Uno.
Un lettore mi invia un link a un articolo del Wall Street Journal dove si parla degli stipendi delle donne che, in America, hanno superato quelli degli uomini, almeno nelle aree metropolitane. Attenzione, però: il sorpasso avviene fra le donne single fra i 22 e i 30 anni. Quando mettono su famiglia e partoriscono, i salari calano, o rimangono “stagnanti”.
Due.
Tendenza osservata negli ultimi tempi: sembra incancrenirsi una certa corsa all’élite per quando riguarda i discorsi letterari in rete. Ovvero, si respira odor di casta nel giochino verbale, nell’allusione raffinata e, naturalmente, nel disprezzo verso il common reader. E’ una sensazione. Ma molto nitida.
Tre.
Mi piacerebbe che i portatori sani di snobismo di cui sopra intervenissero molto concretamente – con i propri mezzi: articoli, testi, documentari, status su Facebook, quel che vogliono – sulla scuola. Personalmente sono convinta che, è vero, stiamo vivendo la stagione più drammatica della cultura italiana: ma non perchè il romanzo è morto e i poeti vengono ignorati dagli editori. Perchè sta morendo il luogo dove la cultura si forma e si tramanda. Trascurabile, mi rendo conto, per alcuni.
ma io credo che i puzzoni del punto due, concordino molto sulla questione del punto tre. Io non sono sicura però che sia tutto scuola il problema ecco. Poi forse non ho neanche capito il diametro della cerchia dei puzzoni, forse sto seduta sur perimetro.
Concorderanno anche, ma come mai si dedicano con tanto fervore a parlare d’altro, allora?
“…Ovvero, si respira odor di casta nel giochino verbale, nell’allusione raffinata e, naturalmente, nel disprezzo verso il common reader. E’ una sensazione. Ma molto nitida.”
Non è una sensazione. È la realtà. Una domanda: sbaglio o molte delle persone che professano tale attitudine elitaria, si autodefiniscono “di sinistra”? Che dici… non è cosa assai sgradevole?
Ad ogni modo, bentornata.
Non sbagli affatto. Purtroppo.
Penso si tratti proprio di una questione di snobismo. Parlare della scuola e dei suoi problemi è – come dire – da plebei, o da aspiranti demagoghi, quindi “loro” non lo fanno.
Oh, poi magari mi sbaglio eh.
Ma comunque, c’è da dire che a me la passione per la lettura non l’ha instillata la scuola (al di là del discorso dell’effettivo valore delle scuole che ho frequentato… uhm… iniziano ad essere un po’ di anni fa) quanto proprio per una sorta di ribellione contro i testi imposti (testi edificanti e corretti, avendo fatto le elementari dalle suore)
Avrebbe fatto bene a intervistarti Elisabetta Sgarbi per il film “Se hai una montagna di neve, tienila all’ombra”, in programma qui alla Mostra del Cinema di Venezia. Magari avresti detto tu qualcosa di nuovo sullo stato della cultura in Italia. Nel film abbonda il deja entendu:-/
“Perché sta morendo il luogo dove la cultura si forma e si tramanda.” giudizio perfetto, e il concetto non può essere espresso meglio.
Onestamente, sono senza parole: e non sono la sola. Una persona che stimo, su Facebook, ha appena dichiarato cose molto simili: il salottino è intollerabile qualora continui a svolgersi in giorni in cui accadono cose infamanti per tutti noi. Vi rimando a questa pagina:
http://www.facebook.com/profile.php?id=100000317553661&ref=ts
Ti sbagli Loredana.
Al momento le ‘cose’ di sinistra sono:
A) farsi folgorare sulla via etica di Damasco, ora, adesso, 2010, dal conflitto d’interessi, vomitarlo sugli altri, e mettersi sul piedistallo.
B) Misurare il tasso di letterarietà, attraverso una formula nota a tutti, nei testi dei narratori italiani contemporanei.
La scuola. Che palle.
Comunque, se proprio lo vuoi sapere, la proposta di sinistra è ovvia: boicottare i testi einaudi e mondadori, non adottarli, impedirne la lettura a quelle teste di cazzo di studenti che poi andrebbero a dare tutti i soldi a B.
Sono cose ovvie, dispiace doverle spiegare, però, visto che non ci arrivi da sola, è necessario farlo.
L.
Io spendo, ancora una volta, i miei cinque centesimi per ricordare quello che Tullio De Mauro dice molto meglio di me nel libro La cultura degli italiani: in Italia per “cultura” ancora oggi troppo spesso si intende cultura umanistica, anzi letteraria, e non di rado cultura letteraria come intesa a livello univesitario.
Se non fosse triste, sarebbe divertente osservare da fuori le posizioni di chi è dentro, a vario titolo e grado di consapevolezza, questo pregiudizio. Ma le conseguenze sono tragiche, e i ragazzi a scuola sono le prime vittime di questo equivoco…
Se non fosse che le parole della riforma (!) Gelmini – che per altro non fanno che allinearsi alle direttive europee – non potranno che restare sulla carta, visti i tagli e i mancati reinvestimenti sulla scuola, si potrebbe pensare che nell’approntare il documento si sia voluto tener conto del superamento della dicotomia tra cultura umanistica/ cultura scientifica e tecnica, almeno nell’istruzione professionale. È l’Istituto professionale, infatti, il mio osservatorio sulla realtà (e qui lo offro a chi volesse guardarlo dal di fuori), luogo che dovrebbe consentire la sintesi di tale nuova visione culturale.
