Oggi si apre la Fiera del Libro. Alcuni non ci saranno. Altri ci andranno, con dubbi. Altri ancora ci saranno per obblighi professionali. E probabilmente ci saranno anche quelli che saranno presenti con totale entusiasmo, va a sapere. Intanto, c’è un’ulteriore polemica che da Liberazione migra sulle pagine culturali del Corriere della Sera (sta diventando un’abitudine, in effetti).Su Liberazione di ieri, dunque, Aldo Nove firma un articolo dal titolo Il salone del libro fa schifo:
“Il Salone del libro fa schifo. Vive sul brivido di un’emozione parossistica, quella procurata da migliaia di persone che una volta sola all’anno pagano, e caro, per entrare in una sterminata libreria, quando nelle librerie canoniche sono sempre meno le persone che ci entrano (gratis). Perché i libri non sono più di moda. Perché nelle edicole si trovano così tanti libri svenduti dalle case editrici (che con questo sistema risanano i loro buchi economici), così tanti gadgets, così tanta merce, che la libreria, quella vera, resta sempre più sullo sfondo lontano di una nozione di cultura che non ci è più propria. Quella del libro che non scade come la mozzarella, quella del luogo che rispetto al supermercato ha la consapevolezza di vendere una merce differente, una merce che è tramite tra i vivi e i morti, una merce che al di là del codice a barre può proporre la rivoluzionaria idea che ci sia altro dal consumo immediato di titoli su titoli. Una merce che un tempo sfidava i secoli ed oggi perisce nel fuoco fatuo di una polemica o si estingue sul banco novità di una concezione del libro sempre più prossima a quella del settimanale d’intrattenimento.
La kermesse torinese, dopo l’elogio del comico, si abbandona quest’anno ai languori del sogno. Sogni d’oro. Noi preferiamo rimanere svegli, e altrove. Lontano dal chiasso degli affollatissimi, immensi stand delle più grandi case editrici, quelle i cui libri si trovano ovunque, anche nelle edicole delle stazioni ferroviarie, ma che al Salone del libro hai il brivido di guardare dopo aver pagato un biglietto spropositato. E lontano dalla patetica sfilata dei piccoli editori costretti ad esserci, per non sparire, pagando cifre da capogiro al metro quadro per rintanarsi in un angolo, a mo’ di piccole riserve indiane che per qualche giorno si affacciano al mondo a loro negato dalla grande distribuzione.
E’ questa realtà, rigorosamente economica, che caratterizza le veglie (non i sogni) di quei piccoli e piccolissimi editori che stipano le loro macchine di libri rifiutati dal sistema distributivo per correre a impilarli all’ombra delle grandi realtà multieditoriali in fiore, sfiorati da masse che alla spicciolata visitano la “mostra” come un immenso, spietato mercato che si cristallizza per celebrarsi nel caos informe della brutta struttura del Lingotto.
Fuori dal sogno del mercato che si autocelebra, da qualche parte permane la cultura, o quanto nello scempio attuale ne rimane. Ma non certo nella salatissima ammucchiata di sigle editoriali e di stoccaggi librari compressi nel sogno guasto di un’ubriacatura una tantum di titoli, nomi, parole, panini, aranciate, birre”.
Sul Corriere della Sera di oggi c’è la replica, a firma di Stefano Bucci:
«Duecentotrentamila persone pagano un biglietto per entrare in una sterminata libreria. Saranno tutti pazzi?». E ancora: «I piccoli editori vengono sempre molto volentieri a Torino, anzi sono tra gli espositori più convinti e ripartono soddisfatti. Patetici sprovveduti anche loro?». Ernesto Ferrero, direttore editoriale della Fiera del libro che si apre oggi al Lingotto (fino a lunedì prossimo), risponde così alla polemica innestata dall’articolo di Aldo Nove pubblicato ieri da Liberazione . Per Nove, insomma, «il Salone del libro fa schifo» (ma non si doveva chiamare Fiera?). Opinione che, naturalmente, Ferrero non condivide assolutamente e che così spiega: «Personaggi come Nove ricorrono abbastanza di frequente nelle cronache culturali. Non potendo segnalarsi altrimenti, recitano la parte del villain , vociferano, sbraitano scompostamente. Invece di documentarsi, andare a vedere come stanno le cose, approfondire, insomma invece di lavorare un po’, sparano alla cieca delle banalità imbarazzanti». Perché «a fare il cattivo si guadagna sempre qualcosa».
