ANCORA TRE

Uno.
Un lettore mi invia un link a un articolo del Wall Street Journal dove si parla degli stipendi delle donne che,  in America, hanno superato quelli degli uomini, almeno nelle aree metropolitane. Attenzione, però: il sorpasso avviene fra le donne single fra i 22 e i 30 anni.  Quando mettono su famiglia e partoriscono, i salari calano, o rimangono “stagnanti”.
Due.
Tendenza osservata negli ultimi tempi: sembra incancrenirsi una certa corsa  all’élite per quando riguarda i discorsi letterari in rete. Ovvero, si respira odor di casta nel giochino verbale, nell’allusione raffinata e, naturalmente, nel disprezzo verso il common reader. E’ una sensazione. Ma molto nitida.
Tre.
Mi piacerebbe che i portatori sani di snobismo di cui sopra intervenissero molto concretamente – con i propri mezzi: articoli, testi, documentari, status su Facebook,  quel che vogliono – sulla scuola. Personalmente sono convinta che, è vero, stiamo vivendo la  stagione più drammatica della cultura italiana: ma non perchè il romanzo è morto e i poeti vengono ignorati dagli editori. Perchè sta morendo il luogo dove la cultura si forma e si tramanda. Trascurabile, mi rendo conto, per alcuni.

67 pensieri su “ANCORA TRE

  1. Mi affaccio al blog solo oggi, e dunque bentornata Loredana, ben tornati tutti.
    D’accordo con Walter Binaghi sul fatto che bisogna partire dai dati di realtà per quel che riguarda la didattica e con Girolamo sull’analisi che fa dell’università e del baronato, anche quello un dato di realtà.
    Mi chiedo: qual è il dato di realtà della scuola italiana?
    E’ corretta la rappresentazione, che mi pare venga fuori dai commenti che ho letto, di una cittadella allo sfascio, assediata dall’esterno, totalmente ignorata dai ‘puzzoni’, ma – al suo interno – intatta?
    Lo dico perché il duro invito alla ‘responsabilità’ fatto da Claudia b. nei confronti di tutti gli altri, gli esterni: genitori ed ‘elettori’ (?), mi lascia parecchio perplessa.
    E’ possibile che il mondo della scuola, il suo interno, sia del tutto incolpevole?
    A me pare che ci sia un problema di autorappresentazione, o no?

  2. Il mondo della scuola ha bisogno di una profonda riforma, innanzitutto a partire dai contenuti dell’insegnamento, ma anche della formazione e dello status dei docenti, che si percepiscono per lo più come proletariato intellettuale (e questo a me non infastidisce più di tanto) ma scarsamente attrezzati alla bisogna del mondo contemporaneo (come uno a cui si chiede di stringere un bullone con un elastico): a fronte di tutto questo, anzichè riforme e riqualificazione arrivano solo tagli di spesa lineari, e dunque un peggioramento oggettivo delle condizioni di lavoro, oltre al disprezzo evidente per la cultura in quanto tale, sostituita dall’attenzione spasmodica alla scalata sociale, da parte dei cittadini di Berlusconia.
    Il processo cui stiamo assistendo è la fotocopia di quello che avanza nella sanità: servizi pubblici di base scarsi e aree di eccellenza (private) per chi può permettersi di pagarle. Quando qualche anno fa a Berlusconi hanno segnalato l’eccellenza degli asili in Emilia Romagna rispetto alla media europea il suo commento è stato: scandaloso che questo livello di eccellenza sia erogato dal servizio pubblico.
    Autorappresentazione della categoria? Non saprei dire in generale, dico la mia: insegnanti bravi non si esce dall’università nè oggi nè ieri. Si diventa, semmai, quando c’è forte motivazione al dialogo educativo ma anche quando non si è costretti a tappare i buchi col chewingum.

  3. Sottoscrivo parola per parola quello che dice Biondillo, anche le osservazioni di carattere, come dire, “demografico”.
    La scuola è agitata almeno da due anni, soprattutto dalla presunta riforma della signora Gelmini; Eppure io ho sentito ben poche voci del mondo intellettuale che conta (perché anche la scuola fa parte del mondo intellettuale, ma di quello che non conta un piffero e riempie i giornali soltanto all’inizio di settembre) levarsi contro questo massacro non degli insegnanti, ma degli alunni, dell’Italia che verrà.
    In Germania i tagli della Merkel – che non è esattamente una comunista esaltata – sono stati feroci, ma non hanno toccato scuola e ricerca. Stranezze teutoniche.