Peccato che siamo assai lontani dal disporre delle risorse necessarie per una didattica laboratoriale efficace, peccato che la formazione dei docenti a questi nuovi approcci metodologici sia tutta da inventare, peccato che a tutt’oggi non ci siano chiare indicazioni su molti aspetti attuativi dei nuovi ordinamenti, peccato che l’utenza di questo tipo di scuole abbia problematiche più affini alla rieducazione – in senso assai più ampio che non quello strettamente scolastico – attivata spesso senza strutture o risorse adeguate…
La scuola, e la necessaria riforma per renderla efficace nel contesto attuale, dovrebbe essere oggetto di veri e propri stati generali e quindi di massicci finanziamenti ma, prima ancora, bisognerebbe fare una campagna di sensibilizzazione culturale che ne evidenziasse l’importanza personale e sociale. Sarebbe necessario proporre modelli positivi legati al successo scolastico frutto dell’applicazione seria e costante, veri modelli capaci di contrastare lo squallore imperante, basato sul successo immediato frutto di pressapochismo o altre “doti”. Il modello self made man non deve basarsi sulle capacità di mostrarsi più furbo a scapito degli altri ma deve essere proposto come punto d’arrivo di un percorso di crescita culturale ed umana, che consideri l’altro non come il fesso da f…re ma come interfaccia di una realtà complessa…
Io non sento discorsi simili sulla scuola in giro… ma solo o un mare di lagnanze o tante vuote vanterie…
Con tanta amarezza, vi saluto
“Ma comunque, c’è da dire che a me la passione per la lettura non l’ha instillata la scuola (al di là del discorso dell’effettivo valore delle scuole che ho frequentato… uhm… iniziano ad essere un po’ di anni fa) quanto proprio per una sorta di ribellione contro i testi imposti (testi edificanti e corretti, avendo fatto le elementari dalle suore)”
Inzio da questa citazione presa dal commentario, perché questo è il normale punto di vista dal quale viene affrontata la questione scuola da parte sia dei lettori che degli intellettuali di sinistra (?) che li infarciscono di idee puzzone su cosa e come dovrebbe essere la Letteratura. Tutti bravi a farsi invitare nelle scuole e nelle aule universitarie, ma se la scuola crolla, e l’università è diventata la terra di nessuno, bhe’, si andrà agli spriz letterari, chissenefrega.
Tanto a scuola si leggono testi ammuffiti, la vera cultura uno la scopre *dopo*.
Ma a leggere e scrivere chi vi ha insegnato? Quella materia obsoleta che va sotto il nome di Storia, dove l’avete studiata? E certo che poi si decide cosa leggere e scrivere.
Poi.
Si *decide* – *cosa* – *leggere* – e *scrivere*.
Ma se non sai né leggere né scrivere: cosa decidi? Come? Quando?
La questione sembra essere cosa venga insegnato nelle aule scolastiche, come si venga introdotti alla lettura, alla cultura, insomma: al pensiero. E non in che condizioni siano costretti a lavorare gli insegnanti, ovvero lavoratori (sia i precari che quelli di ruolo) sottostipendiati, alle prese con allievi che al di fuori delle quattro mura dell’istituto scolastico si confrontano quotidianamente con un Paese che è morto dentro, che non ha nulla da dare, in cui l’assenza di futuro è tangibile, nel senso proprio che si tocca con mano. Il senso di angoscia di ragazzi di 16, 17, 18 anni, l’età della Ragione, si vede da quello che scrivono nei temi, dai commenti che fanno in classe. Quello è il luogo dove ai ragazzi viene insegnato a pensare, a cui il corpo docente ha il dovere civile di trasferire fiducia nel futuro. Ma se più di un quarto del corpo docente nazionale o non è abilitato, oppure dopo il calvario dell’abilitazione vive in uno stato di angoscia per l’ipotesi di mancato rinnovo, in quale modo, da chi, ai vostri figli dovrebbe venire trasferita fiducia? Gliela infondete voi, a casa vostra la fiducia? Allora inizate a nascondere i quotidiani, a mettere i sigilli a Internet e alla TV. Ma se anche non glielo dite voi ai vostri figli dove vivono, e se anche gli insegnanti sono ridotti alla fame e non hanno né la voglia né la forza di dirglielo, quelli lo sanno già.
E se i vostri figli adolescenti lo sanno già senza che nessuno di voi glielo abbia mai detto, allora è arrivato il momento della vergogna.
Il pensiero critico, che dovrebbe essere critico, è diventata lagnanza. Ma neppure le lagnanze degli dei cahiers, ché saremmo già a un passo dalla Rivoluzione. No, quella del “che tristezza questo, e che tristezza quello”, come se l’elettore italiano non avesse alcuna responsabilità in ciò che è accaduto in Italia nel corso degli ultimi vent’anni.
Responsabilità. Dice ancora qualcosa questa parola?
Senza la scuola questo Paese può chiudere bottega.