Le accuse di Nove (che finora non compare tra gli invitati «ufficiali» di questa diciottesima edizione) sembrano però destinate a superare i limiti della stessa Fiera: arrivando a condannare, ad esempio, quella mutazione che ha finito per trasformare romanzi e saggi da «merce che un tempo sfidava i secoli» in qualcosa che oggi «perisce nel fuoco fatuo della polemica» (come quella aperta dal suo intervento), in qualcosa che si estingue «sul banco novità di una concezione del libro sempre più prossima a quella del settimanale d’intrattenimento».
Di questo sarebbe colpevole anche la Fiera di Torino, che finirebbe per privilegiare in qualche modo soltanto i grandi. Mentre, sempre secondo Nove, i piccoli sarebbero «costretti a pagare cifre da capogiro al metro quadro per rintanarsi in un angolo, a mo’ di piccole riserve indiane che per qualche giorno si affacciano al mondo a loro negato dalla grande distribuzione».
Un grande esperto di editoria come Giuliano Vigini spiega questa «voglia di esserci» dei piccoli editori con una serie di concause: da una minore duttilità dell’intero sistema distributivo all’incremento del peso (non solo economico) dei grandi editori, che oramai «fanno tutto da sé» (distribuzione, presentazioni, ecc.) e che proprio per questo finiscono per occupare sugli scaffali delle librerie «uno spazio sempre più dilatato». Il tutto a scapito, naturalmente, «dei più piccoli» che a questo punto scelgono di puntare tutto (o quasi) su manifestazioni come la Fiera di Torino («un’enorme cassa di risonanza, una vetrina dove è importante esserci»).
Ma neppure queste argomentazioni sembrano convincere uno scrittore amante del confronto come Nove (l’ex cannibale rivelatosi nel 1996 con Woobinda. E altre storie senza lieto fine , pubblicato da Castelvecchi). Che scegliendo la via dell’effetto patetico ha descritto su Liberazione folle di «piccoli e piccolissimi editori» in marcia verso il Lingotto, «che stipano le loro macchine di libri rifiutati dal sistema distributivo per impilarli all’ombra delle grandi realtà multieditoriali». Non risparmiando neppure, forse in maniera proditoria, persino l’architettura del Lingotto («una brutta struttura», nonostante l’impegno di Renzo Piano).
Ferrero ribatte infine, con una certa amarezza, alle critiche dello scrittore a proposito del tema di questa edizione (il sogno), una kermesse che secondo Nove avrebbe come unico scopo quello di «un’autocelebrazione senza alcuna ombra di critica»: «Vorrei ricordargli che il tema conduttore di questa Fiera non sono i languori del sogno ma il sogno inteso come tensione progettuale, come sfida, come utopia che deve darsi un codice rigoroso. Qualcosa che nessuno fa più, tanto meno Nove». E conclude: «Se la capacità d’analisi della sinistra è questa, siamo fritti».
A me le fiere, se sono affollate e c’è partecipazione di operatori grandi e piccoli piacciono. Penso alle fiere di strumenti musicali, imbarcazioni da diporto, telecomunicazioni. E a Torino probabilmente ci andrei tutti i giorni, perché toccare i libri , vederli impilati e sparpagliati, mi piacerebbe vedere, parlare con le persone che dei libri vivono. Affermare apoditticamente come fa Nove “Il Salone fa schifo” suona davvero cialtronesco e sciocco, e assomiglia pericolosamente all’argomento “ad hominem” quando si polemizza. Scoraggiante.
non sono tra i sostenitori delle Fiere (suppongo ntese nel senso di animali feroci), e Nove mi è piuttosto simpatico.
Trovo però anch’io che la polemica che polemizza nei confornti della polemica sia un topos risibile.
Il discorso invece del poco spazio (non solo espresso in metri quadri) lasciato agli editori minori avrebbe meritato altra cornice.
E se abbandoniamo il sogno l’utopia, altro non rimane che la cronaca.
Accontentatevene voi, che lo potete.
F
“Questa dissoluzione ideale è impavida”
(F. Hoelderlin)
Non so quanto costi uno stand per i piccoli editori. Posso però dire che io vado alla Fiera del Libro unicamente per loro.
