AH, LA MIA LISTA DOMAN MATTINA

So bene che ci sono molti argomenti di cui parlare, in questo piovoso lunedì. Ne scelgo uno forse inaspettato, e spiego perchè. Qualche giorno fa sono capitata sulla pagina di Writer’s Dream, sito e forum che si devono a una ragazza ventenne, Linda Rando, e dove si parla attualmente di scrittura. Writer’s Dream, però, si è fatto conoscere per aver pubblicato, su segnalazione degli utenti, una lista degli editori a pagamento e a “doppio binario” (parte del catalogo è free, parte viene pubblicata con contributo dell’autore). Ebbene, entrando nel sito, non ho trovato più la lista. Ho trovato, invece, un’ammissione di sconfitta da parte degli amministratori: troppe minacce, troppe querele annunciate. Via la lista.
Così, ho deciso di pubblicarla io: la trovate fra le pagine di questo blog così come mi è stata fornita. Sono contraria all’editoria a pagamento: in particolare, trovo che sia un boomerang per lo stesso editore che sceglie il doppio binario. Comprensibilmente, per far quadrare i conti: ma ritengo che almeno sia corretto sapere, per l’utente, chi attua questa pratica, in modo che possa decidere in piena libertà se essere un autore che paga per pubblicare (sapendo che attualmente è molto più economico autopubblicarsi in ebook) o un autore che viene pagato, come dovrebbe essere.

95 pensieri su “AH, LA MIA LISTA DOMAN MATTINA

  1. Leggo: “Sollecito firma per un libro negli Usa. Dopo l’assoluzione ha cominciato a scrivere le sue memorie”. Quanto ad Amanda Knox, ha potuto permettersi lo stesso agente letterario del presidente americano Barack Obama. Insomma la scorciatoia migliore per impressionare gli editori NON A PAGAMENTO, per un coltivatore di writer dreams, pare quella di restare coinvolti (a torto o a ragione) in qualche delitto importante. Lo sappia la sua amica.

  2. Alt, Opinionista (ma ho una vaga idea della persona con cui sto parlando, e che al nome “Linda Rando” scatta come il cane di Pavlov). Non mi legano rapporti di amicizia con la suddetta, ma solo di rara frequentazione on line e di stima per il lavoro fatto sull’editoria a pagamento. Lei mente, forse non sapendolo e non volendolo sapere: il catalogo degli editori free non è fatto solo di immondizia e memoriali. Gli editori hanno bisogno di autori e leggono i manoscritti. Può capitare che scartino un testo dignitoso. Molto spesso, se devo giudicare da quel che arriva a me, arrivano testi dove ortografia e grammatica non sono di casa. Ad ogni modo, io non stigmatizzo nulla: ognuno è libero di scegliere. Sapendolo.

  3. mi chiedo perché quanti pubblicano a pagamento si risentano di essere considerati autori che hanno pubblicato a pagamento, così come gli stessi “editori” (le virgolette sono d’obbligo): se considerano la cosa opportuna e non stigmatizzabile, siano coerenti con le loro scelte fino in fondo e non minaccino o impediscano la legittima diffusione delle informazioni.

  4. Ho parlato di ‘scorciatoie’. Per chi ha pazienza, è vero, c’è anche la via normale di cercare di soddisfare i gusti – perfettamente soggettivi e mai scientifici – dei responsabili di collana. Nel gran mare delle pubblicazioni inutili, può sempre capitare che la faccia franca anche qualche buon libro.

  5. Il problema, Opinionista, è proprio la fretta. Non riesco a capire perché un libro debba essere pubblicato a tutti i costi, subito, in questo momento. Esistono scrittori che hanno aspettato anni, lavorando, intanto, al testo per migliorarlo. Pubblicare non è uno status. Non è una medaglia da appuntarsi sul petto. Se deve essere un atto di narcisismo, è corretta la definizione di “Vanity Press” che altrove si dà all’editoria a pagamento. Basta ammetterlo, come dice Seia. Nessuna critica, nessun anatema.

  6. Credo che l’autore che pubblica a pagamento dovrebbe accettare l’idea di muoversi nell’ambito dilettantesco e che sia dovere delle case editrici a pagamento non illudere lo scrittore su questo punto.