Che chi fa salottino inizi a rendersene conto:
vi sta cadendo il cerone, vi si stanno sfacendi i corpi.
Non contante più un cazzo di niente. Siete zombie.
Pregasi guardare tutta l’intervista al Cittadino e Rivoluzionario Giacomo Russo, in sciopero della fame:
http://www.youtube.com/watch?v=tk5pE6jDfQo
Condivido parola per parola quello che scrive Claudia. Questa mattina, dopo aver letto in rete (blog, facebook, altro) di come si stia evolvendo la “discussione culturale” e come si sia svolta nelle settimane precedenti, mi sono cadute le braccia.
Grazie Loredana.
Anche Nazione Indiana ha dedicato un post sulla questione del precariato. Ovviamente, scansato con cura dai commentatori.
mi sei mancata, solo questo.
Il punto principale è proprio quello rimarcato nel finale dell’intervento: tornare a ragionare sugli spazi e sui modi, prima ancora che sui concetti (che di certo non si sono mai formati in astratto dalle condizioni materiali della loro produzione). La scuola, per semplificare il pensiero di Claudia, ci dà gli strumenti necessari a scegliere. Porto il mio esempio, di chi alle superiori ha fatto ragioneria. È vero che apparentemente non c’entra niente con il mio percorso successivo, eppure ho avuto la fortuna di avere degli insegnanti, e in particolare quella di lettera, che mi hanno fatto appassionare alla materia e mi hanno dato quegli strumenti necessari perché io potessi continuare all’università, e continuare facendo una scelta assolutamente azzardata come quella di Lettere.
Un altro aspetto da non sottovalutare, che trovo inquietante, è quello di una guerra tra poveri che rischia di prendere sempre più piede e che andrebbe contro il tentativo assolutamente necessario di fare rete non solo tra chi vive la precarietà sulla propria pelle, ma anche tra chi rischia di viverla in un futuro prossimo, visto l’andazzo generale… Uno scenario, questo, che un film come “La Banda del brasiliano” dipinge in modo molto chiaro (per chi fosse interessato ad approfondire ne ho scritto qui: http://precariementi.splinder.com/post/23181144/la-banda-del-brasiliano-questi-balordi).
Ma come si fa a migliorare la scuola se il 97% del bilancio va in costo del lavoro? invece che allungare l’età pensionistica sarebbe meglio far andare in pensione almeno un 20% di docenti senza sostituirli e imporre al restante 80 un carico di 4 ore settimanali in più, con adeguato aumento salariale. Per me questo significherebbe affrontare con serietà il problema.
Così chi vuole lavorare e guadagnare può farlo, chi manifesta il sacrosanto diritto di uscire da un luogo fetido, qual è il mondo scolastico degli ultimi 20 anni, avrà finalmente una vita serena. Ma figurarsi, subito scatterebbero le resistenze di chi ha il doppio lavoro, di chi non può pagarsi 4 ore di baby sitter, di chi semplicemente non ha voglia di far nulla e nel sistema ci sguazza.
Ma abbiamo dimenticato la riforma del buon Berlinguer? quella che prevedeva ogni 10 anni esami ai docenti ai fini dell’avanzamento di carriera? stai fresco, con le orecchie d’asino lo raffigurarono, i professori.
La sinistra sa bene che questa è la strada per rilanciare la scuola italiana, un percorso di responsabilità e di sacrifici per il personale docente e non. ma quel personale è anche un grande serbatoio di voti, come si può, obiettivamente, mettergli poi il pepe in quei posti?
.
“Ma abbiamo dimenticato la riforma del buon Berlinguer?”.
Zilberstein, ma stai parlando del “buon Berlinguer” che ha mandato a monte l’università italiana con la “geniale” idea delle lauree brevi?
Tutto ma non rimpiangere i ministri della cultura precedenti, per favore.
La delocalizzazione strisciante della cultura e dell’impegno politico sulla scuola pubblica sono iniziati da molto tempo, e vi hanno concorso molti fattori. Usare il pubblico impiego (e quindi anche il corpo insegnante), gonfiato oltre ogni limite speciamente al sud, come forma di conquista clientelare del voto, con migliaia di insegnanti immessi ope legis e senza concorsi è stato un bell’inizio, per dire.
Si è continuato elevando ingiustificati peana alle nuove tecnologie, con l’unico risultato di far fare affari d’oro a chi vendeva computer e software, dimenticando che solo un ragazzo che ha chiare le distinzioni logiche tra genere specie e individuo è in grado di fare una ricerca efficace su Google: intanto l’università ignara continuava a sfornare “umanisti” con la testa nel decadentismo di fine ottocento.
Poi arrivano Berlusconi Tremonti e Gelmini con la loro macelleria sdociale e culturale travestita da riforma scolastica, ma avendo buon gioco presso una piccola borghesia incarognita dalla partita IVA e analfabeta di ritorno a furia di “nuove tecnologie” risoltesi in SMS e chat, a sostenere che il paese va male perchè la spesa pubblica è eccessiva.
Comunque, anche se i Cortellessa e i Cordelli si fanno pippe altrove, noi qui si protesta e come.
http://valterbinaghi.wordpress.com/2010/09/01/forme-di-lotta-nella-scuola-di-valter-binaghi/
Grazie Valter: l’invito, per te, Claudia, tutti coloro che sono interessati al mondo reale, è di utilizzare come meglio credete anche Lipperatura. Mi sembra il minimo.