Adesso, io non faccio testo perchè pur di non trovarmi impelagata fra la folla sono capace di privarmi di una giornata di mare. e’ la fiera è essere impelagati fra la folla. ma non è che mi vanti di questo. faccio eccezione, camminando sul marciapiede, per le manifestazioni.
però non è che io mi piaccia così. mi piacerebbe una/o di quelli/e che godono – scusate la parola – a sentirsi al centro di una poderosa armata di persone festose, vocianti e curiosi. è bello che la gente si incontri, discuta, si veda, no? così dovrebbe essere.
non a pagamento, però. che uno/a debba pagare per stare addosso all’altro/a, mi sembra concepibile solo nel caso di scambio di prestazioni sessuali a pagamento – cosa che non condivido per principio – e in un nessun altro caso.
che uno debba pagare per vedere la faccia di Marco Monina mi sembra eccessivo.
che uno debba pagare per vedere un incontro con la Palombelli pure mi sembra eccessivo perchè a Roma di solito è in svendita e la trovi dappertutto, e io vivo a Roma.
Quindi, per andare a una Fuera del Libro, “Non bisognerebbe pagare”. Anzi, questo di non pagare alla fiera del libro sarebbe un’altro di quei modi che l’Aie, con Motta, De Bortoli, il Ministro Urbani vanno cercando per “avvicinare il libro ai lettori” Eccolo.
Dire d’altraparte che il libro non è più di moda pure quello mi sembra eccessivo. Chi sono tutti quelli disposti addirittura a pagare, pur di stare uno/a in testa all’altro/a? 1. No persone diretto a un incontro sessuale a pagamento, se no non andrebbero lì 2. Non persone che vanno a vedere Monina 3. Non persone che vanno a vedere la Palombelli.
Persone che “amano i libri”, sì – d’accordo forse non li leggono, ma c’è tempo – in Italia sessant’anni fa erano più gli analfebti che no, e quindi, siamo anche troppo bravi! – e che hanno meno problemi di agorafobia di me. beati loro.
Precisazione: l’attuale ministro “ai beni culturali” è Buttiglione, ma all’incontro – memorabile – cui ho presenziato io, dell’Aie, di settembre 2004 a Roma, presenziava Urbani.
Il quale “poveretto” fu pure insultato da Motta (allora presidente dell’AIE associazione editori) perchè disse, “ma poverini i ragazzi lasciamogli scaricare gratis la musica!” e invece Motta lo insultò. “E sì! Gratis! e noi? Il nostro lavoro? i nostri guadagni?”, per dire, no?
le cose, sono complicate. Forse anche per il biglietto della Fiera litigano così.
Motta: “Sì, gratis! E noi, i nostri soldi! I nostri guadagni!”. E la sinistra che non dice, “Ma guadagni anche troppo!” Per dire, no?
La cosa divertente è che, QUALUNQUE COSA si dica sulla Fiera del Libro, si ha in parte ragione. Ha in parte ragione Aldo Nove, soprattutto per le affermazioni sui Piccoli Editori… (lo dico da ex Piccolo Editore, anche se giorni fa, per scherzo, mi sono firmato GROSSO EDITORE); ha in parte ragione chi difende la Fiera (è sempre bene che si crei attenzione attorno al libro); ha in parte ragione chi decide di NON andarci; ha in parte ragione chi decide di calarcisi dentro di peso, magari per organizzare un convegno sulla RESTAURAZIONE…
Quanto a me, sarà difficile che decida di infliggermi sei ore di TRENO. Certo, sarei curioso di andare a vedere se Fazi Editore ha escogitato qualcosa per attirare l’attenzione – nel suo stand – sul mio recente Andersen, magari una gigantografia o una sagoma di compensato del Nostro, visto che corre il Bicentenario… ma non ci sono voli da Venezia a Torino. Meglio aspettare che la Fiera si sposti sottocasa… magari a Marghera, dove ci sono degli splendidi capannoni rococò:-/
Se Aldo Nove fosse coerente con tutto quello che scrive ultimamente, però, non dovrebbe più pubblicare, specie con grossi editori, e scrivere soltanto in rete o su Liberazione.
Che noia. Possibile che ancora ‘ste polemiche tanto per sprecare inchiostro e carta, pagine di giornali? Chi vuole ci vada. Chi non c’ha desiderio non ci vada. Sterile tutto ‘sto menare.
A la prochain.
Iannox
Io AMO Aldo Nove: ma che intervento ozioso.
Io non sto a contestare Fiere e Saloni perchè non ho frecce al mio arco.
