“Voglio solo innovare”, dice Marchionne, applaudito dal sindaco di Firenze Matteo Renzi (“sono dalla parte di Marchionne senza se e senza ma”).
Si fornisce di seguito un esempio di innovazione di linguaggio e pensiero politico (ma anche sociale, ma anche culturale), in onda ieri sera a Ballarò (non si giudichi poco pertinente l’accostamento: proprio nell’intervento postato qui ieri, Rodotà ricordava come l’argomento del “roba vecchia” venisse utilizzato a ogni piè sospinto dagli innovanti).
Contesto. Intervento proprio di Stefano Rodotà sul legittimo impedimento. A un certo punto, pronuncia queste parole sull’importanza della sentenza attesa fra breve, e rispondendo alla domanda di Floris che a sua volta riportava le parole del presidente della regione Piemonte Roberto Cota (“a che serve il parere della Corte nel momento in cui i cittadini votano ugualmente questo presidente del Consiglio?”) dice:
Rodotà: “Serve sapere che c’è qualcuno che ci dice se viviamo o meno in un sistema dove vengono rispettate le regole fondative. La Costituzione è un patto fra i cittadini”.
Gelmini (Maria Stella, ministro dell’Istruzione): “Ma di cosa parliamo! Ma per favore!”
Rodotà: “Ministro, io credo che la buona educazione sia la prima regola”.
Gelmini: “Non accettiamo lezioni da lei”
Rodotà: “Sto cercando di fare un discorso chiaro”.
Gelmini: “Il suo discorso è fazioso e antiberlusconiano”
Rodotà: “Questo modo di discutere è gravemente offensivo”.
Gelmini (a mezza bocca) “E’ politica”.
Cota. “Non ci stiamo coi tempi se lei scrive un saggio”.
Gelmini “Ha fatto un comizio! Una lezione universitaria!”
Lezioni universitarie. Roba vecchia.
@Valeria: non credo di aver scritto che si debba lasciare carta bianca a chicchessia. Ho titubato a lungo prima di scrivere i miei interventi qui sopra, perche’ temevo che – come credo stia avvenendo – li si prendesse per una difesa di ufficio di Marchionne.
Ripeto quello che ho detto all’inizio del mio primo intervento: sto seguendo le negoziazioni di FIAT da molto lontano, per cui non sono in grado di dare opinioni approfondite sulla questione specifica. Io mi sono limitato – ripeto – a descrivere una situazione che e’ sotto gli occhi di tutti, ma che e’ il classico elefante nella stanza di cui nessuno parla. Ed e’ la situazione che ha generato la questione FIAT, tra l’altro.
In Italia non investe piu’ nessuno. Punto. Riconosciamolo questo fatto, e ripartiamo da li’, mettendo da parte, se ci si riesce – e i politici sarebbero pagati per questo – le contingenze del momento FIAT, e cercando di pensare sul medio/lungo periodo.
E’ possibile attirare investimenti esteri nel pieno rispetto dei diritti dei lavoratori? Certo che e’ possibile. Non bisogna ricorrere ai sistemi di attrazione degli investimenti dei paesi del Golfo, nei quali un califfo e’ in grado di garantirti immediatamente milioni di Euro dopo due incontri.
La Spagna – che non ha piu’ un produttore nazionale di automobili – e’ il secondo (o almeno lo era fino a che me ne occupavo) produttore di automobili in Europa. In Germania i salari sono alti, e il livello partecipativo dei sindacati molto alto.
Sono paradisi? No. Sono sistemi che hanno anche generato mostri (i finanziamenti illeciti della Siemens hanno fatto danni enormi). Ma che di certo funzionano meglio dell’Italia.
Pero’ finche’ si utilizzano frasi a effetto come far west, cowboy, strangolatore dei lavoratori, andiamo molto poco lontano.
@tuscan foodie in America,
vabbè che Marchionne è canadese e la FIAT avrà presto il 25% di Chrysler, però nel caso di Mirafiori si sta parlando di investimenti italiani in Italia. Non si tratta di “attrarre”, ma di “indurre a restare”.
Provo ad aggiungere qualcosa, premettendo che mi vengono le bolle solo a leggere che “siano vari elementi a rendere l’Italia inappetibile per un investitore, non solo il conflitto permanente”. Inappetibile nel senso che ci può guadagnare troppo poco, mi verrebbe da dire…
– Sono d’accordo sulle mille leggi e leggine che rendono il tutto farraginoso. La semplificazione aiuterebbe tutti. Dicendo tutti, dico per primi noi cittadini. Poi, casomai, vengono gli “investitori”.
– I salari sono alti, dici, rispetto ad altri Paesi europei. Non conosco tabelle di raffronto. Posso immaginare che sia l’alto carico fiscale per il datore di lavoro a rendere “alto” uno stipendio. Perché non credo che lo sia nella percezione, e nella vita di tutti i giorni, di un operaio. Ma su questo punto la Marcegaglia ci ha già spiegato tutto.
– Le questioni ambientali. Sono fondamentali. Vogliamo diossina anche noi nel cibo che mangiamo? Certamente occorre parlare della TAV e anche dei fondali del porto di Genova. Penso sia importante capire che le decisioni che prendiamo ora hanno influenza sul futuro delle prossime generazioni…
– La FIOM è l’ultimo dei problemi? Non penso. Per FIOM intendo: un altro modo di vedere la situazione e di individuare soluzioni e strategie.
scrivevo mentre rispondevate…
@GL: Io sto parlando di paesi europei, con alti diritti sindacali, che attirano investimenti stranieri ogni giorno. La Francia, la Spagna, la Germania non sono la Cina, mi pare, per quanto riguarda salari e diritti dei lavoratori.
