abbia mai messo il
naso nel web frequentato dai ragazzi: quello – perdonate se mi ripeto fino alla
nausea – delle fan fiction e della scrittura condivisa, dell’informazione
scambiata attraverso i forum, della musica, e delle letture, consigliate e
commentate e analizzate spesso con una finezza che scrittori, critici e
titolati vari non hanno. E’ un web sommerso, quello a cui faccio riferimento?
Domanda disgustosamente retorica, mi rendo conto: sto parlando di YouTube, sto
parlando di fanfiction.net, di siti stravisitati e facilissimi da reperire (a
volerlo fare, naturalmente). E delle centinaia di migliaia di comunità di
adolescenti e preadolescenti esistenti nel web.
Già che
ci siamo, sono in disaccordo anche con il fatto che avremmo metabolizzato la
televisione, dal momento che non si parla praticamente d’altro. Certo, brutta è brutta:
quanto meno la televisione generalista, ormai (temo irreversibilmente)
incardinata all’Auditel e in nulla disposta a rischiare per un
periodo sufficientemente lungo da recuperare pubblico nuovo.
Ma non
c’è alcun bisogno di incitare alla rivolta anti-tv. In mancanza di
contenuti interessanti, giovani e giovanissimi li cercano altrove, e ne creano
di propri: su più mezzi, dimostrando per l’ennesima volta che i mezzi sono
neutri (e NON sono il messaggio, accidenti)
Piuttosto,
Paolo: è altrove che vanno cercate le minacce. Per essere esatti, è più
frequente che un’immagine distorta del mondo venga dalla carta stampata
(riviste, giornali, libri destinati ai ragazzi): la quale, però, viene
immancabilmente assolta per diritto divino.
Questa, sì, è una faccenda che abbiamo
metabolizzato: e anche male.
Cara Loredana, pur condividendo la tua crociata pro new media per ragioni estetiche e culturali, non sono poi così sicuro che la ricaduta educativa dei new media sia necessariamente positiva (Chi era quello che diceva che la tecnologia non è né negativa nè positiva né neutrale?).
Per il fatto stesso che vi siano prodotti destinati a target determinati, cioè per il fatto stesso che la macchina del consumismo ci segmenti e ci divida, l’immagine del mondo viene, più che distorta, frantumata. Questo vale anche per i media tradizionali, naturalmente, ma l’accelerazione tenologica non aiuta certo il dialogo fra le generazioni, soprattutto quando il terreno comune della cultura viene meno. Che le maestre dovessero sapere tutto di Pokémon o di Yu-Gi-Oh per poter parlare ai bambini senza essere considerate out, per esempio, mi sembrerebbe delirante.
Su un altro piano, che gli stessi raffinati mezzi o la stessa acuta consapevolezza possa essere rintracciata nelle fanfiction come in scrittori “certificati” dall’editoria mi sembra segno di qualcos’altro: dello spostamento a un piano puramente mentale della funzione della cultura. Forse è il passo necessario perché la vecchia scimmia balzi via dal pianeta che ha distrutto, avventurandosi nello spazio?
Caro Paolo, ovviamente alla tua ultima domanda non ho risposte. Però mi viene da contraddirti quando dici che la tecnologia non aiuta il dialogo fra le generazioni: io credo, al contrario, che lo favorisca, proprio perchè dà la possibilità di incontrarsi sullo stesso terreno. Quanto meno per conoscerlo.
Quanto alle maestre, intendiamoci: se si facessero una cultura su carte, giochi e anime, e lo facessero per seguire una moda, sarebbero delle imbecilli. Se lo facessero per cercare di capire in quali mondi si muovono i ragazzi, e quali precedenti culturali hanno quei mondi medesimi nei secoli passati, farebbero, semplicemente, il proprio mestiere.
Forse ho anche sbagliato i congiuntivi, lì sopra… dannato taglia/incolla! Gag a parte: non so se tracciare la genealogia dei GCC al mazzo di tarocchi Visconteo passando per Calvino e Osamu Tezuka (per dire) sia il modo migliore per “capire” Yu-Gi-Oh come fenomeno; delle sue ricadute positive al di là dell’aspetto commerciale possiamo parlare, ma del fenomeno commerciale non dobbiamo tacere. Il problema non è quello della “moda” delle carte, per esempio, ma del loro linguaggio, che può creare un ostacolo o un’enclave. Io la ricordo, l’estate-dragonball in cui i bimbi facevano i balletti urlando «fu-sio-ne!» Amavo Toriyama, prima.
