“Il fatto è che voi laureandi non avete ancora ben chiaro che cosa significhi realmente “giorno dopo giorno”. Ci sono interi aspetti della vita americana da adulti che vengono bellamente ignorati da chi tiene discorsi come questo. I genitori e le persone di una certa età qui presenti sanno benissimo a cosa mi riferisco. Mettiamo, per dire, che sia una normale giornata nella vostra vita da adulti: la mattina vi alzate, andate al vostro impegnativo lavoro impiegatizio da laureati, sgobbate per nove o dieci ore e alla fine della giornata siete stanchi, siete stressati e volete solo tornare a casa, fare una bella cenetta, magari rilassarvi un paio d’ore e poi andare a letto presto perchè il giorno dopo dovete alzarvi e ripartire daccapo. Ma a quel punto vi ricordate che a casa non c’è niente da mangiare – questa settimana il vostro lavoro impegnativo vi ha impedito di fare la spesa – e così dopo il lavoro vi tocca prendere la macchina e andare al supermercato. A quell’ora escono tutti dal lavoro, c’è un traffico mostruoso e il tragitto richiede molto più del necessario e, quando finalmente arrivate, scoprite che il supermercato è strapieno di gente perchè a quell’ora tutti gli altri che come voi lavorano cercano di ficcarsi nei negozi di alimentari, e il supermercato è orribile, illuminato al neon e pervaso da quelle musichette e canzoncine capaci solo di abbruttire e voi dareste qualsiasi cosa per non essere lì, ma non potete limitarvi a entrare e uscire; vi tocca girare tutti i reparti enormi, iperilluminati e caotici per trovare quello che vi serve, manovrare il carrello scassato in mezzo a tutte le altre persone stanche e trafelate col carrello, e ovviamente ci sono i vecchi di una lentezza glaciale, gli strafatti e i bambini iperattivi che bloccano la corsia e a voi tocca stringere i denti e sforzarvi di chiedere permesso in tono gentile ma poi, quando finalmente avete tutto l’occorrente per la cena, scoprite che non ci sono abbastanza casse aperte anche se è l’ora di punta, e dovete fare una fila chilometrica, il che è assurdo e vi manda in bestia, ma non potete prendervela con la cassiera isterica, oberata com’è quotidianamente da un lavoro così noioso e insensato che tutti noi qui riuniti in questa prestigiosa università nemmeno ce lo immaginiamo…fatto sta che finalmente arriva il vostro turno alla cassa, pagate il vostro cibo, aspettate che una macchinetta autentichi il vostro assegno o la vostra carta di credito e vi sentite augurare “buona giornata” con una voce che è esattamente la voce della MORTE, dopodichè mettete quelle raccapriccianti buste di plastica sottilissima nell’esasperante carrello dalla ruota impazzita che tira a sinistra, attraversate tutto il parcheggio intasato, pieno di buche e di rifiuti, e cercate di caricare la spesa in macchina in modo che non esca dalle buste rotolando per tutto il bagagliaio lungo il tragitto, in mezzo al traffico lento, congestionato, strapieno di Suv dell’ora di punta, eccetera, eccetera. Ci siamo passati tutti, certo: ma non rientra ancora nella routine di voi laureati, giorno dopo settimana dopo mese dopo anno. Pero’ finirà col rientrarci, insieme a tante altre squallide, fastidiose routine apparentemente inutili…
Ma non è questo il punto. Il punto è che la scelta entra in gioco proprio nelle boiate frustranti e di poco conto come questa. Perchè il traffico congestionato, i reparti affollati e le lunghe file alla cassa mi danno il tempo per pensare, e se non decido consapevolmente come pensare e a cosa prestare attenzione, saro’ incazzato e giù di corda ogni volta che mi tocca fare la spesa, perchè la mia modalità predefinita naturale dà per scontato che situazioni come questa contemplino davvero esclusivamente ME. La mia fame, la mia stanchezza, il mio desiderio di tornare a casa, e avro’ la netta impressione che tutti gli altri MI INTRALCINO. E chi sono tutti questi che MI INTRALCIANO? Guardali là, fanno quasi tutti schifo mentre se ne stanno in fila