Con la retorica andiamo tutti – ma proprio tutti – molto poco lontano.
Tuscan: per quel che riguarda i salari, fatti un giro nella Ruhr e poi ne riparliamo. Retorica? E’ la cosa di cui si nutre la finanza negli ultimi vent’anni. Fuffa, aria fritta. E adesso si passerà alla prossima fase, anzi “step” che fa più figo. Il ritorno delle bandiere. Marchionne e la teppa come lui non vuole “andare via”. Vuole restare. Ma vuole restare a modo suo, seguendo un modello mostruoso – e non è retorica, è quello che penso: mi fa ribrezzo. Il modello neoliberista ha vinto e vincendo deve trovare un nuovo traguardo pena la perdita della sua forza propulsiva che è – da sempre – oppositiva e mai propositiva. Quindi l’unico modo che ha per andare avanti è tornare da dove è arrivato in forma diversa. Bandiere che garriscono. E con le bandiere non so se si vada lontano, ma di sicuro so _dove_ si andrà.
@Tuscan Foodie. Le mie domande erano brusche, partivano dalle tue premesse, ma erano rivolte a chi sta parlando di Marchionne come di un innovatore e benefattore.
Riguardo ad ‘Attila’ è lui che si pone come tale e in modo esplicito: il suo obiettivo, dichiarato in modo arrogante, è quello di ripulire il paese di tutte le erbacce che strangolano le imprese. Tra queste erbacce ci sono pure i diritti e la dignità dei lavoratori.
D’altra parte pure su Attila i pareri sono discordi. C’è chi lo considera un grande condottiero.
@G.L.: io non so cosa voglia fare Marchionne, ne’ cosa voglia fare la Fiat (ripeto: le mie considerazioni erano generali, non legate al caso Fiat). Se tu lo sai, vuol dire che sei meglio informato di me. Pero’, ecco, non ho capito cosa vuoi dire. Boh: se si considera il capitale un disvalore in se’, be’, chiudiamole tutte ste fabbriche, e creiamo Arcadia, con o senza bandiere non credo importi.
Comunque io portato elementi fattuali molto precisi, con riferimenti all’Europa di adesso, non alla Cina o al Medio Evo. Nessuno mi ha ancora detto che ho scritto cavolate. Se c’e’ qualcuno che puo’ farlo, si faccia avanti.
@tuscan foodie,
sai, quando parli di “elementi fattuali molto precisi”, di Arcadia, ecc. sembri la Gelmini che dice a Rodotà di farla corta. E quando dici “fatevi avanti se avete qualcosa da dire”, fai proprio la parte del cow-boy, proprio subito dopo aver invitato a non essere retorici…
Ritenere che il capitale sia un disvalore non significa parlare di Medioevo.
Valutare il progetto TAV pensando all’impatto sulle generazioni a venire non significa dire “cose vecchie”.
Stiamo parlando di Marchionne perché in questo momento, da queste parti, ci interessa parecchio come andrà a Mirafiori, perché le ricadute sulla nostra vita si sentiranno molto presto… ma tu sei lontano, in America. E lì non si sa niente della FIAT… Niente male, tocca che lo spieghiamo a Marchionne, però, che sta a Detroit e sembra che lì tutti lo venerino…
@tuscan foodie. Scusami ma mi pare che tra i quattro punti elencati da te che disincentivano gli investimenti stranieri in Italia, solo il quarto riguarda gli operai: i salari alti. Ma non è così: i salari degli operai italiani sono tra i più bassi d’Europa, in Germania mi pare che un operaio metalmeccanico guadagni circa 2500 euro al mese, circa 1000 di più di quelli italiani.
Gli altri punti riguardano problemi strutturali e politici, di cui non hanno responsabilità né gli operai né i sindacati.
Il dibattito pubblico qui da noi è invece tutto centrato non dico sulla ‘responsabilità’, ma sulle colpe degli operai, che vanno messi in riga e puniti.
Non si parla di piano industriale, né da parte del Governo né di Marchionne, non si parla di responsabilità manageriali, non si parla di quali investimenti reali voglia fare Marchionne in Italia, quali innovazioni abbia in mente, ecc. ecc. ecc.
Il giro di vite va fatto sui diritti dei lavoratori. Punto. Questa è l’unica innovazione di cui parla.
@Rosemarie: condivido il tuo pensiero.
Il problema è che sotto scroscianti applausi, o sventolare di barriere, che cade la democrazia e sale la tirannia. E’ così che cade la libertà.
Quando Hitler è salito al potere molti sono stati a guardare senza fare niente, non dando importanza ai gravi segnali presenti all’epoca. Il resto è storia.
In Italia non investe più nessuno perché c’è una classe politica furfantesca e incapace ed è popolata di falsi industriali che pretendono e sono ugualmente incapaci. Se si vuole che ritorni a essere un vero paese occorre spazzare via queste cose morte: è l’unica soluzione.
Una domanda al premier da parte di Landini.
@Danae, mi riferivo a GL che parla di bandiere che garriscono, di Cina, di modello neoliberista oppositivo. Se si pensa questo, allora c’e’ poco di cui discutere, temo.
Comunque mi pento amaramente di essere intervenuto. Ho ripetuto ad nauseam che i miei commenti NON si riferivano al caso Fiat, ma descrivevano l’Italia dal punto di vista di un investitore. Mai ho dato un giudizio di valore sull’opposizione alla TAV (rileggiti i miei commenti).