  4. l’Italia è la culla della cultura e dell’arte. Era.
    Adesso ci culliamo nel tentativo estremo di riportarla al vecchio splendore
    ma ormai un’ombra è calata sulla penisola. Tutti ne parlano, povera Italia. Tutti la vogliono diversa, la vogliono migliore ma non fanno che distruggerla ogni giorno di più.
    Io vorrei che la finissero di dire “tagliamo” e iniziassero a dire “creiamo”, “ricostruiamo insieme”, “collaboriamo insieme, tutti”,
    queste parole vorrei sentire dalle loro bocche. Molte persone in quest’ultimo periodo mi hanno consigliato di buttarmi nella politica ma io ci sto riflettendo bene perchè credo di essere troppo viva per questo governo di morti che ci propongono soltanto soluzioni negative.
    Io sono una artista ed è disgustoso vedere che considerazione abbia l’arte in Italia, per non parlare della cultura ormai in mano solo ai mass media. Il mio desiderio di ritornare all’estero si fà ogni giorno più forte, perchè valicando le alpi si vede già una grande differenza tra il nostro popolo “evoluto” e gli altri. A cosa ci è servito entrare in Europa? solo a far conoscere meglio altrove le magagne dei nostri politici?
    L’immagine dell’Italia a livello Europeo e internazionale è ormai distrutta e “non ci resta che piangere”.

  5. Non sono daccordo.
    Genna dice ogni tanto che l’Italia ha un ruolo profetico rispetto a ciò che sta per accadere altrove. Credo anch’io che sia così. E’ una percezione oscura, difficilmente esplicitabile e giustificabile, lo so.
    Ma, per quanto mi risulta, i parametri secondo cui altri paesi stanno meglio sono quasi sempre legati all’efficienza amministrativa (beni culturali compresi) e alla stabilità sociale, non alla cultura nel senso di “coltivazione” di valori che vadano al di là dell’agire tecnico.
    Gli alunni che riaccolgo dopo un anno passato in Inghilterra o negli USA confermano puntualmente questa impressione. Si può uccidere la cultura senza strepito, e una macelleria più ordinata e silenziosa non è precisamente un inno alla vita.

  6. scrivevo tempo fa che…
    Della scuola agli intellettuali italiani non frega nulla.
    Agli scrittori che si lamentano dei mediocri dati di vendita potrebbero tornare utili quelli di Tullio De Mauro sull’analfabetismo gigantesco che sommerge ormai questo paese disgraziato e sempre più ridicolo. Forse capirebbero anche loro che se un lettore curioso sarà difficile farlo uscire da una scuola mediocre, col collasso in corso potrebbe diventare problematico persino sfornare un adulto in grado di apporre un cartoncino con come e cognome sul portone del condominio.
    Fatta eccezione per i soliti casi costruiti ad arte, di libri se ne vendono pochi, ma a nessuno viene in mente di spostare l’attenzione sui codici cognitivi e linguistici di base indispensabili allo stesso gesto del leggere – e non parliamo dell’immaginario, ormai sfranto sul presente orrifico dei reality (che siano targati Ventura o Noemi cambia poco), che non a caso alcuni degli scrittori italiani dicono anche di apprezzare, non come lo fanno i cagnacci travestiti da fighetti alla Carlo Rossella che li spacciano per il nuovo neorealismo italiano – con il che dicendo solo la loro pochezza, intellettuale se ci credono davvero, morale se pigliano per il culo il popolino (che d’altra parte sarebbe anche ora di dire che ‘ste valanghe di merda se le va a cercare: non siamo mica nel ’45, non veniamo mica da una guerra, non siamo mica più un popolo di contadini!).
    No, gli scrittori italiani che si vogliono disinvolti discettano con allegra partecipazione sui minus habentes in digitale pur di scavarsi una nicchia di presentabilità mondana, pur di essere un nome che circola se non sui rotocalchi che nella sbandata collettiva si chiamano culturali almeno in qualche appendice giornalistico-marchettara in zona rai.
    Agli intellettuali italiani, agli scrittori in particolare, è parso disdicevole, poco elegante occuparsi di scuola. Se ne sono tenuti alla larga. Non si fa bella figura a ragionarvi sopra. Sa, come dire, di scolastico…
    Esclusi gli scrittori-insegnanti che non sono mai mancati, gli altri hanno preferito evitare il lezzo stantio dell’indigenza, la micragna del patetismo che pervade i discorsi intorno alla scuola. Ragionano, quando lo fanno, sull’apocalisse in corso e non gli viene in mente di farsi due domande sull’alfabetizzazione strutturale con cui si manifattura il sapere minimo di un paese; molto più interessante, ovvio, seguire i linguaggi della spettacolarizzazione di massa, il più delle volte depauperando la stessa letteratura che non può reggere certi confronti perché, semplicemente, non ne ha bisogno – sempre che letteratura lo sia per davvero. Chi riesce a campare con la vendita dei propri libri, se viene fortuitamente visitato dall’immagine di una classe di bambocci o peggio, di bulletti, ringrazia il padreterno (che non ci ha mai fatto il piacere di esserci quando ci serviva), di averlo salvato dalla iattura.
    Se non fotte niente agli intellettuali, figurarsi agli italiani “medi”: popolino di cialtroni cui basta un po’ di sesso, una macchina, molto calcio e pappardelle. Per essere felice? No, per abbrutirsi illudendosi di vivere. E che cosa sarà mai la scuola, per un italiano mediamente ignorante, un soggetto il cui massimo contributo alla polis è dato – e se ne potrebbe fare a meno – in quella parodistica caverna che è la cabina elettorale? Non capendo il valore della formazione, non avendo idea della medesima fuori dalla propria squadra – non sempre la nazionale, perché non ci sono abbastanza giocatori dell’Inter o della Roma – dal loro punto di vista ciò che può venire dalla scuola è un goffo repertorio di nozioni che possono agevolmente apprendersi davanti alla tv – giustamente, rebus sic stantibus, non si capisce cosa aspettano a chiuderle del tutto.
    aggiungo ora: che sia nazione indiana o altro, i navigatori di rotte letterarie quando s’imbattono in un isolotto con la bandiera “scuola” vanno via a vele spiegate