Sulla tecnologia, ammiro il tuo ottimismo, ma constato che la tua posizione di “mettiamoci in gioco” è poco praticata. Così ammiro i settantenni che tengono un blog, ma non so se quello sia IL mezzo per incontrarsi. Meglio della metro pestandosi i piedi, però…
Loredana,
concordo con te quando parli della netraulità del mezzo, in quanto usati per trovare nuovi contenuti.
Dico che però ogni mezzo nuovo “sporca un pò” i contenuti con il risultato di portare in evidenza fenomeni fin qui celati.
Sono cmq strumenti che spiegano meglio.
E come te concordo che andrebbero saggiamente usati anche dagli educatori per capire i propri ragazzi.
ciao da lettore
Per spettatrice (vedi su altro post)
fortunatamente niente da celare, ma visto che ci siamo e visto che questo blog ha una sua serietà svelo la mia identità 🙂
dalla Treccani..
lettore: s.m. (f. -trice)[dal lat. lector-oris,der. di legere “leggere”, part.pass. lectus]. 1a: Chi legge, chi attende alla lettura o a una specifica lettura (spec. quando si voglia indicare l’impegno, l’attenzione,la dispsizione d’animo di chi legge, o l’assiduità alla lettura)…etc…
Non potrò mai ringraziare abbastanza l’amica che mi ha fatto conoscere questo blog.
Personalmente, pur accettando la tesi della neutralità del mezzo, ritengo che in questo momento la crescita dei nuovi media sia un fenomeno in assoluto più positivo che negativo, perché a prescindere dai contenuti che veicola (spesso palesemente fuorvianti, basti pensare a tutta la complottistica varia) sta permettendo un aumento esponenziale degli spazi e delle occasioni di dibattito, un po’ come i giornali nell’Ottocento [il che mi fa ricordare un pezzo di Eco in cui parlava dei nuovi mezzi come evoluzioni tecnologiche di mezzi ben più antichi della televisione]
@Paolo S. Tu scrivi “Io la ricordo, l’estate-dragonball in cui i bimbi facevano i balletti urlando «fu-sio-ne!» Amavo Toriyama, prima”.
Ma pur non avendo l’età anagrafica per constatarlo di persona, sono praticamente sicura che i ragazzini che leggevano l’oggi glorificato Salgari gridassero “All’assalto tigrotti della Malesia” o qualcosa del genere.
Qual è il problema? Che Dragonball è anche merchandising (e non soprattutto, anche)? Ma guarda che, fatte salve le proporzioni, già ai tempi del “Flauto magico” di Mozart le cronache si scandalizzavano perchè le viennesi volevano “la borsetta alla Papagena”…
Un saluto al saggio lettore e un benvenuto ad Anghelos: da quanto scrivi, è il caso di dire che il piacere è tutto della sottoscritta.