alla cassa come tanti stupidi pecoroni con l’occhio smorto e niente di umano; e che odiosi poi quei cafoni che parlano al forte al cellulare in mezzo alla fila. Certo che è proprio un’ingiustizia: ho sgobbato tutto il santo giorno, muoio di fame, sono stanco e non posso nemmeno andare a casa a mangiare un boccone e a distendermi un po’ per colpa di tutte queste stupide, stramaledette PERSONE. Oppure, se gli studi umanistici fanno propendere la mia modalità predefinita verso una maggiore coscienza sociale, posso trascorrere il tempo imbottigliato nel traffico di fine giornata a inorridire per tutti gli enormi, stupidi Suv, Hummer e pickup con motore da 12 valvole che bloccano la corsia bruciando tutti e centottanta i litri di benzina che hanno in quei loro serbatoi spreconi e egoisti, posso riflettere sul fatto che gli adesivi patriottici o religiosi sembrano sempre appiccicati sui veicoli più grossi e schifosamente egoisti, guidati dagli autisti più osceni, spericolati e aggressivi, che di norma parlando al cellulare mentre ti tagliano la strada per guadagnare sei stupidi metri nel traffico congestionato, e posso pensare che i figli dei nostri figli ci disprezzeranno per aver sperperato tutto il carburante del futuro, mandando in malora il clima, e a quanto siamo viziati, stupidi, egoisti e ripugnanti, e a come fa tutto veramente SCHIFO e chi più ne ha più ne metta…
Guardate che se scegliete di pensarla così non c’è niente di male, lo facciamo in tanti, solo che pensarla così diventa talmente facile e automatico che non RICHIEDE una scelta. Pensarla così è la mia modalità predefinita naturale. E’ il mio modo automatico e inconsapevole di affrontare le parti noiose, frustranti e caotiche della mia vita da adulto quando agisco in base alla convinzione automatica e inconsapevole che sono io il centro del mondo, e che sono le mie sensazioni e i miei bisogni immediati a stabilire l’ordine di importanza delle cose. Il fatto è che in frangenti come questo si puo’ pensare in tanti modi diversi. Nel traffico, con tutti i veicoli che mi si piazzano davanti e mi intralciano, non è da escludere che a bordo dei Suv ci sia qualcuno che in passato ha avuto uno spaventoso incidente e ora ha un tale terrore di guidare che il suo analista gli ha ordinato di farsi un Suv mastodontico per sentirsi più sicuro alla guida; o che al volante dell’Hummer che mi ha appena tagliato la strada ci sia un padre che cerca di portare di corsa in ospedale il figlioletto ferito o malato che gli siede accanto, e la sua fretta è maggiore e più legittima della mia: anzi, sono io a intralciarlo. Oppure posso scegliere di prendere mio malgrado in considerazione l’eventualità che tutti gli altri in fila alla cassa del supermercato siano annoiati e frustrati almeno quanto me, e che qualcuno magari abbia una vita nel complesso più difficile, tediosa e sofferta della mia. Vi prego ancora una volta di non pensare che voglia darvi dei consigli morali, o che vi stia dicendo che “dovreste” pensarla così, o che qualcuno si aspetta che lo facciate automaticamente, perchè è difficile, richiede forza di volontà e impegno mentale e, se siete come me, certi giorni non ci riuscirete proprio, o semplicemente non ne avrete nessuna voglia. Ma quasi tutti gli altri giorni, se siete abbastanza consapevoli da offrirvi una scelta, potrete scegliere di guardare in modo diverso quella signora grassa con l’occhio smorto e il trucco pesante in fila in cassa che ha appena sgridato il figlio: forse non è sempre così; forse è stata sveglia tre notti di seguito a stringere la mano al marito che sta morendo di cancro alle ossa. O forse è quella stessa impiegata assunta alla Motorizzazione col minimo salariale che soltanto ieri ha aiutato vostra moglie a risolvere un problema burocratico da incubo facendole una piccola gentilezza di ordine amministrativo. Non è molto verosimile, d’accordo, ma non è nemmeno da escludere: dipende solo da cosa volete prendere in considerazione.