Le Fiere non mi piacciono per motivi di senso, mi trovo a disagio.
Però, tant’è che ci sono sempre andato con 20 minuti di tram e ci devo andare anche per forza, presentano il mio libro di sabato, che ti devo dire: speriamoche vada bene.
Io invero di molto preferisco andare a Belgioioso, in quella bella reggia o palazzo col vasto parco alla Fiera dei piccoli editori “Parole nel tempo”.
Uno va lì, ci staziona bellamente bamblinando, si ferma, se ne va, ritorna, chiacchiera se è stanco va fuori nel parco sotto quei grandiosi alberi e si riposa e si fa una birretta, fuma se gli va.
Ecco.
Sono ammirato dal fatto che Aldo Nove, dopo aver contribuito a creare tutto quello che critica, dopo appena due lustri, cominci a sentirsi un alternativo di sinistra e scriva tali interventi di fuoco, incisivi come un criceto sulla ruota.
A Ferrero basta dire che da quando ci sono i SALONI i lettori in Italia sono diminuiti, non aumentati, forse proprio perché si è prodotta l’idea del libro come “riserva indiana”. La mia impressione generale è che siamo alla resa dei conti, ad una ridistribuzione del “potere” tra le varie anime industriali e letterarie del bel paese, che ormai ragionano come i partiti a fine legislatura. Rimangono sempre meno briciole per tutti ed è da questo che sta nascendo questo scontricchio tra marchettari vari e associati del pensiero unico. Per parte mia, dopo dieci anni di scontri uno contro dieci, comincio a sorridere, perché con queste premesse l’unica strada è LA RIFONDAZIONE a partire da zero, quindi non quella “comunista” di Aldo Nove che vuole attaccare ciò che ha creato con le proprie mani, tipo Bertinotti che attacca Berlusconi, che infatti continuamente lo ringrazia di esistere.
Sono ammirato dal fatto che Aldo Nove, dopo aver contribuito a creare tutto quello che critica, dopo appena due lustri, cominci a sentirsi un alternativo di sinistra e scriva tali interventi di fuoco, incisivi come un criceto sulla ruota.
A Ferrero basta dire che da quando ci sono i SALONI i lettori in Italia sono dimunuiti, non aumentati, forse proprio perché si è prodotta l’idea del libro come “riserva indiana”. La mia impressione generale è che siamo alla resa dei conti, ad una ridistribuzione del “potere” tra le varie anime industriali e letterarie del bel paese, che ormai ragionano come i partiti a fine legislatura. Rimangono sempre meno briciole per tutti ed è da questo che sta nascendo questo scontricchio tra marchettari vari e associati del pensiero unico. Per parte mia, dopo dieci anni di scontri uno contro dieci, comincio a sorridere, perché con queste premesse l’unica strada è LA RIFONDAZIONE a partire da zero, quindi non quella “comunista” di Aldo Nove che vuole attacare ciò che ha creato con le proprie mani, tipo bertinotti che attacca Berlusconi, che infatti continuamente lo ringrazia di esistere.
Trovo così insulsa l’idea di pagare solo per… guardare dei titoli, che cercherò di portarmi una capiente borsa nella quale infilare più libri possibile in barba ai grandi editori. I piccoli li pago, invece.
Alzi la mano chi non fa così 🙂
Scusate ancora.
(Meno male che c’è una Fiera almeno uno/a può parlare dei lettori, ancora un po’ sì, e fare fa un po’ di più la “fiera- belva” di quanto già non faccia, no?)
A riprova del fatto che il lettore magari voglia leggere, ma non abbia così tanto di che investire – e, soprattutto, che i produttori di libri non debbano puntare sul libro come si punta sui materassini per il mare – ergo, non va pagato il biglietto alla fiera – una domanda: come mai “i lettori” delle biblioteche comunali di Roma (gratis) sono così tanti da indurre il comune a “puntarci sul settore” e a inventare e organizzare contnuamente nuove iniziative – non ne sto giudicando la qualità?
Che “la gente” prenda i libri d’inverno per alimentare la carbonella e d’estate per sventagliarsi nei piccoli padiglioni condominiali, invece di andare alle fiere? Non sono amica di Veltroni, non l’ho mai chiamato, “Walter!”, nè per fare uno scherzo, e neanche per darmi un tono.
Che sia perchè in “termini d’immagine”, una “città di lettori forti”, funziona “creando” anche un “ritorno economico”?