  7. Il problema è che l’editore a pagamento concentra proprio la sua condotta sull’illusione dell’autore di essere pubblicato, ossia alimenta quella falsa speranza di “pubblicazione” che, oltremodo, è in verità soltanto una proiezione dell’autore stesso di raggiungere la fama.
    Fare leva su quella debolezza, chiamiamola così, è facile. Il marcio parte dalle motivazioni della scrittura, tutti ci provano, e a volte a lor signori non gliene frega proprio niente dell’opera in sé, pur essendo la loro, vogliono raggiungere a tutti i costi la “gloria”, vivendo di autografi. Su tale base posso aprire anche io una casa editrice a pagamento, limitandomi soltanto a semplici servizi tipografici, e facendo sana manipolazione.
    Lo scrittore ha anche una sua responsabilità.

  8. Chissà perché quando, poco tempo fa peraltro, su quel sito appariva la pubblicità di una casa editrice a pagamento, (la youcanprint) le Sue argomentazioni nei confronti di chi lo ha fatto notare erano ben diverse.

  9. Mario Borghi, mi dispiace ma non dò spazio a persone che hanno rancori personali e annosi nei confronti di chicchesia, che inviano messaggi privati a un folto gruppo chiedendo di prendere posizione contro Writer’sDream, come lei ha fatto e fa. Youcanprint fa self publishing, non editoria a pagamento. E’ equiparabile a Lulu, e non manda mail scrivendo “abbiamo valutato positivamente il suo manoscritto etc.etc.”.

  10. Mi dispiace per questa scelta, ma posso capire la pressione psicologica a cui la Rando era sottoposta. Stavo proprio cercando questa lista per confrontarla con quella degli standisti della fiera Più libri, più liberi.
    Di questa lista se ne dovrebbe fare una versione pdf scaricabile e facilmente condivisibile.

  11. Sono molto contenta di questa vostra scelta e vi ringrazio (da misera utente aspirante scrittrice) per aver ripreso l’iniziativa che il Writer’s Dream era stato costretto ad abbandonare. Che dire, sono d’accordo con Mirco per quanto riguarda un bel pdf scaricabile 😛 per quanto riguarda la polemica sull’editoria a pagamento, io credo che ognuno dovrebbe poter decidere di propria responsabilità quale strada seguire per la pubblicazione di un libro. Inoltre, non riesco a capire che senso avrebbe per una C.E. prendersela tanto per essere finita nella lista di quelle a pagamento, non è mica diffamante per legge o.O oltre al fatto che, se lo dicono anche loro, perché non dovrebbe dirlo qualcun altro facendo solo buona informazione? 😛 ah, queste code di paglia!

  12. La lista doveva continuare ad esserci; esempio: io sono in cerca di un editore trovo quell’elenco e poi mi regolo di conseguenza se voglio pubblicare a tutti i costi e posso permettermelo mi faccio pubblicare con miei soldi. Poi personalmente (collettivamente) non condividiamo, ma ognuno è libero di farlo, magari senza pretese letterarie alte. Anche in fiera in effetti c’era una miriade di stand che campa su quel sistema lì

  13. Fabrizio le motivazioni di chi scrive possono essere le più disparate, tuttavia guadagnare soldi giocando su un equivoco non va bene, sei d’accordo?
    Se l’editore, che dovrebbe essere uno che ne sa, non ti dice chiaramente che loro pubblicano tutto basta che paghi, ma millanta di credere nel tuo manoscritto ecc… e poi ti chiede un contributo dando a intendere che si prodigherà per editing, diffusione e promozione della tua opera come farebbe un editore che lo deve davvero vendere se vuole guadagnare, per me gioca proprio sull’equivoco.
    In questo caso non mi interessa se l’aspirante scrittore è un pirla megalomane, è un consumatore che compra un servizio, e chi lo vende deve essere chiaro su cosa vende, proprio come chi vende viaggi o corsi di danza.

  14. Cara Loredana, vorrei che questo tuo gesto di raccolta di un’eredità rendesse visibile fino in fondo il lavoro prezioso di Linda Rando. Ogni forma di editoria a pagamento, inclusa la possibilità del fai da te, satura il mercato librario, squalifica la competenza dei lettori esperti, riduce le case editrici a tipografie e abbassa la qualità dei testi. Difendere la bibliodiversità, quindi l’offerta diversificata di libri, significa difendere il lettore che merita pagine di qualità sulle quali crescere, libri non omologati a un pensiero dominante, e autori selezionati per talento e non per narcisismo. L’editoria a pagamento uccide il lavoro della micro-editoria che potrebbe ancora tentare strade alternative nella ricerca del libro come valore etico ed estetico e non come status symbol.