Se siete automaticamente certi di sapere cosa sia la realtà e chi e che cosa siano davvero importanti – se volete operare in modalità predefinita – allora anche voi, come me, probabilmente trascurerete tutte le eventualità che non siano inutili o fastidiose. Ma se avrete davvero imparato a prestare attenzione, allora saprete che le alternative non mancano. Avrete davvero la facoltà di affrontare una situazione caotica, chiassosa, lenta, iperconsumistica, trovandola non solo significativa ma sacra, incendiata dalla stessa forza che ha acceso le stelle: compassione, amore, l’unità sottesa a tutte le cose. Misticherie non necessariamente vere. L’unica cosa Vera con la V maiuscola è che riuscirete a decidere come cercare di vederla. Questa, a mio avviso, è la libertà che viene dalla vera cultura, dall’aver imparato a non essere disadattati; riuscire a decidere consapevolmente che cosa importa e che cosa no. Riuscire a decidere che cosa venerare…
Ecco un’altra cosa vera. Nelle trincee quotidiane della vita da adulti l’ateismo non esiste. Non venerare è impossibile. Tutti venerano qualcosa. L’unica scelta che abbiamo è CHE COSA venerare. E un motivo importantissimo per scegliere di venerare un certo dio o una cosa di tipo spirituale – che sia Gesù Cristo o Allah, che sia YHWH o la dea madre della religione Wicca, le Quattro Nobili Verità o una serie di principi etici inviolabili – è che qualunque altra cosa veneriate vi mangerà vivi. Se venerate il denaro e le cose, se è a loro che attribuite il vero significato della vita, non vi basteranno mai. Non avrete mai la sensazione che vi bastino. E’ questa la verità. Venerate il vostro corpo, la vostra bellezza e la vostra carica erotica e vi sentirete sempre brutti, e quando compariranno i primi segni del tempo e dell’età, morirete un milione di volte prima che vi sotterrino in via definitiva. Sotto un certo aspetto lo sappiamo già tutti benissimo: è codificato nei miti, nei proverbi, nei cliché, nei luoghi comuni, negli epigrammi, nelle parabole; è la struttura portante di tutte le grandi storie. Il segreto consiste nel dare un ruolo di primo piano alla verità nella consapevolezza quotidiana. Venerate il potere e finirete col sentirvi deboli e spaventati, e vi servirà sempre più potere sugli altri per tenere a bada la paura. Venerate l’intelletto, spacciatevi per persone in gamba, e finirete col sentirvi stupidi, impostori, sempre sul punto di essere smascherati. E così via.
Guardate che l’aspetto insidioso di queste forme di venerazione non è che sono malvagie o peccaminose, è che sono INCONSAPEVOLI. Sono modalità predefinite. Sono il genere di venerazione in cui scivolate per gradi, giorno dopo giorno, diventando sempre più selettivi su quello che vedete e sul metro che usate per giudicare senza rendervi nemmeno ben conto di farlo. E il cosiddetto “mondo reale” non vi dissuaderà dall’operare in modalità predefinita, perchè il cosiddetto “mondo reale” degli uomini, del denaro e del potere vi accompagna con quel suo piacevole ronzio alimentato dalla paura, dal disprezzo, dalla frustrazione, dalla brama e dalla venerazione dell’io. La cultura odierna ha imbrigliato queste forze in modi che hanno prodotto ricchezza, comodità, libertà personale a iosa. La libertà di essere tutti sovrani dei nostri minuscoli regni formato cranio, soli al centro di tutto il creato. Una libertà non priva di aspetti positivi. Cio’ non toglie che esistano svariati generi di libertà, e il genere più prezioso è spesso taciuto nel grande mondo esterno fatto di vittorie, conquiste e ostentazione. Il genere di libertà davvero importante richiede attenzione, consapevolezza, disciplina, impegno e la capacità di tenere davvero agli altri e di sacrificarsi costantemente per loro, in una miriade di piccoli modi che non hanno niente a che vedere col sesso, ogni santo giorno. Questa è la vera libertà. Questo è imparare a pensare. L’alternativa è l’inconsapevolezza, la modalità predefinita, la corsa sfrenata al successo: essere continuamente divorati dalla sensazione di aver avuto e perso qualcosa di infinito.