Sì, va tutto bene, concordo (parzialmente) con te. E’ che il paradosso per cui per acquisire una conoscenza del mondo ci si debba chiudere in casa davanti a uno schermo mi lascia perplesso. Leggevo un pezzo splendido di Jonathan Franzen (quello delle “Correzioni”) sul New Yorker in cui diceva, press’a poco (cito a memoria): “Cammino per le strade di New York e incrocio adolescenti tristi, spesso con lo sguardo a terra, pieni di protesi: l’auricolare del telefonino in un orecchio, quello dell’I-pod in un altro, un palmare in mano, a volte anche un videogioco…connessi con tutto meno che con se stessi e con il mondo”. Ora, noi crediamo che attraverso il Web il mondo sia ai nostri piedi, ci illudiamo di avere più possibilità di conoscenza…in realtà, chiudendoci in casa, chiudendoci al mondo che sta fuori, quello del nostro vicinato, del nostro quartiere, della nostra città e sedendoci davanti a uno schermo (che sembra collegarci con il mondo intero) noi perdiamo progressivamente la concretezza dell’esperienza, prima fonte della conoscenza. Crediamo di sapere tutto e non sappiamo più niente. Digitiamo “Divina Commedia” e vengono fuori 3 milioni di siti (il primo è la pubblicità di un ristorante al Ponte Vecchio a Firenze). Per farsene cosa? Bisogna aver avuto un’educazione umanistica per sapere che si deve digitare “Divina Commedia Gianfranco Contini” (faccio per dire) per andare sul sito giusto, altrimenti tutto quel carico di “conoscenza” che il Web sembra fornirti diventa inutile…Sento dei ragazzi dire “Mi sono scaricato 5000 pezzi sull’I-pod”. Ma per farsene cosa? Quando mai avranno il tempo di ascoltare 5000 pezzi? Dio, che illusioni, che mistificazioni, che stra-potere delle corporations che vogliono sempre venderci qualcosa e che ci fanno credere di essere degli sfigati se non abbiamo l’I-pod per scaricare 5000 pezzi…Che malinteso senso della modernità, cara Loredana, per cui si scambia la televisione con la tecnologia e Internet per la democrazia (non esiste dittatura più proterva del Web, pieno di agguati pubblicitari, di truffe mascherate da affari, di seduzioni da poveri…). O possiedi gli strumenti per usarla o la tecnologia ti userà rendendoti più schiavo di prima. Ricordi le prime televisioni commerciali? Le chiamavamo (che ingenui) “televisioni libere”: ci sembrava di essere più liberi e diventavamo sempre più schiavi del consumo e delle merci (quasi tutte di terza qualità) che quelle tv pubblicizzavano. E anche oggi sono i poveri che fanno i sacrifici per comprare la playstation e l’I-Pod ai figli. Tutto questo mi provoca una stratta al cuore. Ti abbraccio
Paolo
Vorrei intervenire anch’io, lettrice assidua ma “silenziosa” di questo blog…
I “media”, di qualunque tipo, non vanno certo demonizzati, non vedo un rapporto automatico tra violenza o stupidità della tv e violenza e stupidità dei giovani. Ma non penso proprio che la tv e neanche internet, da sole, possano migliorare la cultura o la sensibilità dei ragazzi. Secondo me i giovani che si scambiano scritture e recensioni (sono educatrice e conosco bene quel genere di siti) sono persone che amano già leggere e scrivere, ricevono stimoli culturali dalla famiglia, o riescono a carpirli, nonostante certi professori, dalla scuola (v. Margherita Ferrari, per dirne una).
Aggiungo solo una cosa: tra i ragazzini che seguo in un’attività di doposcuola quasi tutti hanno il telefonino ultimo modello; l’altro giorno erano intenti nella contemplazione di filmati pornografici scaricati da internet (finora l’avevo letto solo sui giornali). Mi sono sentita in dovere di fare un po’ di educazione sessuale: mi ascoltavano con un’attenzione mai vista prima, mi sono accorta che non ne sapevano niente, nonostante filmati di tutti i tipi; mi hanno detto che era la prima volta che una persona adulta senza arrabbiarsi e senza fare finta di niente parlava con tranquillità e precisione di questo argomento. Mi sembra abbastanza significativo.
Capisco il discorso e le preoccupazioni di Paolo, ma secondo me la situazione odierna va contestualizzata: non si può dire che internet e ipod abbiano sostituito mezzi che consentivano una maggiore relazione con il mondo esterno, perché prima di essi, cosa c’era? La televisione. Un’intera generazione (e per metà anche quella successiva, la mia) è cresciuta solo con il medium televisivo, e quindi priva del controllo delle fonti, della possibilità di scelta autonoma, e di dialogo con altri. Relativamente a questa situazione, i nuovi media peggiorano o migliorano la situazione? Secondo me migliorano.
Poi, sono d’accordissimo sull’esempio della Divina Commedia, ma anche in questo caso poniamoci la domanda: dieci anni fa un giovane cosa poteva fare per conoscere davvero Dante, al di fuori della scuola? Sicuramente non si poteva rivolgere alla televisione, al massimo poteva recarsi in una biblioteca pubblica, cioè ad un luogo dove il mimino che poteva capitargli era di vagare smarrito tra decine di libri senza nessuno che lo aiutasse ad orientarsi.