Beh, ben venga questo tipo di “ritorno economico”, no? Qui nessuno si augura la povertà di nessuno, e i ritorni economici e d’immagine fanno sempre piacere, ma “la presa per il culo”, il dare sempre la colpa al lettore ignorante, il fare la vittima da parte degli imprenditori, come se loro facessero tutto è “Gnente oh! So proprio caproni e pecorai! Nun leggono! manco se ie ficchi il libro “drento” la capoccia! “, Ma andiamo! La presa per il culo è categoria altra. E’ categoria extracategoriale – paracula – diciamo così.
so’, io. So’ io so, non l’anonimo. tanto l’editoria – a parte Marco Monina, che non fa testo 🙂 – me la so’ bruciata.
Consiglio (anzi, comandamento) per Emmina: NON rubare, nemmeno ai ricchi. Cerca di tenere la coscienza sempre pulita. Altrimenti sta a casa tua.
Roquentin, scusa, ma la domanda sorge spontanea: ma la tua lingua madre :-)?
Premesso che per comprendere bene ciò che scrivono alcuni dei tuoi commentatori mi servirebbe un traduttore coglionese-italiano, mi sembra che Aldo Nove scopra l’acqua calda del capitalismo e che la distilli a buon mercato. Non so se andrò alla fiera del libro, tuttavia: quando entro in una università (cioè tutti i giorni, o quasi), la sensazione di disagio è sempre la stessa, quella di rozzo mercato della cultura, con grancassa di fannulloni; e, infine, sono d’accordo con .mau. (almeno credo). Ci sono dei piccoli editori, che non lavorano affatto male (per come la vedo io), che sfruttano l’occasione “fiera del libro” per proporsi in uno spazio pubblico: poco male se siano o meno a loro volta sfruttati. Se poi Aldo Nove riuscisse ad indicare il luogo dove attecchisce meglio la cultura di cui parla, gliene sarei molto grato (ma temo che non si tratti di “casa sua”, a leggerlo)
aldo nove ha ragione a dire che il salone del libro fa schifo, e sarebbe giusto estendere l’aggettivo a tutte le altre fiere d’italia. d’altra parte, ciò che indigna aldo nove non sono caratteristiche esclusive degli expo del libro, ma appartengono in generale al mercato delle lettere.
se vogliamo, l’unica cosa su cui, nello specifico, ha ragione è l’assurdità del biglietto d’ingresso, dovrebbero essere gratuite, che i soldi del biglietto ce li metta buttiglione. per non parlare della buffonata dei “temi” delle varie fiere che oramai non vengono nemmeno presi a pretesto dagli editori.
aldo nove ha torto, secondo me, ad indignarsi per i libri in edicola perchè, nel bene e nel male, mi pare che contribuiscano alla diffusione della buona letteratura.
è curioso, secondo aldo nove i libri sono il tramite tra i vivi e i morti, secondo delillo è il rumore bianco, il ronzio del supermercato, il linguaggio attraveso cui i morti parlano ai vivi…
a margine:
@ emmina – ruba…ma non andare con una borsa capiente, usa un giaccone con tasche grandi.
@ roquentin – sarebbe bello (oddio, diciamo potrebbe essere interessante) leggere un tuo post da cui non trasudi la tua (in)naturale presunzione. scrivilo tu, il dizionario coglionese-italiano, ed evita la retorica, “quando entro in una università (cioè tutti i giorni, o quasi)”. all’università si può entrare anche solo per pisciare.
Concordo, frittura mista. Anche perché l’allargamento arbitrario di una categoria contro cui si esprime un giudizio di valore nega, quasi sempre, ogni tipo di valore a tutta la categoria a partire dalle castronate di un solo “membro” (anche quando la dinamica non sia così esplicitamente dichiarata, come in questo caso).
Io vorrei limitarmi a un giudizio di Ferrero, che comnpare nell’ultima riga dell’articolo: “Se la capacità d’analisi della sinistra è questa, siamo fritti”. Mi astraggo dal caso Fiera del Libro e mi concentro su questa frase. Molto spesso si prende un individuo (in questo caso Nove) e il fatto che scriva in un giornale, per estendere la sua personale opinione a TUTTO il giornale, e a TUTTA la sua parte politica. Vorrei ribattere a Ernesto Ferrero: questa non è la capacità di analisi della SINISTRA, è la capacità di analisi di ALDO NOVE. Che siamo d’accordo o no con Nove è un’altra questione, ma se permettete farei una considerazione di metodo: sono un po’ stufo di vedere discussioni in cui si bara, in cui si allarga a tutta una categoria, uno schieramento, un gruppo ecc. quella che è la presa di posizione di una persona singola. Scusate la divagazione, forse ero un pochino OT.