So che questa roba forse non vi sembrerà divertente, leggera o altamente ispirata come invece dovrebbe essere nella sostanza un discorso per il conferimento delle lauree. Per come la vedo io è la verità sfrondata da un mucchio di cazzate retoriche. Ovvio che potete prenderla come vi pare. Ma vi pregherei di non liquidarlo come uno di quei sermoni che la dottoressa Laura impartisce agitando il dito. Qui la morale, la religione, il dogma o le grandi domande stravaganti sulla vita dopo la morte non c’entrano. La Verità con la V maiuscola riguarda la vita PRIMA della morte. Riguarda il fatto di toccare i trenta, magari i cinquanta, senza il desiderio di spararsi un colpo in testa. Riguarda il valore vero della vera cultura, dove voti e titoli di studio non c’entrano, c’entra solo la consapevolezza pura e semplice: la consapevolezza di cio’ che è così reale e essenziale, così nascosto in bella vista sotto gli occhi di tutti da costringerci a ricordare di continuo a noi stessi: “Questa è l’acqua, questa è l’acqua; dietro questi eschimesi c’è molto più di quello che sembra”. Farlo, vivere in modo consapevole, adulto, giorno dopo giorno, è di una difficoltà inimmaginabile. E questo dimostra la verità di un altro cliché: la vostra cultura è realmente il lavoro di una vita, e comincia…adesso. Augurarvi buona fortuna sarebbe troppo poco”.
(David Foster Wallace, discorso ai laureandi del Kenyon College, 2005, in Questa è l’acqua)
Capisco che a puzzare di troll non sono io.
@ Giulia
“Ecco, è la mia chiamata. Sono messa alla prova.”
Stupendo! Vedi che è possibile?
Questo è il discorso che avrei voluto sentire alla mia laurea. E invece mi è toccato di percepirlo da lontano, come un eco nella mia testa. Non riuscivo a percepire chiaramente che cosa dicesse fino a che non ho letto questo pezzo.
@ paperinoramone
In effetti per comodità ho detto “love is the answer” prendendo spunto dal titolo del post che è appunto Amore. Il tema del discorso di DWF è certamente più sottile, me ne rendo conto. Nella prima parte parla di comprensione, compassione, solidarietà, nella seconda non attaccamento, libertà.
La prima associazione che mi è venuta leggendo il testo è stata quella con la dottrina Buddista, ma anche molte altre religioni hanno questi assunti di base. E tantissima cultura pop ha attinto dalle stesse, con effetti più o meno riusciti.
Insomma, per quanto mi riguarda in particolare (e come mi è capitato sfortunatamente di dimostrare poco fa), la lezione non è imparata, ma è nota.
Grazie di aver postato questo bellissimo brano. Sono insegnante anche io e lo farò leggere ai miei alunni.
qualcuno può spiegarmi che significa “le gioie della marmellata?”
Giulia, provo a dire questo: forse non ha importanza se l’altro ha veramente tutti quei problemi o no, se merita o no la tua ‘compassione’, sei tu che devi decidere se un esercizio simile giova o no, se è utile o no, a te stessa.
Allora, il testo è lungo, magari le cose importanti scappano.
Proviamo a fare il maestrino e segnamo uno dei due o tre punti fondamentali.
“Guardate che l’aspetto insidioso di queste forme di venerazione non è che sono malvagie o peccaminose, è che sono INCONSAPEVOLI. Sono modalità predefinite.”
La Bibbia (ma anche il filosofo Bacone) le chiamerebbe idoli.
Daccordissimo con chi dice che un pensiero del genere non è nuovo, si trova spesso negli esistenzialisti tedeschi e francesi.
In effetti la filosofia pensa sempre il Medesimo.
Il valore aggiunto del testo di DFW sta nel fatto che non si limita a dichiarare ma conduce il lettore mano per mano a sperimentare questa consapevolezza attraverso una sequenza narrativa.
E’ la magia della letteratura, appunto.
“Sapere e non agire è non sapere” (Wang Yang-ming)
>-)
c’è una registrazione del discorso fatto da dfw stesso al kenyon college nel 2005 che, se vivessimo in un bel mondo fatto di file non coperti da copyright, spedirei a voi tutti…
this is water
Bellissimo testo… Da un po’ di tempo sto cercando di cambiare il mio modo di vedere la vita quotidiana con più considerazione verso le esigenze degli altri. Ho cominciato a fare qualche piccolo complimento all’impiegata delle poste o a incoraggiare la cassiera, a ringraziare il commesso per la pazienza quando deve perdere un po’ di tempo con me – e ricevo tanti sorrisi e risposte gentili. A volte ci vuole così poco per allentare la tensione, e tutti ne ricaviamo un benificio immediato!
Una cosa che accomuna molti importanti critici, raffinati esegeti, lettori cui non la dai a bere e acuti commentatori è il fondamentale “Questo lo sapevo già”.