Quello che intendo dire è che di sicuro è necessario un approccio critico per utilizzare le tecnologie e non diventarne schiavi, ma questo vale per tutti i mezzi di comunicazione, non certo solo per i nuovi: i giornali cartacei sono “tecnologia” né più né meno dei computer, e già Italo Calvino, nelle Cosmicomiche lamentava la loro intrinseca illeggibilità, che è lo stesso difetto che ora si attribuisce alla rete. Secondo me, a parità di bagaglio culturale di partenza e di attitudine critica, i nuovi media possono avere un effetto migliore di quelli esistenti. E dirò di più, penso che anche per chi non ha nessuna conoscenza di partenza l’uso di internet, dove è facile trovare in pochi minuti opinioni contrastanti su stessi fatti, aiuta a sviluppare se non un pensiero critico, almeno un po’ di sano scetticismo.
Dragonball. Un mio amico più fortunato sull’altipiano l’aveva visto su chissà che canale che la mia antenna di città non riceveva. Ero già al liceo quando ho visto la prima puntata in replica. Meravigliosa: poetica e spritosa, ricca di invenzioni divertenti, agganciata al mito dello scimmiotto. E con molte strizzate d’occhio al kung-fu. «Ah, la posizione di Jamcha il predone… perché va in arciere negativo, prima di lanciarsi in corsa?» «Hai visto l’allenamento del genio della tartaruga?» ecc ecc ecc. Poi, a metà di una sotto-saga, le trasmissioni si interrompono.
Passa qualche tempo (anni temo), e Dragonball arriva su Italia uno. Serie dopo serie, il disegno si fa meno morbido, il combattimento prende il centro della narrazione, i personaggi perdono spessore, le trame si fanno ripetitive, l’umorismo fiacco. Peccato. Ma mentre qualcuno si disaffeziona, il fenomeno esplode, bambini che invadono le edicole, studenti in Erasmus che perdono lezioni magistrali (esagero di poco) per restare a vedere cosa accade nello scontro tra Gohan e Vegeta. Ne parlo con l’informatissimo amico Otaku, che mi dice «Ah, ma è successo anche al manga. Sono state le valanghe di lettere alla testata che hanno forzato l’andamento della serie. Il manga è stato pubblicato per ben 11 anni! E comunque, in Dragonball GT [la serie più centrata sul combattimento] Toriyama neanche centra». Ecco, appunto. Io amavo Toriyama prima di tutto questo, urla di fu-sio-ne incluse. Non credo sia una posizione da “aimieitempi”.
Fatte salve le proporzioni (ma io qui parlerei di fenomeni di scala), mi pare che Mozart (di cui ignoro tutto) non abbia scritto “Il flauto magico Z”, in cui piegava azioni, musica e poetica al volere di un pubblico tutt’altro che attento e sensibile. Che, vi immaginate Sclavi che trasforma Dylan Dog in un giustiziere splatter senza dilemmi morali per compiacere il pubblico? Ci sono autori e idee che sanno reggere il rapporto con il mercato e la serialità con classe senza diventare troppo banali di nicchia (capita a Rumiko Takahashi), altri che purtroppo soccombono. A proposito, mi pare di ricordare che o del Werther o dell’Ortis (ehm!) esista un seguito. Naturalmente apocrifo. Vale come precedente?
Paolo, non posso che dirti: dipende. Dipende da chi sei, da come ti hanno formato a casa e a scuola, dipende cosa ti hanno trasmesso per imparare a maneggiare tutti i media, come ricordava giustamente Anghelos (che ha perfettamente ragione sul fatto che Internet fornisce comunque delle possibilità in più per chi deve partire da quasi zero).
Il punto è che a generalizzazione può corrispondere generalizzazione: come descriverebbe un adolescente Jonathan Franzen (che pure amo)? Forse come un signore triste che ama discutere con altri signori tristi (e molto spesso i letterati lo sono, con l’aggravante del narcisismo e dell’autoreferenzialità)?
La domanda resta quella: se invece di chiudersi ad autodifesa, chi vive solo off line cercasse di capirne di più? Anche perchè scoprirebbe che truffe e seduzioni pubblicitarie colpiscono molto poco i ragazzi e molto di più gli adulti: che non sono abituati a scambiarsi opinioni e a mettersi in guardia vicendevolmente.