Io leggo solo i piccoli editori oppure quello che non è ancora pubblicato: pago tutto dunque.
Vorrei dare fuoco allo stand Adelphi, posso?
Ne scaturirebbero fiamme multicolori e pastellate, odorose di aromi orientali: sarebbe spettacolare e leggendario. E poi Calasso è ricco di famiglia. 🙂
“@ roquentin – sarebbe bello (oddio, diciamo potrebbe essere interessante) leggere un tuo post da cui non trasudi la tua (in)naturale presunzione. scrivilo tu, il dizionario coglionese-italiano, ed evita la retorica, “quando entro in una università (cioè tutti i giorni, o quasi)”. all’università si può entrare anche solo per pisciare.”
1) Tu scambi il “parlar chiaro” e l’assenza di inchini per presunzione. Io non ho i secoli dalla mia, sai com’è…
Di solito argomento le mie ragioni, non qui perché la brevità di un commento non lo permette (e, a volte, neppure lo richiede). Ma argomentare è passato di moda, e “i presuntuosi” sarebbero coloro che pensano prima di parlare, come vorrebbe la moda di oggi. Rido. (se dicessi: “permettimi di ridere”, QUESTA sarebbe retorica)
2) Quel dizionario, come ogni dizionario, sarà il risultato del “vostro” lavoro (tuo e di altri), visto che la lingua è fatta di convenzioni che si fissano lentamente, e non ad opera di una colta comunità di linguisti.
3) Tu non conosci il significato della parola “retorica”, perciò dai un’occhiata (al De Mauro); in più, non entro all’università per pisciare e tanto ti può bastare. Mi limito a contestare alcuni difetti di un ambiente che frequento per lavoro o pseudolavoro, chiamalo come vuoi, ed in cui ho conosciuto splendide persone, ma non è la regola (vivacchio, meglio: quindi, non parlo certo per presunzione, ma per osservazione)
Passo e chiudo (è importante il “chiudo”)
Ivan
OT Ma… qualcuno di voi ha letto il romanzo di Massaron, Ruggine? Io lo sto finendo… cavolo, è straordinario. Ma… lo state leggendo? Com’è che non se ne parla in nessun luogo della rete? Eppure ce ne sarebbero di temi interessanti da discutere, di scelte narrative e ideologiche su cui riflettere. E’ un gran bel libro. Massaron non declama ma narra. Quanti lo fanno ancora? Forse il titolo è un po’ scipito. Ma il contenuto… Quando parlo dell’ethos dell’infiltrato mi riferisco a libri come quelli di Massaron. Lui ha usato tutti gli stilemi del best seller, ma è stato, credo, come entrare nel Cavallo di Troia. Giusto? Ah, ripeto: peccato per il titolo…
OT Ma… qualcuno di voi ha letto il romanzo di Massaron, Ruggine? Io lo sto finendo… cavolo, è straordinario. Ma… lo state leggendo? Com’è che non se ne parla in nessun luogo della rete? Eppure ce ne sarebbero di temi interessanti da discutere, di scelte narrative e ideologiche su cui riflettere. E’ un gran bel libro. Massaron non declama ma narra. Quanti lo fanno ancora? Forse il titolo è un po’ scipito. Ma il contenuto… Quando parlo dell’ethos dell’infiltrato mi riferisco a libri come quelli di Massaron. Lui ha usato tutti gli stilemi del best seller, ma è stato, credo, come entrare nel Cavallo di Troia. Giusto? Ah, ripeto: peccato per il titolo…
secondo me sia massaron che genna sono ammalati dello stesso morbo: voglio fare i soldi ma voglio anche fare l’intellettuale.
opinione mia. sia genna che massaron non hanno storie da raccontare. stop.
Guarda, potevi dire tutto, ma proprio tutto, potevi anche togliermi il mio Breil (che ne so, che non apprezzavi certe crudezze di Ruggine, che Genna a volte si dilunga un po’ troppo, robe così), ma non che Massaron e Genna non hanno STORIE da raccontare! Hai letto RUGGINE? Mi sa di no. No, non l’hai letto. Forse Genna e Massaron sono tra i pochi che in Italia narrano oltre a scrivere.