E’ un gioco che concede indubbie soddisfazioni: permette ampio sfoggio di erudizione, rinforza l’autostima, garantisce quella dose di cinismo essenziale alla sopravvivenza in tempi difficili, fornisce un passaporto per l’accesso diretto a un totem che sancisce l’adeguatezza al nostro tempo: il Nuovo.
In questo modo, nel caso di specie, scopriamo che il testo del plagiario DFW veniva già recitato 4000 anni fa, così come allo stesso modo veniamo a conoscenza della sostanziale identità tra Buddha, Jovanotti, Lennon, Tamaro e De Luca, oltre che, ovvio, DFW medesimo.
Il gioco ha una certa efficacia: permette una diminuzione dell’autore e delle sue parole senza costringere a entrare nel merito del COSA nè del COME. Semplicemente, quelle parole non sono Nuove: ne hanno già parlato Tizio Caio E Sempronio. Passiamo oltre.
Come esempio ulteriore va segnalato che questo è stato il massimo argomento retorico utilizzato dai detrattori di Saviano: l’avrà mica inventata lui la Camorra? Se ne parlava già nell’Ottocento, forse anche prima. Quante storie. Novità, please.
Va anche detto, però, che questi giocatori colgono un’innegabile, meritoria, Verità.
Gli umani, noiosissimi, da 4000 anni, di più mi sentirei di suggerire, parlano sempre delle stesse cose. Senso, Amore, Potere, Dèi, veri o falsi,
Relazioni, Convivenza, Morte, Pulsioni…A renderci così ripetitivi è quella ghiandola tumorale che ci è cresciuta in mezzo alle orecchie, che chiamiamo cervello e che a sua volta ha dato luogo a quell’allucinazione collettiva che chiamiamo Mente.
Lo so, si tratta di una brutta malattia.
L.
cara giulia, provo a spiegarmi meglio.
l’amore è banale? la profondità, l’incontro con l’altro sono temi banali? secondo il tuo ragionamento probabilmente sì perché, diamine, quante volte avremo sentito narrare una storia d’amore e quante volte un filosofo si sarà interrogato sul suo senso nel mondo approciando i medesimi concetti? e quante canzoni ne avranno fatto cenno? e le religioni?
e tuttavia, giulia, filosofi, scrittori e poeti ci si arrovellano da secoli perché non è nel tema quanto nell’unicità insita di ciascun essere umano attraversato da questi stessi pensieri che risiede l’originalità della sua opera. così come della sua anima.
in particolare, aggiungo, in questo preciso contesto nazionale e in questo esatto momento storico, pensieri come questi appaiono decisamente tutt’altro che banali. necessitiamo di abbeverarcene come deserti aridi di una cultura e di una delicatezza nei confronti dell’altro che non ci sono più. e tu sai che un’opera non vive solo nella testa del suo autore ma anche in quella di chi la legge, come una creatura che vive di vita propria e assume di volta in volta significati diversi.
con stima.
“Man meets God” e “Boy meets girl” sono plot sicuramente in circolazione da millenni. Ne hanno parlato da Mosé a Moccia. Non mi sembra un argomento stringente, quello della novità, dovendo commentare il brano postato da Loredana. Non sarà uno dei migliori di Wallace (e la traduzioni non gli rendono mai giustizia), eppure ci spiega proprio per bene come splende una stella, nel breve percorso che va da casa al GS e ritorno, e in estremo dettaglio. Poi ci sarà e ci sarà stato molto altro e di meglio nella narrativa mondiale (questo è un discorso tenuto a studenti, però, fatto per essere ‘detto’ e non letto), senz’altro.