La questione FIAT di adesso e’ il risultato della situazione che ho descritto sopra. C’e’ qualcuno che puo’ contestare quello che ho detto? Se chiederlo vuol dire essere un cow boy, allora chiamatemi cow boy, che vi devo dire? Se vi fa sentire i Giusti, andate agili.
Credevo si potessero fare discorsi ragionati sulla questione. Pare di no. Saluti.
@Valeria: e io che ho detto??? Ho detto nel primo intervento che addirittura si preferisce investire in paesi come Francia e Germania con salari piu’ alti che in Italia!!! Sul resto, concordo, e infatti ho detto che la Fiom e’ l’ultimo dei problemi.
Ma li leggete i commenti?
@tuscan foodie. A me pareva di averti risposto. Comunque, siccome qui in Italia come investitore ‘straniero’ (e pure questo è un paradosso) abbiamo Marchionne è con Marchionne che ci dobbiamo misurare.
E i punti che lui ha in mente mi pare che non coincidano con i tuoi, o almeno non ne fa cenno. E non ne fa cenno probabilmente perché sa che il governo italiano, che di quei punti dovrebbe occuparsi, non è un interlocutore attendibile, anzi non è proprio un interlocutore. Non c’è.
E infatti, negli USA, non si sogna nemmeno lontanamente di ignorare Obama. Perché lì il far west appartiene al passato, qui no. E, non appartenendo al nostro passato, ci pare addirittura una conquista, una innovazione meravigliosa.
tuscan foodie, ci leggiamo e non ci capiamo evidentemente.
Oltretutto mi pareva di aver detto che io partivo dalle tue premesse e le domande le facevo ad altri. Ma di salari alti avevi parlato tu. Così almeno ho letto nel quarto punto del tuo intervento delle 10.41.
@Valeria, guarda che secondo me concordiamo…E’ compito della politica creare un sistema normativo e infrastrutturale che attiri gli investimenti. E’ colpa chiarissima del Governo (e non di quello Berlusconi e basta, ma di questo e di quelli precedenti) non aver creato queste condizioni. Le imprese si ritrovano quindi o a non investire o a spostare la produzione altrove. E – ripeto – non vanno solo in Serbia o in Polonia, ma anche in Spagna e in Francia…
(sulla questione salari, quel commento ha problemi di grammatica. Volevo dire che anche in paesi con salari piu’ alti sono comunque piu’ convenienti perche’ offrono certezze normative e di finanziamento che l’Italia non da’).
Un toscano trapiantato negli Usa parla di economia, Fiat, Germani, Francia, Serbia, Cina (l’hai tirata fuori tu), ma io non posso parlare di “sistema mondo”? Strano.
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Rileggi quello che hai scritto. Parli di Stati e Governi. Non di benessere sociale o diritti (sì, certo, lo scopo di uno Stato non è quello di garantire i diritti in barba a quel punkabbestia di Hegel, ma quello di garantire i diritti di una ristretta cerchia di individui). Stati e Governi ovvero entità che fino a qualche tempo fa gli alfieri del Neoliberismo (Tremonti su tutti) definivano dinosauri appartenenti ad altre epoche. Esattamente quello che ho detto io. Le bandiere si avvicinano.
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Giusti? Interessante il tuo sarcasmo. Sai che mi ricorda parecchio un mio vecchio amico di Chicago? Uno che amava molto i Blues Brothers.
@Tuscan foodle
Per quel che conta, io invece ho apprezzato molto i tuoi interventi.
A differenza della mia indignazione, che costa poco e vale poco, lì c’è materia su cui riflettere visto che il problema a quanto ho capito non è competere col lavoro a basso costo di Cina o Pakistan ma con sistemi-paese che siano all’altezza dell’Occidente, senza cedere su diritti e dignità del lavoratore.
@ GL: tu puoi parlare di quello che vuoi, ci mancherebbe…pero’ io continuo a non capire quello che dici. Sicuramente e’ un mio limite. Della cina che attira capitali hai parlato tu, io parlavo dei mega container cinesi che non possono attraccare nei porti italiani, perche’ hanno i fondali troppo bassi – e’ cosa un po’ diversa.
@Valter: il problema e’ esattamente quello secondo me: creare un sistema che attragga investimenti, mentre si mantengono (o si creano?) diritti e dignita’ del lavoratore, esattamente come hanno fatto altri paesi occidentali vicino a casa nostra. E’ possibile farlo in Italia? E’ una domanda non retorica la mia.
Alcuni dati oggettivi per capire quello che dico. Le imprese americane nel 2009 hanno investito all’estero circa 3500 miliardi di dollari. Di questi, 2000 miliardi sono finiti in Europa (quasi il 60%). Una cifra enorme.
Bene, dove sono andati questi 2000 miliardi?
-470 in Olanda (un paese con 10 milioni di anime e un’area ridottissima)
– 470 in Inghilterra (paese per dimensione dell’economia e popolazione simile all’Italia)
– 116 in Germania
– 86 in Francia.
– 50 in Spagna.
E l’Italia? 31.5 miliardi. La meta’ di quelli del Belgio. Questi paesi hanno TUTTI un costo del lavoro piu’ elevato rispetto all’Italia. Tutti. Ma offrono le certezze, le infrastrutture e l’assistenza di cui dicevo sopra.