  15. E gli editori di saggistica che pubblicano a pagamento – anche se non sempre diretto dell’autore ma con contributi del dipartimento universitario? Questo tema è affrontabile. Non è mia intenzione cambiare discorso – e se sono troppo OT, Loredana cancella pure il post. Tuttavia anche quella non è buona politica editoriale, credo.

  16. Cara Loredana,
    nella lista degli editori da evitare c’è un grande assente: l’Aracne, casa editrice a pagamento della peggior specie.
    L’aspirante scrittore che desideri veder pubblicata la sua opera infatti non metterebbe il suo manoscritto in mano a professionisti del settore ma pagherà solo per il mero lavoro di impaginazione e stampa (peraltro di pessima qualità). La casa editrice infatti non è dotata di una redazione qualificata, incapace di un qualsivoglia lavoro di editing e di individuare i più banali refusi.
    Soprattutto da evitare per tutti coloro che amano i libri e sognano di lavorare nell’editoria: giovani redattori tenetevi alla larga! Le storie più incredibili sulle pessime condizioni di lavoro provendono proprio da questa azienda, una tipografia più che una casa editrice, in cui mancano le cose più elementari (luce, corrente e riscaldamento) e i lavoratori subiscono un pesante mobbing e minacce di ogni tipo.

  17. Grazie. Grazie a chi, in questi anni, si è dedicato a questo lavoro IMMANE. Grazie a chi per ogni “grazie” ha ricevuto 10 “ti denuncio”. Grazie a chi ad ogni “ti denuncio” ha risposto “fallo!” e grazie a chi, immagino con grande amarezza, alla fine non se l’è più sentita. Grazie quindi a LInda e al suo staff.
    Infine grazie a Loredana, che si è presa carico do questa questione senza che ci fosse dovuto.

  18. Io credo che questa faccenda dell’editoria a pagamento sia dannosa anche perché annulla in un magma indifferenziato tutto ciò che viene pubblicato dalle piccole case editrici, impedendo all’editoria indipendente di essere presa sul serio da lettori e giornalisti, vanificando lo sforzo di chi si assume il rischio di impresa e degli scrittori che sono tali. Il motivo della lista a mio avviso non deve essere la denuncia ma l’informazione anche per il lettore

  19. Un editore serio, degno di questo mestiere non può pubblicare a pagamento spacciando questo servizio come editoria.
    Pubblicare a pagamento e’ un servizio peraltro onorevole, anche il gruppo La Repubblica ne ha uno ( il mio libro) che mi sembra funzioni bene ed e’ chiaro e trasparente. Ma e’ un’ altra cosa, un servizio editoriale per l appunto. Ben venga quindi la lista per fare chiarezza ed eliminare le troppe zone d ‘ombra mettendo a nudo i tanti furbacchioni che sulla vanità altrui lucrano spregiudicatamente. Io da oltre un ventennio faccio l ‘editore musicale e nel nostro settore, peraltro ormai a rischio di estinzione, e’ la stessa cosa.
    Cari saluti
    M.

  20. E scusate poi mi domando. Se entrate in libreria trovate i soliti 40 autori da dieci anni. I soliti nomi e i soliti libri. Avete visto le classifiche dei libri più venduti in Italia: Fabio Volo, Littizzetto, Parodi, etc?
    Di cosa stiamo parlando se non esistono più i grandi editori che scandagliano il settore e propongono il nuovo?
    Avete letto le ultime grandi uscite di autori italiani (pochi, perchè gli stranieri VENDONO di più e costano di meno)?
    Perdonatemi ma se Mondadori, Einaudi, Feltrinelli e via discorrendo non aprono ai giovani emergenti non possiamo mica costringere la gente a smettere di scrivere. Non so. Mi sembra un imbuto intasato dall’alto. Troppi cattivi maestri.