Forse il problema di questo thread, e delle posizioni di alcuni – fatto salvo il diritto di dire questo mi è piaciuto, non mi è piaciuto mi era piaciuto più come l’ha detto un altro, mi è piaciuto per come l’ha detto, non è il post in se, ma il fatto che è stato interpretato come una risposta al post precedente, alle persone che avevano espresso un dissenso rispetto alla recensione di Evangelisti. Quel post si è concluso con un atteggiamento sgradevole e respingente verso questi commentatori, e questi commentatori – io inclusa – si sono sentiti messi vuoi sulla difensiva, vuoi poco rispettati nelle proprie opinioni, con la propria onestà intellettuale o politica o culturale messa in discussione per una legittima divergenza di opinioni. Al punto tale che mentre scrivo questo commento mi do della sciocca, perchè tale è il disagio che mi ha lasciato che ora torno da queste parti molto meno volentieri. E se come ha detto molto bene Valter Binaghi che quoto in pieno, il post è bello perchè dice bene cose che altri hanno detto peggio, molto peggio – perchè è appunto letterario – la sensazione che ho avuto è di una reprimenda, di un svegliati regazzina – come se mi dovesse dire cose che io, o altri non avessimo già pensato o sentito o esperito – che per altro è la sincera verità. Donde la mia moderata critica. Potrei essermi sbagliata: in tal caso la responsabilità andrebbe a un medium la scrittura in rete che polarizza agli estremi gli stati d’animo e amplifica la mancanza di chiarimenti. Succede anche questo. Però secondo me limitare i danni sarebbe saggio.
Perdonate l’ot.
“La cultura odierna ha imbrigliato queste forze in modi che hanno prodotto ricchezza, comodità, libertà personale a iosa. La libertà di essere tutti sovrani dei nostri minuscoli regni formato cranio, soli al centro di tutto il creato.”
Approfitterei per porre una domanda (la questione mi tormenta abbastanza sul piano personale): secondo voi questa cultura, questa “venerazione dell’io” è conciliabile con la genitorialità?
Non so, forse un problema è non guardare a questo testo nel suo contesto. Sarà che ho vissuto negli Stati Uniti e ho studiato e insegnato nelle loro università, ma quello che mi è mancato quando studiavo in Italia e che mi manca ora che i miei figli studiano qui, sono momenti di questo tipi, riti di passaggio segnati dalla consegna di pensieri di questo genere da portare con sé, riflessioni sulla cultura, sul nostro vivere in società. Fatte collettivamente. Ho letto tutti i commenti e sono rimasta colpita dal fatto che gli insegnanti hanno subito pensato di utilizzarlo, se non lo hanno già fatto, e Martina ha scritto che queste parole avrebbe voluto sentirle quando si è laureata, mentre ha dovuto faticosamente cercarsele.
E anche se usato da un insegnante, o tanti/e, non è purtroppo la stessa cosa che avere dei riti collettivi, dei momenti in cui ricevere insieme, periodicamente, doni di questo genere. Concordo con chi ritiene che non dica nulla di nuovo, mi piace, anche se non mi insegna cose a cui io non pensi già da tempo e che non cerchi di passare ai miei figli. Mi piacerebbe vivere in una società dove certe riflessioni facessero parte del terreno comune. Forse allora ne saremmo intrisi, forse qualcosa comincerebbe a cambiare.
Riguardo anche al vecchio post, mi chiedevo: e se anche V. Woolf come Wallace fosse, sotto sotto, reazionaria?
@Paola, Luca, Giorgia…e quanti altri si riferivano al mio commento.
Probabilmente mi sono spiegata male, certamente non stavo parlando di temi generali quali l’Amore, la Morte, Il Destino ecc. ecc.
Il tema a cui mi riferivo riguarda la prima parte del discorso, che potrebbe essere sintetizzata con “mettersi nei panni dell’altro può migliorare la vita”. E la mia rezione è semplicemente stata “ma che novità..”
Quindi, intendo proprio quel discorso lì, quello che dice “gli altri siamo noi” per intenderci.
Come ho detto, la mia perplessità è rivolta a quanti hanno commentato il post come un pensiero profondissimo. Il mio parere, che siete liberissimi di non condividere, è che sia semplicemente un discorso ispirato, forse per alcuni esteticamente accattivante, da fare a giovani in procinto di laurearsi, ma che non sia caratterizzato da nessun elemento di originalità. Mi sembra infatti la solita raccomandazione pia, detta però in modo cool.
E la prima reazione è stata pensare che se Loredana avesse postato un passo del Vangelo ci sarebbe invece stato il silenzio stampa.
Ciao a tutti!
A questo punto torno anch’io sulla mia massima cinese, perché non vorrei fosse stata equivocata (e rieccoce cogli equivoci, e insomma però quello che scrive Zaub lo provo anch’io).
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Sono d’accordo con Valter e con Luca, fermo restando il diritto di critica di quelli che non hanno apprezzato il pezzo di Wallace.
Il nocciolo della critica mi pare possa essere riassunto nel fatto che quel testo, non essendo originale, è banale e, quindi, poco degno d’attenzione.