Guarda, potevi dire tutto, ma proprio tutto, potevi anche togliermi il mio Breil (che ne so, che non apprezzavi certe crudezze di Ruggine, che Genna a volte si dilunga un po’ troppo, robe così), ma non che Massaron e Genna non hanno STORIE da raccontare! Hai letto RUGGINE? Mi sa di no. No, non l’hai letto. Forse Genna e Massaron sono tra i pochi che in Italia narrano oltre a scrivere.
Lo ripeterò fino allo sfinimento: credo alle strategie dell’infiltrato, non alle trincee. Nelle trincee ci si tocca affettuosamente il culo con i compagni e si muore appena il nemico sale sul primo tank per schiacciarci. L’infiltrato, invece…
Lo ripeterò fino allo sfinimento: credo alle strategie dell’infiltrato, non alle trincee. Nelle trincee ci si tocca affettuosamente il culo con i compagni e si muore appena il nemico sale sul primo tank per schiacciarci. L’infiltrato, invece…
Scusate, perchè “amo i libri”, oh, sì, e alla fiera del libro ci sono libri e autori. mi piace e mi fa ridere – fondamentale di questi tempi – la Ballestra. ma: quando comincia il romanzo, mi sono chiesta? ne pensate qualcosa?
abbiamo definizioni diverse di storia.
Bella battuta, Iena. Faccio notare che sia Genna che Massaron hanno un blog: quei blog non si scrivono da soli, e non ospitano liste della spesa. Una simpatica cricca di vecchietti vicino casa mia ha decine di storie da raccontare, ma non ne ha i mezzi. Per giudicare i mezzi, a volte un blog è più che sufficiente.
E poi, sinceramente, non mi pare il caso di accanirsi su “nessuno” (rif. Massaron). Come dire, ho i miei sospetti…
Il blog di Genna è pagato da Mondadori, lo dicono tutti. Come Pasolini, “io so, ma non ho le prove”. Ma lo so. E’ ora di smetterla con la dietrologia, e fare avantilogia. Il re è nudo, e il valvassino pure. Un sito mondadori.com sarebbe un house organ che nessuno prenderebbe sul serio. Ecco il colpo di genio, allora: ricevere stipendio sottobanco per tenere un sito di informazione letteraria dove si parla bene un po’ di tutti, per confondere le acque e acquisire autorevolezza, e particolarmente parlare sistematicamente un gran bene dei libri Mondadori, meglio se si tratta dei libri dei boss come Parazzoli o Riccardi, o Franchini in libera uscita da Marsilio. Con le imbarazzanti improbabilissime difese di Albertone Bevilacqua. Non ci sarebbe nulla di male ad ammettere che postare due o tre pezzi al giorno, con traduzioni, esclusive (chi gliele dà?), articoli ragionati, cioè in pratica lavorarci almeno quattro ore al giorno, come minimo, si fa ed è sacrosanto farlo solo dietro giusto compenso. Ma in Italia, ammettere una cosa simile così innocente, farebbe cascare il palco. Anche questa è la eroica strategia dell’infiltrazione, giusto Leni? Genna, ammettilo, non c’è nulla di male.
@ roquy – ti dispiace se ho tradotto il tuo alias in coglionese?
a)io non scambio il parlar chiaro e l’assenza di inchini per presunzione, ma riconosco e mi irrita il tuo pontificare. perchè è questo che mi infastidisce, l’atteggiamento di chi sa, con certezza, e non argomenta perchè ciò che dice gli sembrano delle ovvietà.
b)se la lingua è risultato di convenzioni che si fissano lentamente, allora ti prego di attendere che il coglionese si sia fissato prima di affermare di averlo riconosciuto…ma, ancora una volta, tu sei depositario di certezze.
c)il tuo rimarcare la frequenza, e, in seguito, le nobili ragioni per i tuoi pellegrinaggi nella fannullona istituzione universitaria è retorico nel senso che va, anche in maniera pesante, a rimarcare (e qui l’importante è il prefisso RI-) il tuo status, la tua appartenenza, la tua posizione, che, in un ambiente virtuale e associata al tuo alias è quantomeno ridondante, se non effettivamente retorico.
vedi, non è tanto quello che dici, ma il come, e sta tutto lì, perchè in poche righe non si può dire molto, non si può argomentare a lungo, hai ragione tu, ma in quelle poche righe passa molto di chi scrive, e quello che passa di te non mi piace, non ha aperture, non ci sono pieghe, fessure, non passa aria.