Ottima protesta, Valter – sul tuo blog non riesco a commentare. Avete preso di mira anche l’editoria scolastica? Ho il dente avvelenato anche con quella, io…
Cara Claudia, il commento che hai riportato è il mio.
Scusami, io lo dico sempre che sono tonta, e non ho ben capito la prima parte del tuo commento. Forse stai dicendo che alla fin fine io rientro tra i puzzoni faciloni di sinistra. chissà, magari hai ragione tu.
Ora io ho imparato a leggere a scuola, esatto. Anzi, ho imparato all’asilo, perché quando vedevo delle lettere chiedevo alla suora di dirmi quali erano.
E ho imparato a scrivere a scuola.
Ma chi mi ha insegnato a scrivere (e non intendo a tenere in mano una penna) è stato un singolo professore. Professore che tra l’altro veniva da un background molto diverso, era stato un giornalista.
E chi mi ha insegnato a “leggere” è stata una professoressa. Una.
Io leggo da Dante a Camilleri, da Melville a King, mi piacciono i saggi storici (anche la storia, ho preso il gusto per la storia all’università, non al liceo) e letterari.
Mi sono appassionata alla storia dell’arte *dopo* come dici tu.
Quel *dopo*.
Di chi è la colpa se una come me ha imparato certe cose *dopo*?
Delle mie idee puzzone sulla scuola?
Io ho fatto il liceo dal ’91 al ’97, e allora c’erano dei problemi. Che non lo so se sono gli stessi di ora, ma allora: l’aula di chimica era inagibile, la sala dei computer, tutti nuovi, ci era preclusa (poteva usare i computer solo il genietto nerd locale), il massimo della tecnologia era il proiettore di diapositive usato dal professore-giornalista.
Che poi ho ripetuto un anno, ho cambiato sezione e edificio, e dall’altra parte (aula di chimica? Computer? Videoproiettori? Ma lol!)
Quindi è proprio la scuola che va cambiata.
Su questo mi pare che siamo d’accordo.
Ti regalo uno spunto, che prima o poi approfondirò. Negli anni Ottanta arrivò nelle scuole una vera rivoluzione culturale: “Il materiale e l’immaginario”, manuale formalmente d’italiano, ma che poteva essere usato indifferentemente per percorsi filosofici e storici. Era curato da Remo Ceserani e Lidia De Federicis (orrore: non era una baronessa, e neanche ricercatrice). La trasversalità e la pluridisciplinarietà all’opera: non a parole o per vuote formule, ma nel vivo dei testi. Opera faticosa (per i docenti), che anticipava una scuola che si sperava sarebbe venuta. Come credi che abbia reagito l’Accademia Letteraria? Recependo le novità e rilanciando? Certo che no. Quel manuale è rimasto una cattedrale nel deserto, e una volta esauritosi sono ri-comparsi i manuali “disciplinari”, le storie della letteratura fini a se stesse: la vera restaurazione, proprio nel senso in cui ne parlava un tempo Moresco (sbagliando bersaglio), nel cuore stesso dell’apprendimento. La letteratura di qua (con la sua schedina storiografica a latere, a mo’ di post it), la storia di là (che non è compito mio, dice il profe di italiano), la filosofia da quell’altra parte (idem come sopra). E alla pluridisciplinarietà, senza un testo comune di riferimento, non resta che attendere il colpo di grazia dei provvedimenti degli ultimi 3 (dico: TRE, destra-sinistra-destra) ministri della scuola. È anche così che si è preparata la strada a quello che Gelmini fa oggi.
Nel mondo reale si creano confronti e ci si indigna, si discute e si litiga correttamente. La scuola è importante, è il metro per poter scegliere, per sviluppare un personale senso critico, ça va sans dire. Dunque sposo in pieno la causa, ma questa storia dello snobismo e del salottino non mi piace neanche un po’.
Siamo in una vera emergenza culturale, d’accordo, ma ognuno ha il diritto di poter dire la propria senza ditini alzati. Les cahiers de doleances non stanno da una parte sola, scrollatevi di dosso questa ragionevolezza inane (con gli status sul social network aiutiamo la scuola? Mon Dieu). Cosa è scontro tra gli scolastici e gli accademici?
Poi io non conosco common readers, conosco persone.
@Vale, certo che siamo d’accordo, e il puzzone di certo non era riferito a te, ma a chi pompa la questione della qualità letteraria e non si occupa minimamente dello stato in cui versa il luogo in cui si impara ad articolare i discorsi.
@Valter, molto interessante sia il post che il commentario. Da precaria di terza fascia (quindi molto limitata nell’azione decisionale sulla adozione di libri di testo e sulle gite), sono felice di constatare che i colleghi di ruolo si stanno muovendo. Un mito da sfatare fra i precari è che i docenti di ruolo si disinteressino di ciò che riguarda la scuola una volta ottenuto il contratto a tempo indeterminato. Altro mito da sfatare è abilitati e non abilitati si facciano la guerra fra poveri di cui parla Simone. La situazione è così drammatica che include tutti. Per i precari, la lotta riguarda le questioni dell’abilitazione e del mancato rinnovo, ma una volta dentro la situazione rimane estremamente tesa. (ps: ho rilanciato il tuo post sul profilo di PrecarieMenti su facebook, che però mi sa tu non frequenti).