Ah, e poi finiamola col dire che la Cina attira molti investimenti esteri…gli investimenti americani in Francia nel 2009 sono stati poco meno del doppio di quelli in Cina (86 mila miliardi di dollari contro i 49 della Cina. Cioe’, per capirci, per ogni $ investito in Cina (costo del lavoro ridotto, sindacati a zero…) le imprese americane ne hanno investiti 2 in Francia, uno dei paesi con il costo del lavoro piu’ alto in Europa.
Certo, gli investimenti americani non rappresentano il 100% degli investimenti globali, ma sono in ogni caso piu’ del 50%, per cui contano qualcosa per farsi un’idea. Un riassunto dei dati lo trovate qui: http://www.fas.org/sgp/crs/misc/RS21118.pdf
Aspetto sempre qualcuno che mi dica che ho torto (si’, insisto).
@Tuscan Foodie,
“Ci sarebbero i grandi corridoi ferroviari europei…ma devo davvero parlare della TAV?”
“Alcuni dei problemi italiani sono politici. Altri sono infrastrutturali e di difficile soluzione (se uno si azzardasse a proporre di approfondire i fondali del porto di Genova, se anche fosse possibile, si ritroverebbe in guerra permanente con gli ambientalisti – giustamente o no qui non ha importanza. La TAV insegna)”
se queste tue affermazioni non sono contro la TAV e le tematiche ambientali, bè, forse per l’ora tarda non ho capito bene…
Continui a chiedere di smentire i tuoi dati. Ma non si tratta di questo.
Potrei non desiderare che il mio Paese attragga capitali statunitensi. Solo questa mia posizione ti fa dire che non ha senso parlare?
Scrivi: “E’ compito della politica creare un sistema normativo e infrastrutturale che attiri gli investimenti”.
Non vedo le cose da questa tua prospettiva.
Ripeto: migliorare le infrastrutture, semplificare il sistema legislativo, dare maggior potere d’acquisto ai salari, ecc. sono provvedimenti che potrebbero rendere migliore la vita delle persone. Per questo devono essere presi, non per metterci al servizio degli USA o dei capitali esteri.
Mi sembra che non siano i dati in questione (almeno per il momento), ma la prospettiva da cui li si guarda, le soluzioni che si vogliono trovare…
Non capisco l’animosità contro i commenti di tuscan foodie, che mi sembra porti un punto di vista interessante e delle notizie e degli argomenti utili alla discussione, ma che portano alla questione centrale, e cioè a quale idea di paese abbiamo.
Ok, i partiti di più o meno sinistra e i sindacati sono del tutto fuori dai luoghi di potere. Ma se vi (ri)entrassero, cosa dovrebbero fare, che tipo di cambiamenti dovrebbero tentare di portare in Italia?
Leggendo il confronto tra il nostro paese e altri partner europei fatto da tuscan foodie, mi sembra chiaro che per diventare più competitivi nel ricevere investimenti esteri sarebbero necessari profondi cambiamenti sia istituzionali (che NON vuol dire costituzionali, per la cronaca) sia infrastrutturali. Ora, i primi, per quanto complessi, potrebbero essere fatti senza grandi traumi, in quanto c’è una inadeguatezza di cui risentono non solo le imprese, ma anche i cittadini. I secondi sono più complessi, lo nota anche tuscan foodie, e qui non sono molto d’accordo con lui quando sembra liquidare le questioni ambientaliste come un mero ostacolo senza considerare che pongono problemi reali. Ma il punto è proprio questo: al di là di situazioni che non pongono problemi, in molti altri casi in Italia l’innovazione infrastrutturale mette a rischio parte del patrimonio ambientale e culturale. Quindi qui si tratta di fare una scelta tra modelli di sviluppo, se l’Italia vuole rientrare nella divisione del lavoro globale o se è meglio diventare un centro di attrazione turistica e culturale. O, per essere più realisti, quale dei due poli privilegiare, ma senza eliminare l’altro.
Tutto questo senza dimenticare che fare arrivare soldi, provengano da imprese straniere o da turisti, dovrebbe servire prima di tutto a garantire servizi e benessere alla comunità, non arricchire solo una ristretta fascia di popolazione…
Concordo con Valter Binaghi, quello che dice Tuscan Foodie è rilevante, fare finta che non lo sia, non so, mi pare davvero ingenuo: non sta dicendo Tuscan, che Marchionne è un grande imprenditore, sta davvero dicendo altro, e mi sa che questo altro va preso molto sul serio, fermo restando che è vero il dato per cui altri paesi europei hanno salari e garanzie e diritti maggiori rispetto all’italia. Quello che dovrebbe far riflettere tra l’altro è che il ricatto marchionnesco, “o qui come dico io, o via dall’Italia”, ci sta mettendo sotto il naso che l’Italia è considerata dagli “imprenditori” alla stregua di un paese-colonia: uno dei luoghi ad alto sfruttamento bassa innovazione tecnologica; se non c’è differenza tra produrre in italia e dislocare, questo la dice lunga sulla volontà di non investire in innovazione, conoscenza ecc. in questo paese. E questo è un punto centrale che dovrebbe essre in primo piano nella riflessione politica della sinistra.
Su Rodotà: anch’io ero impietrita di fronte a Gelmini e Cota, e mi ha commosso il viso di Rodotà, mi sono ritrovata a dire ad alta voce alzati, vattene via, smaschera questo conduttore indecente che ti sta mettendo sullo stesso livello di quei due. Allora mi dico che basta, l’unica strada possibile è che non ci si vada più dai santoro floris vespa, quello che interessa a questi venditori di pubblicità sono solo le risse già previste in partenza che non spostano di una virgola le opioni e tanto meno i voti.