  21. Cara Loredana,
    il post (e la lista) sono interessanti.
    Non ritengo l’editoria a pagamento una cosa scorretta e “da sputtanare” come potrebbe sembrare da questo post e da alcuni commenti.
    Nel caso di case editrici a pagamento di narrativa, la cosa se vuoi è un po’ triste e di certo non si tratta di un business entusiasmante né della stamperia di Manuzio: tuttavia, alla fine, di per sé non c’è niente di scorretto in una attività del genere (peraltro chi pubblica a pagamento è spesso “punito” da bassa qualità, distribuzione inesistente o semplicemente dal “marchio” dell’editore stesso).
    Nel caso di editori scientifici, nella lista vedo ad esempio Armando, il contributo alla stampa da parte dell’autore o di suoi sponsor è spesso inevitabile per libri che, pur validi, non potrebbero mai e poi mai reggersi da soli.
    Pensa che il contributo è chiesto anche da alcune prestigiose University Press internazionali (forse anche da tutte, non le conosco tutte quante “dal di dentro”), da diversi piccoli e medi editori italiani di tutto rispetto che chi compra e legge saggistica di certo “frequenta”, da editori sempre italiani grandini (uno inizia per D., uno per M. e ha l’articolo davanti) o grandissimi (per esempio una famosa casa editrice il cui nome inizia per L.). Non è che sono dei banditi, e del resto se io mando le mie memorie alla L. di certo non me le pubblicano manco se gli do un miliardo di euro: tuttavia, senza contributo alla stampa, non avremmo fondamentali (non è ironico) monografie su argomenti tipo, non so, l’antropologia del vampiro o l’esegesi biblica.
    Tutto un altro discorso andrebbe fatto per case editrici di veri banditi e farabutti che non pagano i collaboratori, costringono i dipendenti o gli aspiranti dipendenti a turni assurdi in luoghi disumani ai limiti della legalità (o forse oltre i limiti) e pubblicano a pagamento senza nessun criterio di qualità.
    Il nome di una di queste case editrici – non lo faccio io – è presente in questa pagina. La ciliegina sulla torta è che chi si rivolge a loro per i primi contatti (o per proteste) riceve la risposta di un dirigente INESISTENTE.
    La vergogna in questo caso non è che si paghi per pagare, ma che i soldi di chi paga vanno ad alimentare questo traffico criminale.
    Il mio indirizzo e-mail credo tu lo veda per eventuali approfondimenti.
    Grazie mille.

  22. Cara Loredana,
    non condivido la posizione di quanti si scandalizzano di fronte all’esistenza degli editori a pagamento: un libro non è di per sé un oggetto sacro ma un prodotto a tutti gli effetti, che come tale risponde alle regole di mercato e a logiche di cui tutti coloro che vagheggiano romanticamente un’editoria che faccia veramente cultura negano l’esistenza. Come dice giustamente Rawls qui sopra, il mitomane con il romanzo nel cassetto, qualora voglia soddisfare la propria vanità pubblicandolo, avrà un prodotto finale di scarsissima qualità, buono al massimo per circolare tra i propri conoscenti.
    Mi sembra invece che valga la pena di approfondire in una sede come questa, frequentata da professionisti e appassionati del mondo editoriale o aspiranti scrittori certamente sensibili a certe tematiche, un argomento sollevato già da alcuni commentatori, cioè di quali siano le condizioni di lavoro imposte ai collaboratori da certe case editrici che a fronte di un vero e proprio sfruttamento possono offrire condizioni molto vantaggiose a chi voglia pubblicare con loro. E’ una situazione nota a molti, ben più immorale della richiesta di un contributo per la pubblicazione di un libro che non interesserà mai a nessuno.

  23. @Lea il punto non è l’editoria a pagamento (si chiama *tipografia* ed è assolutamente legittima) ma quando l’eap si spaccia, confidando sull’omertà dell’autore gabbato, epr editoria vera e propria. C’è poi il capitolo print on demand, altra questione connessa ma diversa.
    Sulla university press concordo con Rawls in quanto molti testi monografici (di grande qualità) per ovvie ragioni non possono sostenersi con la semplice presenza sul mercato.
    Visto l’interesse che scatena la questione, mi permetto di rilanciare il pezzo, già linkato in passato qui, che scrissi in merito assieme a Carbone, Raveggi e Vasta: http://www.nazioneindiana.com/2011/10/30/una-questione-di-qualita-2/