non sono daccordo sui tuoi sospetti, nè sulle tue opinioni su genna e massaron, e trovo ancora retorico, e questa volta concedimi l’uso del termine senza inalberarti, quella storia dei vecchietti che hanno le storie da raccontare.
con affetto
Avantilogia, se il blog me lo pagasse Mondadori, sai quanti problemi in meno? E poi: Mondadori ha Nuovi Argomenti, potrebbe benissimo realizzare la strategia che dici tu (io, a Mondadori, a suo tempo, lo consigliai). Peccato che il mio editore sia Marco Tropea, che io non trovi un lavoro fisso decente da un anno e mezzo, e che abbia molte ma molte molte storie da raccontare. Quanto a radicalità, il soprannome Avantilogia ne è davvero un sintomo. Vai a scrivere per il Domenicale, va’…
Mi scuso: il mio ultimo commento non era riferito a Giuseppe Genna ma a Andrea, naturalmente.
G.Genna:
“…e che abbia molte ma molte molte storie da raccontare.”
Una nota di passaggio: G.G.: un suggerimento da una persona che non ti stima: raccontale, le frasi ambigue di solito non danno grande credibilità, e si discuteva appunto della tua credibilità.
Ivan
io penso che l’odio nucleare di Nove per i Saloni sia ad attribuire alla sua idiosincrasia viscerale per i coiffeur.Penso che in italia il mondo Editoriale sia il mostro dalla testa d’idra(“forse un giorno meglio vi spiegherò”),un groviglio di cobra cannibali anfetaminizzati.Penso che se non ci fossero le librerie non saprei dove sbattermi quando esco a spasso senza meta.E infine penso che sia ancora vacante lo scettro di Tondelli nel regno delle avanguardie nonostante gli sforzi di quelli come Nove,che non conosco personalmente ma che potrei trovare persino interessante,la prossima volta.Allegria
Io trovo che qui non si stesse parlando di me (anche per questo evito di esprimere opinioni sulla tua persona). Per il resto, c’è la mia mail privata, tutte le tue deduzioni sono un’ammirevole ghirlanda di sciocchezze. Solo per dovere e per onestà, ti ripeto: io non posso spiegare nei commenti ciò che mi pare ovvio, ho il diritto di ritenere ovvio ciò che mi pare e ho il dovere di essere conciso (tra diritti e doveri, posso sbagliare: me ne strafotto del tono, per inciso, mi interessa solo “l’idea”). La tua irritazione è una questione che non mi interessa minimamente, prenditi un sedativo, fai quello che ti pare.
Buona fortuna.
Ivan
Lasciamo da parte le polemiche e vediamo un po’ di cifre…
Dunque: in Italia il 61,7% della popolazione non legge neppure un libro all’anno. Del restante 38,3%, solo il 12,1% ne legge più di 11 all’anno, ovvero quasi un libro al mese.
E ancora: su 4.426 case editrici censite nel 2002, il 33,0% non ha pubblicato nulla in quell’anno, e del restante 67% solo 8,5% ha pubblicato oltre 50 titoli in un anno.
Eppure i libri rappresenta il 74,9% delle pubblicazioni, con un 44,7% formato da romanzi e saggi.
E allora? Allora la maggior parte del mercato è in mano a quattro gruppi editoriali i quali pubblicano in gran parte solo traduzioni di libri stranieri o testi di autori già affermati. Lo spazio per nuovi autori italiani è sostanzialmente nullo, a meno di non far parte di circoli politici o culturali influenti. I piccoli editori sono più propensi a dar spazio a nuovi autori, ma la distribuzione, anch’essa in mano a poche catene, li penalizza.
In un sistema corporativistico in cui, se sei un VIP puoi scrivere qualunque idiozia che te la pubblicano, ma se sei uno scrittore in gamba devi fare i salti mortali per farti conoscere, non c’è da stupirsi se le polemiche fioccano.
O no?
Naturalmente bisogna ricordare che chiunque, oggi, può aprire centinaia di blog pseudoletterari (ilpostodiquesto, il postodiquell’altro…), e non solo, ma con la stessa facilità e senza il possesso di alcun requisito specifico, fondare anche una piccola casa editrice attraverso la quale sfornare un paio di merdate per il solo gusto di fregiarsi del titolo di editore.