Vincent, hai un lavoro fisso, e in che campo? Qui stiamo parlando di cose abbastanza prosaiche.
Oh, bene. No, perché certe volte sono tonta davvero.
Vincent: anche. Usare la rete per alzare il mignolo, che è cosa che negli ultimi tempi avviene sempre più di frequente, rispecchia comunque una scelta precisa. Legittima, per carità.
Che io non faccio, Loredana, quella di alzare il mignolo, ma tento di capire le ragioni di chi lo fa, spesso inutilmente. Riconosci la legittimità, siamo in un quasi comune sentire, allora, tanto basta. Saluti belli.
@Girolamo
sono stata una studentessa di liceo che ha studiato sul “Il Materiale e l’Immaginario”, sottoscrivo in tutto e per tutto la tua riflessione.
Sulla scuola: sto saltando da qui al blog di binaghi, a nazione indiana. Anch’io amaramente d’accordo con claudia. E anche con valter Binaghi.
Piccola esperienza come genitore: scuola della periferia milanese, un istituto comprensivo (materne, elementari, medie), corpo docente in larga misura stabile, un dirigente coi controfiocchi, un comitato genitori molto attivo da cui discende da anni una buona collaborazione tra scuola e famiglie. Subiamo da anni i tagli di docenti, soldi, risorse per il sostegno… al momento dell’approvazione del bilancio della scuola – che spetta al consiglio di istituto – abbiamo scelto di continuare a considerare le centinaia di migliaia di euro che il ministero deve alla scuola (che con quei soldi ha pagato supplenze soprattutto) come soldi che la scuola vanta come credito; abbiamo scelto di non assecondare le indicazioni istituzionali che dicevano si, sono un credito ma… Per spiegare questa scelta abbiamo scritto una lettera a tutte le famiglie della scuola; una lettera del Consiglio di Istituto, approvata da tutte le componenti, non una lettera da parte di genitori esaltati e comunisti. Abbiamo cercato di spiegare con parole semplici quello che sta succedendo. Risposte : zero. E’ questo anche che è disperante: come fare a raggiungere gli altri, come fare a uscire dal ristretto giro dei soliti che si ripetono le solite cose. Sulle gite: d’accordo con la scelta della scuola di Binaghi; anche noi ci siamo posti il problema: ma la gente capirà davvero solo quando si vedrà recapitare i figli a casa alle canoniche dodici e mezza? solo allora capirà che è saltato il tempo pieno? solo quando scoprirà di avere un problema di “gestione”? Non so. Le esperienze degli ultimi mesi, in cui durante le assemblee di classe si diceva ai genitori guardate che dall’anno prossimo saltano le compresenze, i laboratori, rischiamo alle elementari un orario da scuola media, con tre/quattro e forse più insegnanti a ruotare sulle classi, beh le risposte erano ehhh certo che così non si può andare avanti..allora ciao ci vediamo hai già prenotato per la comunione/la cresima/il saggio di danza? Se dici la parola “cultura” fuori da scuola ti guardano come se fossi un’aliena…
E comunque, tanto per fare l’avvocato del diavolo, o più semplicemente per dire che il tema è più che complesso: parliamo degli insegnanti, dei collegi docenti, delle scelte che ci arrivano come famiglie? parliamo della ventina di libri di testo – bellissimi, spesso – che abbiamo acquistato in prima media, e di cui forse tre o quattro sono stati usati? gli altri letteralmente mai aperti? Che messaggio passa da queste pratiche alle famiglie che già considerano la scuola, i saperi, la cultura come degli orpelli?
@claudia b.
Ti ringrazio molto. Purtroppo sono io sentirmi abbastanza in colpa sulla situazione dei precari, rispetto alla quale c’è totale impotenza da parte dei docenti di ruolo. L’unica cosa che possiamo fare è far percepire ai genitori che queste classi iniziali di trentacinque alunni (la causa dei tagli delle cattedre) sono l’anticamera dell’inferno per gli alunni prima che per gli insegnanti. Ragazzi di prima superiore che arrivano da scuole medie diverse con preparazioni eterogenee, e non potranno avere i tempi e l’attenzione necessari alla bisogna. Ci saranno molte più bocciature, evitabilissime in altro modo.
A questo proposito stamattina mi sono ricordato mio nonno: aveva fatto la quinta elementare, ma allevava conigli nel portico. La prima cosa che mi ha insegnato è che i conigli sono tanto più incazzosi e maldisposti quanto meno spazio hanno a disposizione. Oggi che abbiamo pure gli studi di prossemica, possibile che una cosa così semplice ai pedagogisti della Gelmini non passi nemmeno per l’anticamera del cervello?