Lasciamoli soli, come le faranno le trasmissioni quando si troveranno per le mani solo gli esponenti della destra?Li faranno litigare tra di loro per alzare gli ascolti? Che facciano, noi prendiamoci altri spazi e altre parole.
Buon lavoro a tutti noi. ne abbiamo a tonnellate, da fare.
Personalmente, non trovo irrilevanti le considerazioni di Tuscan Foodie, e per questo sono intervenuta. Ho anche scritto che non metto in dubbio i dati (per il momento), ma il modo di guardarli, le soluzioni che intuisco tra le righe…
Come scrivi, Skeight, si tratta dell’idea di Paese che abbiamo. Penso di poter dire che da questo punto di vista la mia idea e quella di Tuscan Foodie siano differenti, almeno da quanto scritto finora.
Non ho difficoltà a confrontarmi su questo, semplicemente mi disturba un po’ sentirmi dire che vivo nel medioevo o vagheggio l’Arcadia (che poi, a una settecentista come me farebbe solo piacere..!) solo perché non voglio che l’Italia, o la Francia, o l’Indonesia, o qualsiasi altro territorio siano terra di conquista.
Caro girolamo, che tra i leghisti ci sia una selezione del più adatto e che il più adatto risulti gente come Cota, ben lo so, e mi spaventa. Che al modello Cota si possa accostare la parola «studio», però (se permetti) mi suscita orrore. Questo solo ho detto.
Interessante la nota sulla PNL di Valeria. Se riesco ci torno su. Rosemarie, grazie per l’intervento.
@tuscan foodie:
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Intanto grazie per gli interventi e le informazioni, che esprimono un punto di vista diverso sulla questione.
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Faccio però una domanda: in proporzione, oggi, a fare la differenza in ambito economico sono i capitali investiti in attività produttive (penso tu facessi riferimento a quelli) o il capitale finanziario?
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Secondo alcuni, ad esempio, una delle caratteristiche dell’economia capitalistica in fasi di crisi o transizione è la tendenza da parte del grande capitale a disinvestire dalle attività produttive e a cercare riparo (ovvero: maggiori profitti) nell’ambito finanziario e speculativo.
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Non so se un’analisi del genere fotografi il momento storico in cui ci troviamo (non ho dati, e non saprei come reperirli), per cui approfitto per chiederti cosa ne pensi.
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Mi concentro su questo punto perché mi sembra – semplice impressione soggettiva – che l’aspetto produttivo sia solo una parte del problema… se il capitale tende sempre di più a ricercare profitti nella rendita finanziaria, si possono fare tutte le riforme che si vogliono, ma lo spettro della deindustrializzazione resta lì, con tutte le minacce che si porta dietro (emorragia di posti di lavoro, abbassamento di salari, riduzione del benessere e dei consumi, minori entrate fiscali, aumento della “forbice” fra rendita e salario ecc.).
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Ancora. Se l’Italia è incapace di attirare investimenti dall’estero, le strade possibili da percorrere per risolvere il problema mi pare siano due: puntare sulla compressione dei salari per creare riserve di manodopera a basso costo (e, quindi, fare la concorrenza ai paesi dell’Est o ai paesi asiatici); oppure produrre un generale riassetto istituzionale…
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La prima strada è semplice e, a parte il disastro sociale che ne consegue (ma del quale politici e imprenditori non sembrano curarsi… d’altro canto la repressione violenta è sempre a portata di mano), piuttosto rapida. E infatti mi pare che sia su quello che stia puntando la politica qui in Italia… le conseguenze prevedibili? Una società in disfacimento, conflittualità alle stelle, benessere sotto i tacchi. Insomma: la fine di ogni speranza per decine di milioni di persone.
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La seconda strada invece è lunga, incerta e costosa… e infatti mi sembra che la politica vi presti poco interesse – spinta evidentemente dal tornaconto elettorale, dalle pressioni del mondo economico, dalla totale mancanza di una prospettiva critica nella società civile.
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Insomma: se il tema oggi è “caldo” – il che spiega alcune reazioni animose a quello che dici – è perché c’è, da parte di tutti, la percezione chiara che in Italia la politica e il mondo imprenditoriale spingano con forza per la prima soluzione. Esito che, secondo me, va evitato ad ogni costo.
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Infine: tu parli di legislazione poco chiara, processi amministrativi lenti e macchinosi, carenze logistiche e infrastrutturali. Tutto giustissimo. Ma secondo me, di nuovo, questo non è “il” problema ma soltanto “un” problema.
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Mi spiego: come la mettiamo con l’infrastruttura “intellettuale” e professionale? Se l’Italia, anziché puntare solo sulla compressione dei salari e su lavori pubblici “a mani basse” (TAV, Ponte sullo Stresso, porti marittimi ecc.) puntasse sulla ricerca e sulla valorizzazione delle competenze professionali, non farebbe un passo avanti significativo nella capacità di attirare investimenti produttivi?
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Dubbi, domande (alcune retoriche, certo). Spero qualcuno possa aiutarmi a chiarire.
a proposito di Renzi, senza se e senza ma, che oggi sulle pagine dell’Unità ci spiega che l’Italia è cambiata…
http://www.lastampa.it/_web/_servizi/apcom/newsapcom.asp?id=PN_20110113_00180
davvero, sindaco Renzi, è cambiata? le sembra normale che un protocollo che dovrebbe essere “normale” firmare può andare avanti solo se un sindaco va a pranzo a casa del presidente del consiglio? le sembra il normale procedere della vita politica e civile di un Paese? e tutti quelli che a pranzo dal presidente non vogliono andare?