Non mi pare che qualcuno abbia detto, però, che le parole di Wallace non siano condivisibili, o che non attingano a qualche verità profonda, anzi appartengono alla saggezza di sempre, ecc. ecc. ecc.
Ma se un testo, pur dicendo cose condivisibili e profonde, finisce nel rumore di fondo e non viene più percepito come messaggio ma come fastidioso ronzio, proprio allora mi pare che diventi degno d’attenzione, nonostante il tono beffardo di quelli che dal loro disincanto guardano alla realtà ‘per quello che veramente è’, senza lasciarsi sedurre dalle paccottiglie sentimentalemotivointellettuali a cui cedono solo gli allocchi.
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Ho letto il testo solo in traduzione, ma mi pare che Wallace stia usando dei termini informatici, per cui ‘le modalità predefinite’ di cui parla potrebbero essere simili ai default (e magari usa proprio questo termine, ma non lo so), ovvero – in un computer – le impostazioni di sistema che l’utente ‘non esperto’ in genere non modifica mai, anche perché non saprebbe dove mettere le mani.
Io almeno l’ho interpretato così.
E dunque Wallace dice agli studenti che ha davanti: ragazzi intervenite sui vostri default mentali e comportamentali che, anche se non ve ne accorgete, ci sono, prendetene atto e disinstallateli e poi sostituiteli con un software che faccia vivere meglio voi e quelli che vi stanno intorno.
Il linguaggio è nuovo, ma il messaggio è antichissimo. Non vedo lo scandalo.
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La massima cinese che ho citato nel mio intervento precedente, ‘Sapere e non agire è non sapere’, l’ho presa dagli exergo di un libro di Stanley Cohen, ‘Stati di negazione. La rimozione del dolore nella società contemporanea’ (Carocci).
Cohen scrive che da ragazzino, bianco ebreo benestante, viveva con i genitori in Sudafrica, con tutti i privilegi che il suo status gli assicurava.
Una notte, vedendo lo zulu che faceva la guardia alla loro casa, si chiese perché quell’uomo stesse fuori nel freddo della notte, perché vivesse nelle baracche dietro la villa padronale, da solo, senza familiari come tutta la servitù, in sostanza si chiese perché lui fosse il padrone e quell’uomo il servo.
Il giorno dopo fa tutte queste domande alla madre, e la madre preoccupata gli dice: “Figlio mio, tu sei ipersensibile’, perché, a interrogarsi sui default di sistema, capita spesso che ti dicono cose di questo tipo (vi risuona il termine ‘buonista’?).
Cohen ha continuato, invece, a lavorarci su e ha scritto questo libro in cui cerca di capire i meccanismi degli stati di negazione, ovvero di quei dispositivi che ti impediscono di vedere una stella pure se ce l’hai davanti.
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Dire queste cose a ragazzi americani il giorno della loro laurea non mi pare per niente banale.
In un forum (ma ho il sospetto non solo lì) chi non è d’accordo (ed argomenta!) è di solito una risorsa per tutti.
Invece qui chi non è d’accordo (ed argomenta!) vuol baruffe e si fa beffe.
Ma si accettano obiezioni?
Perla posso risponderti solo per me, perché – e questa è un’obiezione
🙂 – la tua frase mi sembra una generalizzazione indebita, che chiama in causa tutti senza distinzioni.
Per quel che mi riguarda, dunque, di solito accetto tranquillamente le critiche, è sui toni con cui sono espresse che in genere non transigo.
Valeria, sottoscrivo entrambi i tuoi commenti.
Anche a me piacciono molto queste sue parole, e spesso le ho utilizzate per darmi coraggio. Davvero ‘divertente’ il fatto che una testa come la sua lui abbia deciso di appenderla ad una corda, mentre stava scrivendo sulla noia al lavoro.
Le parole sono importanti, ma a volte anche gli antidepressivi.
Chissà quante altre illuminanti cose avrebbe potuto scrivere…
@perla: “Ah, le gioie della marmellata” – non argomenta un disaccordo, però. Per il resto sottoscrivo il disagio espresso da zauberei nel suo intervento iniziale, e le perplessità sul collegamento tra questo post e il precedente. @ilaria: Le tue osservazioni sugli Stati Uniti (e parli con cognizione di causa, evidentemente!) sono condivise da Marianella Sclavi nel suo stupendo “A una spanna da terra”, che valeria mi ha fatto conoscere, e da allora non ho più lasciato, essendo una fonte continua di ‘chiavi’ utili per guardare le cose. @valeria: andrò a leggere l’originale di DFW (qualcuno sopra ha postato il link, grazie!) e magari ci torno su, su quella frase, se ti interessa.