@paola signorino
Purtroppo è così: i genitori capiscono solo quando sono toccati sul vivo. Non perchè la categoria dei genitori (di cui faccio parte) sia una massa di cinghiali, ma è inutile negare che la classe media e proletaria italiana è diventata tale negli ultimi trent’anni, e da questo punto di vista non il Berlusconi politico (che è un effetto) ma la tv commerciale assurta ad agenzia formativa unica del paese ha responsabilità enormi. Se penso all’attenzione ossessiva con cui mia madre ci ha iniziati a letture semplici (libri arrivati coi punti Galbani e Star, che soldi per la libreria non ce n’era) e poi ha accompagnato gli studi miei e di mia sorella (finchè ne è stata in grado) e la confronto coi comportamenti di genitori con cui mi tocca a volte avere a che fare, mi vengono le lacrime agli occhi.
Come mi vengono quando Girolamo cita “Il materiale e l’immaginario”, e quando ricordo alcuni testi scolastici ancora degli anni Ottanta. Per dire che un patrimonio di sapienza pedagogica c’era eccome in questo paese, e lo si è dilapidato andando dietro al peggio, perchè come insegna la storia la moneta cattiva scaccia quella buona, in assenza di correzioni da parte della politica.
@ binaghi
il disastro ha molti padri ma non si può negare che trovi origine anche e specialmente da un tacito e scellerato patto di convenienze tra Stato e docenti, vuoi per scopi elettorali vuoi per interesse dei singoli.
Valli a toccare, i professori, per fare uno fra cento esempi, su quelle benedette 18 o 20 ore e vedi che succede. Certo vanno retribuiti, restituendo loro un minimo di dignità da quello stato di straccioneria sociale in cui li hanno relegati, così accorciando il divario con la media europea, cosa che non possiamo permetterci perché sono troppi. E allora mandiamone in pensione una certa fetta e diamo ai restanti maggior salario aumentandone l’orario di lavoro. Mi sembra meglio che illudere precari.
@ anna luisa
siccome stiamo parlando di scuola parlo del berlinguer scolastico.
Da quel che so e’ l’unico che ha promosso una riforma decente di un esame di stato che dai tempi di Fiorentino Sullo nessuno osava toccare, ed è anche l’unico che ha tentato di accrescere l’efficienza della funzione docente ‘anche’ con la proposta di verificarne l’aggiornamento e il salario ogni 10 anni.
Se non ricordo male a monte c’era il lavoro dei 40 saggi, Eco, Scalfari, se ricordo bene Guglielmi, De Mauro. Insomma c’era un’idea e un piano di attuazione, neanche questo va bene?
@ ancora binaghi
un’amica partecipa da anni al Global Found di Roma, una manifestazione biennale presieduta da De Mauro nei cui stand si espongono i lavori informatici di alunni delle superiori e medie di tutto il mondo. Non risulta che gli italiani siano carenti in distinzioni logiche tra genere specie e individuo al fine di un corretto accesso a Google.
Quanto all’introduzione del computer nella scuola quale fonte di sperperi e personali arricchimenti, lo capisco. Ma gli scandalosi lucri degli appaltatori sull’adeguamento costi, pur rivelandosi una cancrena maggiore, non è un motivo per non fare più strade, ponti, ferrovie e infrastrutture, tanto è tutto un magna magna.
E.C.
Ma gli scandalosi lucri ………..non ‘sono’ un motivo per non fare più strade, ponti, ferrovie e infrastrutture…..
@zillberstein
quando ho a che fare con gente che usa un nickname sono sempre un po’ in difficoltà. Io sono esposto con quello che sono e quello che faccio, e ognuno può rendersi conto se parlo di un argomento perchè lo conosco o per dar fiato alle trombe. Per dire, io insegno da ventisette anni, e quando dico che metà dei miei alunni di terza liceo non sa fare una ricerca efficace su Google (cioè non sa categorizzare) so quel che dico. Le mostre di eccellenza non le vado a visitare, non perchè non sia contento che esistano, ma perchè devo stare attento a trasmettere qualcosa ai tapini che mi arrivano, essendo consapevole che quelli a cui do nove in storia e filosofia se la caverebbero bene anche senza di me.
Lei in un istituto scolastico, medio o superiore, c’è mai entrato?
Ha esperienze concrete di insegnamento?
@ Walter
da tre giorni non sono più tuo collega :-), classe 51, 16 anni nell’industria, 18 in itis, e all’inizio non tanto convinto della scelta fatta, malgrado 2 concorsi spaccabronchi superati, e all’origine una laurea in ingegneria chimica.
L’ultimo giorno di scuola la 4 chimici mi ha regalato una targa di argento con dedica e con tutti i loro nomi. Se non ricordo male nella mia vita di targhe, forse più importanti, ne ho ricevute altre due, in campi totalmente diversi, come naturalmente non sono mancati i tempi scuri, ma questa targa ripaga tutto, perchè noi lo sappiamo, i giovani sono una cosa seria. E chiedo scusa per la retorica, come mi scuso anche con la Lipperini per l’uso del nick. In effetti è la prima volta, volevo fare un’esperienza dal di dentro per vedere l’effetto che fa 🙂
ti puoi fidare.
beh poi si potrebbe anche lasciar parlare senza chiedere il cv 😀
@zilberstein
Okay. Allora sai bene che aumento di ore di lavoro e in proporzione di stipendio sarebbero più che ben accetti da molti insegnanti, e non sarebbe nemmeno necessario obbligare tutti allo stesso orario: il part time può essere importante per alcune persone. Invece qui il problema è un altro. Mia moglie insegna in un Itis ed è un punto di riferimento da anni per il coordinamento dei servizi da offrire ad alunni portatori di handicap. Vuoi che ti dia i dati (allarmanti) del calo di ore per il sostegno e della sempre maggiore reticenza dei comuni ad offrire servizi ausiliari (visto che non fanno che tagliargli i bilanci), o evitiamo di annoiare i frequentatori di Lipperatura con aridi numeri?