@ Danae, ma se ho scritto proprio che non e’ importante stabilire se l’opposizione ambientalista a eventuali progetti infrastrutturali tipo TAV sia giusta o sbagliata!!! Quello che conta e’ che blocca i progetti. Che non si fanno. Mentre altrove si fanno. Ho difeso la TAV? Non mi pare.
Poi: bene, qualcuno l’ha detto. Secondo te – e immagino secondo molti altri – non si dovrebbe perseguire una politica di attrazione d’investimenti esteri, perche’ non si vuole diventare “terra di conquista”. Posizione che non condivido, ma ovviamente legittima. Che pero’ e’ poi in contrasto con il desiderio di aumentare i salari: chi li deve pagare questi salari? Le imprese, immagino…proprio quelle che non si vogliono attirare. E’ un circolo vizioso. Oppure si crea una societa’ interamente basata sul Terziario e l’Agricoltura. Possibile anche questo, ci mancherebbe. Sono scelte. E su Arcadia e Medio Evo – lo ripeto, anche se l’ho detto piu’ volte – rispondevo a un altro interlocutore intervenuto.
Per me i capitali esteri creano lavoro, non schiavitu’. E – ancora! – pare che altri paesi europei considerati socialmente piu’ avanzati (sempre la solita Spagna e Francia), la pensino cosi’ anche loro…
@Skeight, ringrazio. Un appunto pero’: io non volevo liquidare le questioni ambientali. Mi limito ad osservare che in Italia e’ impossibile qualsiasi progetto infrastrutturale, dal piu’ piccolo (il parco eolico vicino casa mia a Pontedera che prevedeva 10 pale e’ stato ridotto a 3 mi pare, per l’opposizione ambientalista), al piu’ grande (TAV). Sono progetti che in paesi limitrofi si fanno, affrontando e risolvendo gli eventuali problemi ambientali.
@ Don Cave: do una risposta molto breve. Si’, molti dei capitali di cui si parla – americani e non – sono per investimenti finanziari, non manifatturieri. Non conosco le proporzioni. Che sia in atto un processo di deindustrializzazione e’ un fatto al momento innegabile: pero’ non necessariamente nel senso che si produce meno. Si produce impiegando meno lavoro umano.
Si’, la semplificazione legislativa e’ solo uno dei problemi. Sopra ne avevo elencati quattro, ma ce ne sarebbero anche altri (livello di corruzione nel paese, criminalita’…)
In Italia al momento non c’e’ una politica di creazione d’impiego (attrazione d’investimenti esteri e non). Il fatto che non abbiamo avuto un Ministro per lo Sviluppo Economico per mesi e’ solo la punta dell’Iceberg. La mia impressione – ma potrei sbagliarmi – e’ che il Governo speri semplicemente che le negoziazioni attuali con la Fiat creino un modello che sara’ seguito in futuro. Se ho ragione, e’ un atteggiamento miope: se si punta a ridurre il potere dei sindacati per attrarre capitali, questo e’ il modo piu’ sbagliato che ci sia. Se anche l’approccio FIAT passasse, eventuali investitori tarderebbero ancora a venire, perche’ non si sono risolti i problemi strutturali che stanno a monte. Ma e’ l’elefante nella stanza di cui parlavo prima: tutti parliamo di FIAT, ma non delle circostanze che hanno portato l’Italia in questa situazione.
Trovo molto interessante quello che scrive Tuscan Foodle, per un semplice motivo: evidenzia il fatto che i ricatti e le giustificazioni che ci propinano marchionne & company da mesi sono solo fuffa, bugie prive di fondamento economico. In Italia il problema non sono gli operai, e abbassare i loro salari e le loro condizioni di lavoro non servirà ad attrarre capitali (come tra l’altro dimostra la nebbia che circonda gli stessi piani fiat). Gli obiettivi che si pone Marchionne (da quello che posso provare a indovinare io, che nulla capisco di questioni economiche) a mio avviso sono due: uno politico, cioè frantumare definitivamente il sindacato, spaccare gli operai e la stessa società civile; uno di immediato ritorno economico, legato a operazioni finanziarie che mi sono poco chiare, ma che mi pare di capire faranno intascare gran soldoni agli azionisti, e quindi a Marchionne stesso. Il primo potrebbe anche essergli in sostanza indifferente, e rappresentare solo un effetto collaterale (sicuramente gradito da parecchie forze politiche di questo paese) del secondo.
Già, il problema forse è quello della competitività.
E intanto, alla chetichella e nel silenzio generale, esce l’ ultima classifica di competitività dove il Burkina Faso e le isole Fiji mettono la freccia e superano l’ Italia che affonda ad un poco onorevole ottantasettesimo posto (su 179 paesi).
Ma il problema non è tanto quello, il problema è il futuro. Mi chiedo: esiste una temperie culturale che faccia sperare in un miglioramento? La butto cioè sulla “mentalità”.
Do’ solo una scorsa e mi interrogo su alcune mosse che ci farebbero guadagnare qualche posto in classifica visti i parametri con cui è redatta.
Diminuire la spesa pubblica? In realtà abbiamo le strade invase da chi chiede “più risorse”. Noi siamo i campioni nel seppellire i problemi sotto un mucchio di soldi, anche quando l’ evidenza ci dice chiaramente che le risorse c’ entrano ben poco.
Deregolamentiamo la finanza? Dopo la crisi tutto è tabù in questo settore.
Deregolamentiamo gli investimenti? Il nostro ambientalismo parolaio è tra i più vociferanti, la vedo dura.