  24. Siamo contrari all’editoria a pagamento, non sappiamo come writer’s dream abbia deciso di catalogarci come editori a pagamento ma, ripeto, siamo ben lontani dalla logica del ricevere soldi da chi pubblichiamo 🙂

  25. Francamente non capisco. Avevo letto la lista su writer’s dream e, di fatto, tutte le case editrici citate come a doppio binario o a pagamento, lo erano. Ora mi chiedo: perché minacciare? Se sei una casa editrice che ha fatto la scelta di far pagare i propri “scrittori” perché poi minacci chi rende pubblica la tua scelta? Insomma c’è una grande ipocrisia di fondo. Anche nel passato ci sono stati autori e autrici che hanno pubblicato a pagamento e poi hanno avuto grande successo o, almeno, hanno cominciato poi a pubblicare per case editrici non a pagamento. Un autore che decide di pubblicare a pagamento lo fa per mille ragioni: per pigrizia, perché ha trovato tutte le porte chiuse, perché le case editrici grandi non hanno creduto nel suo lavoro, a causa di un enorme ego o, semplicemente, perché crede nel proprio lavoro. Come libraio posso dirvi che alcune delle case editrici della lista hanno una distribuzione scarsissima o nulla, non fanno promozione, incassano i soldi e lasciano l’autore o l’autrice da solo/a. Altre pubblicano qualsiasi cosa gli arrivi pur di fare cassa. Altre ancora fanno pagare i libri in cui non credono per poi pubblicare, con i soldi incassati, quelli in cui credono. E non sto dicendo sia giusto. Credo che la cosa migliore sia la consapevolezza, se fai determinate scelte poi non te ne devi vergognare e non ti puoi aspettare nulla dalla casa editrice che ti ha pubblicato per soldi. Siamo nel 2011, quasi nel 2012, l’ingenuità va bene ma oggi esistono mezzi per informarsi e capire come vanno le cose.

  26. la lista eap originale rimandava non solo ai nomi degli editori ma anche a thread dove i gabbati riportavano (e quindi provavano) la fregatura… sarebbe utile “salvare” anche tali post, se possibile.

  27. Scusate se torno sulla saggistica – ma non concordo. Spesso i volumi – e ripeto spesso non sempre – sono finanziati attraverso i dipartimenti con il tacito accordo che l’autore (docente) adotterà il testo stesso. Le University Press di stampo anglosassone fanno un altro lavoro, hanno fior di comitati scientifici e una discreta distribuzione. Per altro per pubblicare con loro non è affatto sufficiente essere un docente di quella Università. In Italia il mercato è distorto: si pubblica qualcosa di buono e un sacco di immondizia. Quindi, credo, che un certo lavoro di trasparenza debba essere compiuto anche in quel giro editoriale. Per chi poi si occupa di argomenti di super nicchia mi risultano esserci svariate riviste.

  28. Da aspirante scrittrice posso solo dire che fare informazione contro la “vanity press” è una delle cose più importanti quando si parla di editoria. Io nel mio piccolo faccio quello che posso, quando qualcuno mi dice che ama scrivere chiarisco subito questa questione.
    Non sono d’accordo con chi afferma che uno scrittore vanitoso si debba “lasciare al suo destino”, per il semplice fatto che secondo me un buon 90% degli autori che pubblicano con Gruppo Albatros e affini lo fanno per ignoranza, dunque se si informassero prima eviterebbero questo errore buttandosi magari su un print on demand o su una casa editrice free. Ho conosciuto autori che dopo aver pubblicato a pagamento si sono pentiti, e sinceramente non me li sento di condannarli per un errore (certo, se poi uno persevera è diverso).
    In conclusione, ben vengano queste cose, un’informazione in più sugli EAP non è mai sbagliata. Chissà che un giorno non si riesca a parlarne seriamente anche in televisione.