E sulle classi di trenta- trentacinque alunni, che dobbiamo dire?
E sull’impossibilità di coprire classi sguarnite dall’insegnante in malattia, perchè non ci sono più ore a disposizione nè denari per pagare supplenze (non parliamo poi dei corsi di recupero)?
La verità è che il precariato viene abolito a spese di servizi essenziali, non (almeno in Lombardia, dove risiedo e insegno) per eliminare rami secchi.
Quanto alle nuove tecnologie, se sono qui a bloggare è evidente che non mi fanno schifo: il fatto è che dietro la macchina ci dev’essere un pilota. Si sono comprate le macchine, ma l’analfabetismo informatico di molti colleghi è disarmante, mentre gli alunni imparano solo a schiacciare l’acceleratore, e non a guidare (mi si perdoni l’elaborata metafora, che non piacerebbe a Lakoff)
La riforma Berlinguer. Sono perfino andato a spiegarla ai colleghi, quando ero formatore del CIDI. Ma non è naufragata per il rifiuto di insegnanti pigri (che ci sono e c’erano, ma hanno accettato e accetteranno questo e altro) ma perchè è mancata la volontà politica di sostenerla. Le uniche riforme a costo zero sono quelle modello Gelmini: tagli di spesa mascherati.
@ valter binaghi
Classi da 35 non ne ho mai viste. Di 30 sì ma al Biennio. Io sono stato sempre al Triennio e l’anno scorso avevamo una quinta di 9.
Quanto alle supplenze brevi o ai rattoppi in corsa si cercava di tamponare alla meglio, con un pizzico di volontà e senso, in questi ultimi anni non ricordo di aver mai visto classi sguarnite.
Anche perché le assenze di pochi giorni sono molto diminuite.
Analogo discorso per gli insegnanti di sostegno, personalmente ho lavorato con due di essi, bravi e accorti, uno poi era un laureato in Chimica, e mentre aiutava l’alunna prendeva appunti per sé dalle mie lezioni. Troppo buono. Purtroppo era precario, non so se lo riconfermeranno. Ha 40 anni e viene da lontano, sua moglie non vuole trasferirsi. Non è un delitto.
La verità è che scuola la fanno i docenti, insieme all’abilità del Dirigente, ad essi spetta il compito, anzi il peso, di sopportare l’emergenza. Altre ricette al momento non ne vedo, salvo il personale convincimento, che invano ho tentato di veicolare, di destinare più tempo all’aula che alle riunioni. Queste sono un penoso residuo di vecchie culture, spesso fonte di incomprensioni e stucchevoli diatribe fra dolenti . Destinare metà del loro monte ore a lezioni o recuperi è auspicabile oltre che operazione di igiene. Per tutti.
Su quest’ultima cosa sono daccordo.
Sul resto, mi sa che alla fine di quest’anno se torni a fare un giro nella tua scuola ne sentirai delle belle: i numeri sono quelli che sono, e miracoli li ha fatti solo Gesù Cristo.
Con la scuola ci stiamo giocando tutto il nostro essere “corpo sociale”. Siamo in pieno avvelenamento dei pozzi, sempre se ormai non siano definitivamente infetti. Io che ho due figlie che a scuola ci vanno mi auguro di no, ma il panorama è davvero sconfortante.
Sul fatto che la cultura “dimentichi” questo tema… (intermezzo: Gillo Dorfles, 100 anni, non fa altro che dire questo: la scuola, la scuola, la scuola… e lui parla delle ELEMENTARI, non dell’università!)… pensavo che su Nazione Indiana pubblichiamo da sempre post sulla scuola (sono, a cercarli, numerosissimi). Anche perché molti dei redattori sono insegnati e l’argomento li tocca nel vivo. Ma in effetti non sono quelli che scatenano il commentarium. Frequentando un po’ il “mondo della letteratura” mi sono accorto che gli scrittori con prole sono pochi, pochissimi. Tolti gli intellettuali-genitori e gli intellettuali-insegnanti (e quindi sostanzialmente i cittadini che con la scuola devono aver a che fare), non è glam parlare di scuola.
Gadda diceva che esistono polemiche fondamentali e polemiche eleganti. Certe polemiche letterarie di quest’estate mi appaiono elegantissime.
Si, Gianni, di eleganza squisita. Ripetere per un mese gli stessi commenti deve dare l’idea che la ripetizione ad libitum di certi gesti distingue il colto dal buzzurro che si sporca le mani col fango: e poi sarà più fine dire a Saviano cosa deve fare della sua vita, o scrivere che “io se fossi Giorgio Bocca farei come lui” (soprattutto per chi non è né Saviano né Bocca), che occuparsi di una cosa greve e maleolezzante come la scuola, no? E dire che Paolo Fasce è co-curatore di un ottimo libro (per tacere delle sue mani sporchissime dei resti che la bruta realtà lascia sotto le unghia).