Mi ero ripromessa di non intervenire, ma sono costretta a farlo: non esiste, ripeto, non esiste alcun collegamento fra questo post e il precedente. Grazie.
@diana Grazie, e di riflesso a valeria. Le pile di libri sulla scrivania sul comodino sul tappeto e anche in bagno cominciano a vacillare, e anch’io, per via delle ora di sonno che sottraggo per leggere, ma corro a cercarlo.
@diana Doppio grazie. Sono andata a vedere in rete. Sto prendendo una decisione con mio figlio di 15 anni, se passare alla scuola americana. Abbiamo resistito fin qui, perché credo, crediamo nella scuola pubblica. Ma non sta funzionando per lui, non funziona il metodo, non funziona il rapporto con gli altri, sta perdendo l’amore e la curiosità per la cultura e l’apprendimento. Credo che il libro mi aiuterà enormemente nel prendere la decisione, che sarà in ogni caso difficile e dolorosa.
@Loredana. Grazie a te per il chiarimento.
Secondo me un’obiezione fondamentale al discorso di Wallace l’ha fatta Giulia nel comment Postato lunedì, 15 novembre 2010 alle 9:53 pm ma nessuno dei “sostenitori” del testo ha provato a rispondere nel merito del ragionamento fatto da Giulia
Scusa, Riccardo, ma non mi sembra che Wallace parlasse di consolare qualcuno, non contestare opinioni con cui non ci si trova d’accordo o tollerare l’aggressività altrui.
No. Questa identificazione tra obiezione a un’opinione o a un comportamento e offesa alla persona che esprime questa opinione o comportamente è abbastanza ricorrente e pure validata spesso dai fatti, ma assolutamente non obbligata.
Ci si può immaginare cosa abbia portato quella persona a comportarsi così per non squalificare la persona insieme ai suoi comportamenti e alle sue opinioni, che rimangono, comunque, criticabilissimi.
Credo che la parola chiave per salvaguardare la dignità di tutti sia ‘rispetto’.
@riccardo – Non mi sembra che DFW parli di abbonare arroganza e aggressività, o di consolare chi le pratica, almeno nel testo qui sopra. Se mai di “prestare attenzione” (uscendo dal proprio cranio, nel suo caso in perenne ebollizione e in cerca di pace). La coda pedagogica (meglio consolare o stangare?) non c’è nel discorso di DFW, è una riflessione di Giulia, legittima ma OT.
@diana. ho letto solo adesso il pezzetto del tuo messaggio per me. Io ho provato ad aprire quel link, ma non ci riesco. Grazie.
@ valeria
http://moreintelligentlife.com/story/david-foster-wallace-in-his-own-words
prova con questo. oppure sopra sopra commento del 15 nov all 1 e 09 pm di Girolamo
grazie paperinoramone. @valeria, sì, come avevi intuito usa una serie di termini mutuati dall’informatica – “default setting”, “hard-wired” (programmato per), ecc. Il discorso integrale è lungo e articolato. Oltre al passaggio sull’acqua, ce n’è un altro in cui dice: “Probabilmente, la cosa più pericolosa di un’istruzione accademica, almeno nel mio caso, è che favorisce la mia tendenza a sovra-intellettualizzare le cose, a perdermi in ragionamenti astratti nella mia testa invece di prestare semplicemente attenzione a quello che sta accadendo davanti a me, e dentro di me.”
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Questo sforzo di ancorare i suoi pensieri alla realtà dei fatti in carne e ossa, di disintellettualizzarsi (lui, Snobino, figlio di due Snob professori universitari – definizioni sue, in “Considera l’aragosta”) mi sembra che lo abbia accompagnato sempre, nella sua vita e nel suo lavoro. E’ uno dei motivi per cui lo leggo sempre volentieri.
@paperinoramone e diana. Grazie 🙂
Il fatto che poi lui non ci sia arrivato ai 50 senza attaccarsi a un cappio ci dimostra con particolare evidenza quanto questa grossa V sia inutile. Grazie lo stesso, ma continuo ad odiare i suv.
Colmensa20somethinG