  29. Mi sento di intervenire perché ho esperienza di pubblicazione a pagamento.
    La mia, purtroppo.
    E se posso darvi un consiglio spassionato, BEH, NON AFFIDATEVI ALL’EAP!
    E non perché è “vanity press”, e non perché è una scorciatoia. Ma perché il vostro libro POTREBBE NON ESSERE DISTRIBUITO.
    Vi racconto la mia esperienza, che riguarda una sola CE e quindi non pretende di coprire tutti i casi.
    La casa editrice con la quale ho pubblicato fa una pessima distribuzione, e non parlo solo di librerie fisiche (su quelle non ci ho mai sperato), ma anche di quelle on-line. Se uno vuole comprare il mio libro, beh… non può. O quasi. Il mio romanzo si trova solo nel canale IBS; LibreriaUniversitaria lo mette in catalogo ma poi, dopo lunga attesa, annulla l’ordine; stessa cosa Amazon. (Prove che ho fatto io dopo alcune segnalazioni di lettori.) Ho provato a ordinarlo dal mio libraio di fiducia, di quelli che ti trovano anche l’impossibile… beh, ha dovuto mandare due mail alla CE/distributore, e infine ha dovuto telefonare, per farsi spedire le copie richieste. Immagino che, se non fosse stato spinto da me, avrebbe mollato alla seconda mail.
    La fregatura è che io mi sentivo furb* (sic!). Perché il contributo che mi è stato chiesto era minimo, dietro a una tiratura (dichiarata) di 1000 copie. Ho pensato: perché dovrei sbattermi ad autopubblicare quando fanno tutto loro? 1000 copie, caspita! Non si rifondono certo con i miei 500 euro. Ragionamento che non fa una piega, giusto? Peccato che, visto che non distribuiscono, non pubblicizzano, non editano, probabilmente quelle 1000 copie esistono solo sul contratto. E nei miei sogni, of course.
    Il mio consiglio per chi vuole pubblicare a pagamento: provate ad acquistare qualche libro del catalogo della CE che vi fa l’offerta, e verificate se fanno una distribuzione degna di questo nome.
    Perché se non la fanno, il motivo, IMHO, può essere uno solo: a loro non interessa vendere le copie (che forse neanche esistono).
    Ragazz*, è meglio autopubblicare con ISBN e poter vendere il proprio libro sui cataloghi on-line, che dichiararsi pubblicati da una CE che poi terrà in ostaggio i diritti del vostro libro fino allo scadere del contratto. Se proprio volete affidarvi all’EAP, perlomeno non lasciategli i diritti di esclusiva della vostra opera. (Come ho fatto io. Sigh.)
    Scusate l’anonimato. Non vi ho detto né il mio nome né quello della CE con la quale sono capitat*. Ma come capirete è un tipo di pubblicità di cui faccio volentieri a meno.
    Ci tenevo a mettere in guardia altri che, come me, potrebbero pentirsi di una scelta avventata. Prima di pubblicare con EAP… pensateci, o fate tutte le verifiche del caso.

  30. si può pubblicare a pagamento per numerose ragioni. me ne vengono in mente alcune.
    1- evitare la trafila del responso su un manoscritto dopo averlo inviato a uno o più editori.
    2- pubblicare a pagamento dopo che una cinquantina di editori (spesso a ragione) hanno risposto che ritengono scadente il manoscritto.
    3- farlo giustificando se stessi dicendo “se ha pubblicato a pagamento joyce, posso farlo anche io”. il che, spesso, porterebbe quasi a credere che è il pubblicare a pagamento che potrebbe farti scrivere come joyce. un po’ come se per farti giocare a calcio come maradona fosse sufficiente pipparsi un’autostrada di coca.
    io non demonizzo. del resto c’è anche il sesso a pagamento. è sbagliato o immorale consumarlo? secondo me no. l’errore, semmai, è pretendere dalla “professionista” amore, affetto e fedeltà. Insomma, come pretendere dall’editore a pagamento che, dopo avere incassato i soldi, si occupi anche di promozione, distribuzione e vendite. l’editore a pagamento è uno stampatore di libri che, nel “pacchetto”, aggiunge una presentazione o la partecipazione a un concorso o una cosa del genere. Poi ti appioppa una trentina di copie del tuo libro che devi vendere a urto o porta a porta. Sì, come fece Joyce. Attendiamo quindi con fiducia che prima o poi da un editore a pagamento esca un qualcosa tipo “Dubliners”.

  31. Ammesso che sono di parte essendo contrario all’editoria a pagamento (sarebbe come dover pagare per poter lavorare), non vedo per quale motivo se un editore decide di pubblicare solo se viene pagato dagli autori che si rivolgono a lui, deve poi minacciare e denunciare chi riporta tale realtà.
    Tuttavia, ad andare con lo zoppo s’impara a zoppicare e l’esempio dato da una parte della politica fa credere che sia lecito agire in una certa maniera.