Il web non è il migliore dei mondi possibili, non fosse altro perchè è fatto dagli stessi esseri umani che calpestano la strada. Ma offre più opportunità di capire: non foss’altro perchè puoi incrociare la stessa notizia con altre fonti. E ti assicuro che i ragazzini lo fanno.
Poi, certo, ci sono anche gli accumulatori, i poveri di spirito, i techno-collezionisti: ma da chi hanno imparato? Colpa della televisione, del web o, anche, per citare Ammaniti, di adulti che occupano il tempo libero al centro commerciale?
La risposta precedente era per Paolo Landi 🙂
E a questo punto, a questo dipende che rimette in gioco la scuola e la famiglia che ti forma prima dei media di cui fruisci (e non “che consumiI”), aspettiamo la tua lettura del libro della psic.
Ilaria, sei ammirevole. Sinceramente!
Sono un’insegnante e la discussione mi interessa, anche perchè ognuno di voi dice delle verità incontrovertibili.
Nella mia esperienza giornaliera, il problema non è tanto che i bambini vengono a scuola con i Gormiti (altro che Dragonball, siete rimasti indietro!) o le Winx, il problema vero è che ci giocano tre minuti al massimo. Starebbero delle ore invece con una pista e le macchinine, o se andiamo in giardino scavano buche e fanno matrimoni e funerali ai poveri lombrichi che ci capitano almeno una mezz’oretta di fila.
Questo per dire che i bambini sono bambini, è cambiato il mondo intorno a loro, ma non loro. Lo stesso vale per i ragazzi e gli adolescenti. Chi di noi a 16 anni non girava per la città ad occhi bassi con quella tristezza che solo a 16 anni sappiamo provare? Facevamo gli adolescenti, che altro devevamo fare? Adesso cambia qualcosa se un ragazzo cammina a testa bassa con l’i-pod o senza? La televisione fa schifo e sono d’accordo, ma vi assicuro che fa molti meno guai di quello che sembra, tutto dipende dall’ambiente culturale familiare dove certi programmi sono scartati a priori.
I veri guai li fa nelle tasche delle mamme e dei papà.
Grazie, Paolo, faccio solo il mio dovere. Ovviamente, come te, penso anch’io che siano fondamentali scuola e famiglia. Noi educatori parliamo di sistema formativo integrato per dire che è necessaria un’alleanza e un’integrazione tra scuola famiglia e mass media. Internet da solo non fa miracoli. Io frequento molto internet, ma internet, come la tv, non rappresenta affatto la realtà giovanile nel suo complesso. Ne rappresenterà una parte, forse quella più sveglia, attiva o “sensibile”, non so. La realtà che mi trovo di fronte presenta spesso “emergenze” molto lontane da questi nostri discorsi.
Devo una risposta a Paolo S.: affronti un problema che magari potrà sembrare di nicchia, ma che invece è uno specchio molto interessante di come ci si rapporta alla famigerata popular culture in Italia. Credo che moltissimi appassionati di manga si siano ormai rassegnati all’incompetenza con cui Italia 1 tratta le serie animate provenienti dai medesimi, mischiando anime riservati a diverse fasce d’età e forzando la mano per non incorrere nelle ire delle associazioni dei genitori (puoi averne un esempio con l’attuale Naruto, che è stato edulcorato ai massimi livelli: solo che invece di fare la scelta che fa Mtv con Anime Night, che propone prodotti non riservati ai bambini senza tagli, Mediaset preferisce massacrare l’originale per sfruttarne il merchandising). Ma coloro che si appassionano realmente ad un prodotto, scavalcano la televisione e vanno a cercarselo, senza censure, direttamente sul web. E, volendo, lo rielaborano a loro volta su YouTube, trasformando la storia a proprio gradimento attraverso montaggio e musiche. A volte, anche a dispetto dell’autore.
E se Dragonball sembra il simbolo dei mala tempora dove l’autore medesimo si piega al mercato, pensa ancora a Mozart: che cambiò il finale di Don Giovanni per la prima rappresentazione viennese per venire incontro ai gusti del pubblico, diversi da quello di Praga…senza che i musicologi, oggi, si scandalizzino per questo…
La melanconica compulsione a demonizzare qualsiasi novità, sia culturale che tecnologica, è un’afflizione endemica della razza umana. Ma contrastarla si può (e si deve). I nuovi media sono un’opportunità da non perdere.