  7. Intanto ho scoperto il perfetto pendant intellettuale della Gelmini.
    Mi era sfuggito, questo ennesimo capolavoro di paraculaggine di Baricco, che elogia la superficie e confonda (da buon superficiale) l’ascetismo elitario del chierico di un tempo con l’atteggiamento ermeneutico, cioè l’unico modo per appropriarsi di una realtà non bidimensionale.
    Nella sua ansia di piacere all’universo mondo e di presentarsi come il vate delle invasioni barbariche (ma col culo ben piantato su poltronazze pontificali), ecco qui uno di quelli che vorrei mettere in cattedra per un paio di giorni in un istituto professionale.
    Ma quanto è fatuo quest’uomo?
    http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2010/08/26/news/barbari_2026-6516602/index.html?ref=search

  8. @Walter Binaghi. Conosco poco il mondo della scuola, un po’ di più quello della ricerca, per cui posso parlare con un po’ più di cognizione di causa solo di uno spicchio di questo.
    La mia domanda si riferiva alla percezione del mondo del lavoro e di se stessi in quanto lavoratori, e del modo di immaginare, formulare, rappresentare autonomamente questa percezione in modo politico, al di là dei referenti ‘politici’ istituzionali e delle rappresetazioni esterne, carenti e il più delle volte inesistenti (vedi la distrazione degli ‘intellettuali’).
    L’impressione è che si sia persa da tempo la dimensione collettiva e politica dei problemi e che questa non si possa recuperare, in fretta e furia, di fronte ai disastri, peraltro ampiamente annunciati.

  9. Ma sei un vero precog, Walter, nella scuola padana ci avevi messo dentro pure la trota. Comunque, belli tutti e tre i racconti. Mi sarebbe piaciuto ridere, ma non ci sono riuscita.