Vediamo cosa posso dire sulla scuola (parlo per esperienza personale, essendo un’insegnante).
I ragazzi (sto parlando anche di liceo) arrivano a scuola in ritardo, non giustificano le assenze, tengono il telefonino acceso, non acoltano la lezione, chiacchierano tra di loro, chiedono di uscire ogni 5 minuti… E non vengono puniti in nessun modo. Anche perchè se si punisce (io sono una dalla nota facile) si viene subito additati da tutta la classe come severa e scatta la lamentela presso il preside, di solito preoccupato di mantenere la clientela e quindi restio a dare ragione all’insegnante.
Anche quando l’insegnante si impegna a fare una lezione stimolante, i ragazzi per lo più non si sforzano neanche di ascoltare, prima di decidere che non si sta dicendo niente di interessante (d’altra parte ci sono cose non interessanti che però devono essere studiate comunque).
I genitori cascano dal pero quando si dice loro che il loro figlioletto copia oppure bestemmia in classe o risponde all’insegnante, ma continua a comprare loro qualunque cosa invece di punire il comportamento tenuto dal figlio. Se avete dei consigli sono ben accetti.
Io ci provo ogni anno a lottare, a pretendere che si prendano appunti piuttosto che leggere il libro, a fare note se li becco a copiare cercando di spiegare perchè è sbagliato comportarsi così e mi trovo di fronte una moralità discutibile, creata dalla società e dai genitori.
Il mio consiglio è passare dal livello in cui si avverte il problema in termini culturali (non vogliono saperne di imparare latino e matematica) al livello in cui si mette in questione il contesto comunicativo (il loro livello di esperienza e il loro stile relazionale sono lontanissimi da quelli degli alunni per cui QUESTI programmi sono stati formulati). Se noti, si parla di indirizzi, ore d’insegnamento, numero di alunni per classe e numero di docenti, e nessuno parla MAI di riscrittura e ridefinizione dei programmi. Attenzione: riscrittura non significa necessariamente taglio o diminuzione. Ma non posso più dare per scontate competenze linguistiche ed ermeneutiche proprie dell’era Gutenberg in chi vive una vita fuori di scuola dove il libro è un oggetto tra i molti da cui apprendere. Lo stesso per quanto riguarda il valore che le famiglie attribuiscono all’istruzione: sono stati abituati a pensare che la scuola serva soprattutto a parcheggiare e socializzare. Quello che conta nella vita s’impara in televisione e quello che conta nel lavoro in azienda.
Uno che insegna oggi queste cose le deve sapere e accettare, nel senso di partire da questo come dato di realtà.
Zillberstein scusami, ma quando sento parlare del “buon Berlinguer” penso, quasi in automatico, alla riforma universitaria del 3+2 e a tutto il caos che ne è conseguito.
Insomma, scatto come il cane di Pavlov e metto mano alla pistola. È più forte di me.
Il cane di Pavlov era un bravo ragazzo.
Aveva sempre un buon motivo per fare ciò che faceva.
Andava a scuola, in classe erano troppi, e così, quando si faceva l’appello, i prof non ricordavano mai il suo nome, e lo chiamavano sempre “Il Cane di Pavlov”.
Per questo mordeva.
Come cazzo si chiamava il cane di Pavlov?
L.
Bondi?
@ luca
Il cane di Pavlov era un cane ben pasciuto, perché mangiava in abbondanza, avendo scoperto che ad ogni minima emissione salivare due addetti condizionati scattavano con la scodella piena di carne.
@Anna Luisa: ha ragione, figurati, ma non dimentichiamo che la riforma universitaria (in realtà scritta da Zecchino, un autentico fenomeno della politica: nell’arco di 6 mesi è passato dal centro-sinistra al centro al centro-destra, alla sua morte il Padreterno se lo metterà sul tavolo a mo’ di ventilatore) doveva collegarsi a una riforma delle superiori (diploma a 17 anni, due cicli invece che tre, ecc.) che fu cassata da Letizia Moratti (stendiamo un telo peloso sulla sprovvedutezza di un ceto politico che, credendo di poter governare per l’eternità, non si era mai chiesto in che modo un eventuale governo di destra avrebbe potuto invertire il segno delle proprie riforme, e non aveva inserito difese, casematte e contrafforti giuridici nelle proprie leggi). In questo modo della riforma universitaria si è realizzato solo il peggio, e non essendoci raccordo con la scuola secondaria i baroni sono stati lasciati liberi di fare quel che gli pareva: e del resto lo scambio infame fu il silenzio-assenso (ricordo solo due voci contrarie: Maurizio Ferraris e Remo Bodei) sul 3+2 in cambio della libera mano nel creare cattedre, dottorati e dipartimenti ad personam. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, e adesso che tagliano col machete l’università, ma anche i privilegi acquisiti, i baroni piangono, preferibilmente sui giornali “progressisti”. Senza mai rendere conto di 10 anni (più i precedenti 20) di scelleratezze accademiche, ça va sans dire.
@Luca, Girolamo, Binaghi: “ragazzi”, nei mesi di luglio e agosto mi siete mancati. Non scherzo.