  32. Spero di non andare OT ma confermo quello che dice Barbara sulla saggistica universitaria.
    Una casa editrice che inizia per U. e un’altra per F. hanno concordato con noi in Dipartimento un acquisto di copie del saggio che sarebbe stato pubblicato con loro.
    Aggiungo però che ho seguito l’iter di una pubblicazione con una nota casa editrice accademica internazionale di origine tedesca, PL, che si fa pagare il lavoro editoriale dei propri collaboratori.
    Del resto una parte del budget dei fondi di Dipartimento viene sempre utilizzata per questo scopo.

  33. è un bene che la lista non sia andata perduta.
    Ciò nonostante, sento parlare di editoria a pagamento da oltre 10 anni (Editori a perdere di Stampa Alternativa è del 2001); ci sono state denunce e sentenze, la gente – come qualcuno ha fatto notare nei commenti – avrebbe tutti gli strumenti per conoscerla ed evitarla.
    Eppure, da allora, è cresciuta a dismisura, in sintonia con una serie di fenomeni che puntano sulla voglia (non tanto desiderio, ma voglia) delle persone di essere protagonisti.
    Vanity press è la definizione giusta per questi libri, dovrebbero essere chiamati così anche nei cataloghi delle stesse case “editrici” che li ospitano.

  34. Ho appena cancellato un commento con attacchi personali a Linda Rando. Rendo noto che lo stesso trattamento sarà riservato a commenti dello stesso tenore. A dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, delle motivazioni per cui le liste erano state cancellate.
    Ps. Preciso. La persona che continua a postare appellandosi al diritto all’informazione e rende pubblico il curriculum scolastico di Linda Rando e persino i risultati conseguiti quando aveva sedici anni non fa opera di informazione, ma di stalking. Prego desistere.

  35. Forse lei non lo sa, ma per “stalking” s’intende la persecuzione di un individuo in forma continua, con ingenerazione di stati di ansia e paura. Un po’ diverso da un messaggio informativo scritto su un blog per voglia di verità. Non sarà forse “stalking” prendere di mira per 3 anni consecutivi aziende che lavorano in modo onesto diffondendo false informazioni su decine di siti? Le comunico peraltro che i risultati scolastici della Rando sono stati resi pubblici dalla Rando stessa, così come tutto il resto che lei ha letto. Non credo che sia reato riportare dei dati. La diffamazione invece lo è. In ogni caso la questione sarà trattata a livello legale in altre sedi, per cui la saluto cordialmente.

  36. Io ho pubblicato due romanzi con una delle case editrici presenti nella lista e per quei due scritti mai mi hanno chiesto un singolo euro, anzi, ne ho guadagnati 500, una cifra che può sembrare irrisoria, ma che mi ha permesso una bella vacanza low cost e tanti nuovi libri da leggere 🙂

  37. Poco fa mi ha scritto un’amica che, su Facebook, ha linkato questo post. Mi ha chiesto se mi fossi pentita, dal momento che, solo per averlo fatto, è stata sommersa di commenti poco gradevoli.
    Dal canto mio, posso raccontare che oltre ai medesimi ho ricevuto non poche mail. Una di queste, che proviene da una casa editrice inserita in doppio binario, aveva in copia una persona che non c’entra nulla con la vicenda ma con cui ho rapporti professionali. Non solo. Quando ho risposto linkando un articolo dove si diceva apertamente e serenamente che questa casa editrice pubblicava anche esordienti con contributo, ho ricevuto poco dopo una mail dall’autore dell’articolo in cui dichiarava di essersi sbagliato.
    Questo per dire che cosa può accadere quando si scoperchia un vaso di questo genere. E non per mettere sotto accusa nessuno, si badi: semplicemente per proporre all’autore una scelta consapevole. Nessuno condanna chi sceglie di pubblicare pagando, né chi decide di chiedere soldi all’esordiente come contributo. Forse, però, è corretto saperlo.
    Morale della favola, commentarium. Chi può, copi e pubblichi sul proprio blog o sito le liste. Più luoghi della rete le ospitano, meglio è.
    Ad ogni modo, commenti in moderazione, almeno finché le acque non si calmano.

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