P.S. La citazione da “Io e Annie” è una delle mie preferite, tempo fa l’ho fatta anche su Lipperatura 😉
gli utenti di internet sarebbero introversi solitari, e incapaci di intrattenere relazioni nel mondo reale.
Ecco la mia piccola esperienza personale.
Ero introverso nel ’92. Non c’era internet e io ero un diciottenne. A qualche anno di distanza, faccio parte di un gruppo di quindici lettori che si incontrano su internet. Vi dirò, ogni tanto ci incontriamo anche fuori, in posti reali tipo trattorie sull’appennino tosco emiliano. Credete stiamo zitti perché nessuno ha un pc davanti? credete che ci saremmo potuti incontrare senza web?
quando leggo affermazioni come *dialogo tra generazioni* francamente mi viene la pelle d’oca. ma di cosa dovrebbero dialogare le generazioni? ognuno cerca il proprio simile, le quindicenni giustamente stanno con le quindicenni! un adolescente è introverso per definizione: l’importante è ricordarsi di essere stati anche noi adolescenti. parlando poi di web: non è nè un mostro da demonizzare nè la nostra ultima salvezza. è vero: è una grande opportunità. ma senza fatica non si arriva da nessuna parte: io ho imparato ad usare internet, e, giuro!, esco anche di casa qualche volta!
s.
Apocalittici o integrati?
Ogni volta che nasce un nuovo media di massa, schiere di intellettuali si pronunciano pro e contro, temendo (o sminuendo l’ipotesi de) l’appiattimento dei cervelli della gente, soprattutto quelli malleabili dei più giovani.
“1984” di Orwell nasce proprio da teorie apocalittiche: i media ci domineranno, che rifletteva gli studi dei francofortesi.
Ora, la realtà è che nessun media è mai riuscito a plasmare il cervello di chicchessia, perché siamo troppo evoluti, creativi e complessi per permettere che avvenga una cosa del genere.
La rete poi è differente perché è un media che tende ad una comunicazione orizzontale piuttosto che verticale – il che è solo un bene.
Morale della favola: secondo me ha ragione Loredana Lipperini, quando va contro le tesi apocalittiche di qualcuno.
Anche se ci sono dei limiti. Uno di essi è l’atomizzazione: Internet può essere un’esperienza molto solitaria, cosa che non appartiene a tv e radio, i cui contenuti, per quanto brutti, vengono fruiti da milioni di persone allo stesso modo e dunque sono per definizione condivisi.
Sulle nuove generazioni, mi permetto di portare un esempio. La sorella della mia ragazza ha vent’anni: classe 1987.
Fa una scuola di moda, viene da una famiglia di gente mediamente colta. Guarda molta Tv.
Pur non essendo una stupida, per lei contano tantissimo la fama e i soldi.
E’ una grande appassionata dei programmi della De Filippi e io per lei sono una specie di mito perché faccio delle piccole cose per la Tv. Ogni volta che mi vede mi chiede: “sei diventato più famoso?”
E lei ha degli ottimi esempi familiari, persone intelligenti e accorte, che s’interessano di politica e leggono i giornali.
Quello che credo è che certa Tv dia veramente un cattivo esempio alle nuove generazioni. Certe volte anche a scapito della buona educazione ricevuta.
Cara Loredana, oggi da accordo preso Biondillo ha postato su NI un mio raccontino omopornosoft – solo che ne ha tagliato ben 3 righe: cosa pensi?
Dario Borso
Abbiate pazienza: ho sbagliato post.
db
Paolo Nori è il membro più attivo di questa aristocrazia del “pisolino” che francamente è davvero una perdita di tempo, lui, il pisolino, e l’aristocrazia. quanti libri ha scritto questa settimana?
La Oliverio Ferraris non è mai stata una cima. Era professoressa di Psicologia dell’Età evolutiva già negli anni ’70, quando frequentavo la facoltà di Psicologia a Roma e non ha mai brillato per acume…
W.