  10. Lo sfascio della scuola è di parecchio precedente ai danni pur evidenti dei governi di centrodestra; forse sarebbe il caso di scindere il problema di chi ha bisogno di lavorare (ingannato per anni da costosissimi corsi abilitanti, ivi comprese le SSIS, utili soprattutto a riempire le casse delle Università, come sa chiunque li abbia frequentati, ma soprattutto chiunque ci abbia insegnato, come me) da quello delle necessità delle famiglie (la scuola primaria prevede ormai ALMENO 5 ore al giorno, una forma di crudeltà che ricorda i tempi di lavoro dei bambini londinesi dell’Ottocento. E per forza, chi li va a prendere i bambini, se le mamme e i papà lavorano? Ah, la socializzazione, già..va bene, ma che nessuno poi si lamenti della “massa”) da quello della capacità della scuola di fare formazione. A me pare che si siano innescati una serie di discutibili automatismi di ragionamento che vedono innanzitutto la scuola come UNICA agenzia formativa (buon vecchio Illich: aveva parecchie ragioni a mio avviso, io a 55 anni non conosco ancora nessuno che abbia imparato ad usare un computer a scuola ), ma soprattutto considerano assiomatica la coincidenza tra efficacia della formazione e TEMPO trascorso a scuola, considerano assiomatica la coincidenza tra efficacia della formazione e NUMERO delle discipline studiate (anche all’Università, è l’esito perverso dell’articolazione in crediti, termine –l’Europa mica le fa sempre tutte giuste, eh- che non avrebbe mai neanche dovuto fare capolino in un ambiente formativo; ma anche alle Medie, l’avete vista una pagella delle medie?arriviamo anche a 25 voti), considerano assiomatica la coincidenza tra efficacia della formazione e numero di persone addette a fornirla, ecc.ecc.
    Se a questo si aggiunge la totale mancanza di strumenti di sanzione per gli studenti e per i docenti (voi non l’avete incontrato un preside che di fronte ad un insegnante incapace trova come unica soluzione quello di spostarlo da una parte all’altra per ripartire il danno? Io sì, è quello di mio figlio); se a questo si aggiunge il ruolo ambiguo dei sindacati (o vogliamo credere che i sindacati non abbiano avuto alcun interesse negli anni passati a mantenere una massa di precariato, in nome del quale rivendicare millemila sanatorie che hanno ficcato nella scuola chiunque?);
    lo sfascio è bello e completo.
    Ah, no, manca ancora una cosa..le teorie pedagogiche, sulla base delle quali, grazie alle iniziative illuminate di migliaia di insegnanti, presidi, formatori in servizio e sperimentatori di ogni natura (la sperimentazione Brocca, e chi se la scorda?), si è deciso per esempio che in questo paese dai sei ai diciotto anni nessuno studi più un minimo di geografia.
    Ho grande solidarietà verso chi perde il lavoro, ma per cortesia separiamo le cose, perché se come insegnante sono solo avvilita, come genitore sono fuori di me.

  11. “voi non l’avete incontrato un preside che di fronte ad un insegnante incapace trova come unica soluzione quello di spostarlo da una parte all’altra per ripartire il danno?Io sì, è quello di mio figlio”.
    Il Vaticano ha fatto scuola…

  12. sono un’insegnante. una dei tanti. prima di ogni altra considerazione, ti devo dire grazie: per aver puntato il dito sulla questione con tanta chiarezza, per lo spazio di dibattito, per la discussione.
    di discussione c’è bisogno, seria. perché pare impossibile che non si riesca a far passare quello che tu hai detto così bene: che affossare l’educazione e la cultura dei suoi futuri cittadini, per un paese, significa andare avanti ciecamente verso il burrone. e pare anche più impossibile perché la scuola è davvero di tutti, almeno nei paesi occidentali avanzati dove vige un livello serio di istruzione obbligatoria. non di coloro che ci lavorano e basta. di tutti. oramai un diritto sociale.
    è un processo lungo, quello del riscatto della scuola. che passa attraverso fasi e attenzioni diverse, io credo, di tutte le componenti del corpo sociale (da una riforma vera del sistema educazione, dall’ideazione di un sistema reale di formazione e selezione degli insegnanti, da un’attenzione all’edilizia scolastica seria, perché il luogo dove tutti tracorrono, dai 3 almeno ai 16 se non ai 19 anni tanta parte del loro tempo possa essere adeguatamente formativo, fino ad arrivare a un recupero non snobistico della funzione dell’insegnante da parte di chi fa cultura. e non per avere il gusto di essere citati su alias, ma perché inserire seriamente il modo di fare educazione nel dibattito di un paese significa poter portare avanti quella stessa educazione, e coloro che ne sono materialmente i protagonisti, in un altro modo).
    scrivo molto in fretta, perché le idee sono tante e il tempo meno perché domani la scuola (a 50 km da casa) mi aspetta alle otto. ma quello che voglio dire è che solo così si creano le condizioni perché poi la scuola possa essere luogo di raccordo e insieme catalizzante di crescita, di educazione, di istruzione, perché sappia istillare curiosità, passioni, amori (perché no? anche odi), facendosi interprete di tutte quelle meravigliose cose che sono pertinenza di un ragazzo che cresce. ricordandosi che, grazie al cielo, se si vuole questo (anche se a prezzo di grande fatica, e con la sensazione di essere, fuori e dentro la scuola, molto molto soli) è ancora possibile. la scuola può ancora entusiasmare alla lettura, perché i protagonisti, grazie al cielo, alla fin fine, sono loro, gli studenti. ma a ch prezzo, ormai? e con la sensazione di predicare al buio. e, soprattutto, fino a quando?

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