Liberalizziamo il mercato del lavoro? Ma se siamo tutti impegnati a scrivere il romanzo sulle catastrofi del precariato!
Rendiamo meno conflituale il sindacato? Veramento qui ad ogni piè sospinto sono pronti a tirar fuori un ferro vecchio come la “lotta di classe”. Insomma, ti intervistano solo se riesci a travestire una clausola contrattuale da diritto della Magna Charta.
Snelliamo il fisco? Dal 2011, nel silenzio generale, entrano in campo degli appesantimenti fiscali notevoli (fattura elettronica eccetera), tutto è accettato ormai supinamente con mentalità servile.
Liberalizziamo i commerci con l’ estero? Gli unici dibattiti che ho ascoltato riguardavano l’ introduzione di dazi verso la Cina.
Riformiamo la giustizia? Non mi sembra ci sia un gran feeling tra la politica e i burocrati della giustizia. Ve li vedete questi ultimi che si fanno aggirare da forme arbitraggio privato?
Adottiamo politiche monetarie più efficienti? Ma noi con la moneta non c’ entriamo più niente.
E via dicendo.
Il problema non è la Fiom? Non entro nello specifico, penso però che per diventare ben consapevoli del problema basta ascoltare uno della Fiom che parla. Mi sa che sotto le nostre “narrazione” preferite (dove il “far west” e i “diritti” spuntano ovunque) c’ è un mondo che non ne vuole sapere di comportarsi così come ce lo raccontiamo. Siamo alle solite: ai costruzionisti crolla la casa in testa.
E te pareva! Libertarians alla riscossa, atto II
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Come sempre, nelle perentorie ricette dei liberisti “senza se e senza ma” il problema non è come regolamentare del mercato a livello istituzionale, ma il fatto che di mercato ce n’è troppo poco.
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Le istituzioni sono d’intralcio? Perché riformarle? Costerebbe troppo, in termini di tempo e fatica… spazziamo via tutto… sindacati, diritto del lavoro… tutti orpelli inutili.
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Mi domando se chi propugna simili idee lo faccia in buona o cattiva fede. Se in buona fede, è poco più che un integralista religioso (anche la Fede cieca nel mercato, d’altronde, ha il suo bel corollario di Sacramenti). Se in cattiva fede… beh, in tal caso penso non si possa tributargli nemmeno la compassione che è d’uopo riservare ai fanatici.
@ tuscan foodie:
Intanto, grazie per le riflessioni. Appena riesco butto giù alcune considerazioni ulteriori.
Tuscan “creare un sistema che attragga investimenti, mentre si mantengono (o si creano?) diritti e dignita’ del lavoratore, esattamente come hanno fatto altri paesi occidentali vicino a casa nostra. E’ possibile farlo in Italia? E’ una domanda non retorica la mia.”
Fingo di credere che non sia retorica anche se dimostri di conoscere abbastanza la situazione del Paese e ti rispondo che secondo me non è possibile.
Anch’io non conosco bene l’accordo Marchionne-Bonanni-Berlusconi-Bersani-Renzi, ma ricordo che tra i primi viaggi della speranza Marchionne tentò con la Merkel ed entrambi furono bloccati dal sindacato tedesco. L’Italia è un ripiego dove le sue condizioni contrattuali con l’appoggio di governo, sindacato e “opposizione” hanno enormi possibilità di essere trangugiate dai lavoratori, e Pomigliano ce l’ha insegnato, testa di ponte per abbassare retribuzioni e diritti a tutti i lavoratori italiani. Ma oggi in quanti ci ricordiamo di quelle lavoratrici della fabbrica di calze – che produceva in attivo- licenziate per trasferire la produzione all’est? 2 anni fa? 3? Sono il primo a non ricordare. Così non ci ricorderemo tra un paio d’anni di Pomigliano, così – temo- finiremo per cedere tutti alle prepotenze della cricca.
Bisogna fare qualcosa adesso, magari manifestare insieme il 28 anche senza dipendere dalla fiat.
lucio
@Tuscan Foodie
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La questione del disinvestimento dei capitali dalla produzione, con conseguente “riconversione” finanziaria, secondo me è centrale.
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Ti esprimo quindi una mia perplessità. Di fronte ad un capitale che può muoversi liberamente attraverso i confini nazionali, e i cui movimenti non sono soggetti a nessuna regolamentazione da parte di istituzioni globali soggette ad un controllo democratico, non pensi che la logica stessa del “sistema-paese” ne esca di fatto fortemente ridimensionata?
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La competizione fra gli stati per attirare capitali e investimenti non mi sembra dipenda più dal classico “gioco” delle sovranità nazionali in competizione, ma mi pare che manifesti più che altro una forma di dipendenza del potere statale dalle dinamiche del grande capitale finanziario.
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Il mio timore è che questa tendenza generi una forma “perversa” di competizione, dove gli stati che non hanno altre carte da giocare (magari a causa di un particolare retaggio storico… e questi stati mi pare siano la maggioranza) puntano “al ribasso”, cioè a comprimere i salari (svalorizzando il lavoro) e a dar fondo alle proprie risorse territoriali (magari massacrando il territorio con opere pubbliche faraoniche quanto, alla lunga, inutili e dannose).
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Insomma: i concorrenti non solo non partono da condizioni paritarie, ma si trovano a giocare un gioco sulle cui regole non hanno nessun controllo; e in cui quanto più svantaggiata è la condizione di partenza, tanto più gravi sono le conseguenze di una simile mancanza di controllo.
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Non per tracciare distinzioni manichee, ma penso che, riguardo a questo tema, ci sia una chiara separazione tra le responsabilità della politica nazionale e quelle della società civile.
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La storia è fatta di processi del genere: popolazioni e comunità politiche in conflitto che giocano al reciproco massacro per ottenere vantaggi sui concorrenti o per accaparrarsi risorse… ma ora il gioco al massacro mi sembra sia tutto fra un capitale finanziario che sembra quasi onnipotente e una popolazione mondiale che, fatta eccezione per poche isole felici, naviga dritta verso la disperazione più nera.
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Per cui riesco anche (fino ad un certo punto) a mettermi nei panni di un politico che si trova a far quadrare il bilancio economico di uno stato, ma certo non mi riconosco in quel ruolo. Anzi, più l’azione politica si piega esclusivamente alla questione di “come attirare investimenti”, più mi sento preoccupato, da semplice cittadino, delle conseguenze di una logica del genere, soprattutto in un contesto in cui il profitto (meglio: gli enormi profitti di cui va a caccia i grande capitale finanziario) prevale di fatto su qualunque vincolo sociale, morale o culturale.
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Le cose che sto dicendo sono state espresse da altri in questa discussione (tra l’altro in modo più semplice ed incisivo…). E la conclusione è semplice: va bene preoccuparsi per il rischio che deriva dall’incapacità da parte dell’economia nazionale di attirare investimenti; ma non trovi giustificata la preoccupazione per la mancanza di qualsiasi forma di “controllo” democratico sul modo in cui viene gestita l’economia a livello globale?
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Tenere viva questa preoccupazione secondo me è centrale. Premesso infatti che i vecchi “vincoli” al mercato (penso alle forme dello Stato Sociale keynesiano) mostrano sempre più la corda, mi pare che ci sia il bisogno di immaginarne (e costruirne) di nuovi…
@ Don Cave:
Non ho mai fatto la premessa dalla quale tu parti per le tue osservazioni. Non ho mai parlato di “disinvestimento dei capitali dalla produzione, con conseguente “riconversione” finanziaria”.
Sono due tipi d’investimento completamente distinti. Non c’e’ riconversione “conseguente” ne’ automatica. Ho anche detto che non e’ necessariamente vero che si produce meno, ma che si produce con meno “capitale umano”. Le fabbriche che producono microchip hanno sicuramente meno operai di altre fabbriche, ma sono pur sempre industria.
La questione delle regole del mercato e’ troppo grande da poter risolverla in un commento ad un post (letterario per giunta!).
Se domani io fossi Ministro dell’industria, mi farei una domanda molto semplice: e’ in atto una reorganizzazione mondiale del lavoro? mi risponderei di si’. Poi mi chiederei: L’italia ha le carte in regola per avere un ruolo, se non di primo, almeno di secondo piano nell’attirare investimenti, e quindi lavoro? A mio avviso al momento no. (Tralascio la questione piu’ filosofica sul sia o meno cosa buona e giusta voler attirare investimenti: so bene – e lo si e’ visto in commenti qui sopra – che non e’ opinione condivisa in Italia).
Un’ultima osservazione. Si continua a dire che nel caso Fiat non si tratterebbe di attirare investimenti, ma di trattenere un produttore italiano. Questo ragionamento e’ sbagliato.
Dal poco che ho letto, a Mirafiori si produrrebbero piattaforme automobilistiche da esportare in Europa, Nord America e America Latina. Quindi, a ben vedere:
1) La Fiat deve decidere dove piazzare una nuova linea di produzione per un prodotto globale (non da vendere solo nel mercato ristretto dell’Italia), linea di produzione che attualmente non esiste –> si tratta di un investimento nuovo.
2) La Fiat e’ un’azienda di fatto globale. Ha impianti di produzione – se non sbaglio – non solo in Italia, ma in Europa dell’Est, Nord America (con Chrysler) e Argentina e Messico (e forse Cina, ma non ricordo): tutte queste unita’ produttive potrebbero tranquillamente essere scelte per produrre la piattaforma in questione.
Il motivo per cui probabilmente Mirafiori e’ avvantaggiata e’ che c’e’ spazio disponibile a iosa, senza dover spendere troppi soldi nell’espandere i locali, e c’e’ tutta una serie di fornitori a Torino che altrove potrebbe essere piu’ sparpagliata. Ma queste, davvero, sono solo speculazioni mie, che si basano su intuizioni (forse sbagliate) ma non su dati in mio possesso (che non ho).
Pero’ e’ un investimento nuovo: se ho capito bene non si tratta di “trattenere” una produzione esistente.
@Lucio: la questione della Merkel e del sindacato tedesco fu complessa. In Germania lo Stato – anche a livello locale – gioca un ruolo molto importante nell’industria, soprattutto automobilistica, con rappresentanza diretta nell’ufficio dei bottoni di alcune aziende. Credo che il “nein” a Marchionne sia stato dato anche perche’ all’epoca i tedeschi speravano in un salvatore nazionale (o almeno germanofono). Senza conoscere le carte – e bisogna sempre leggere i piani industriali, anche quelli che NON sono pubblici per conoscere tutti i risvolti di queste negoziazioni, soprattutto quando coinvolgono Primi Ministri e compagnia – la mia impressione fu quella. Magari sbaglio, ci mancherebbe. Molto semplicemente non lo so.
Ma di cosa ci meravigliamo?
Se un opinionista come FURIO COLOMBO dice che per Marchionne il sindacalista deve diventare un kapò;
se un politico come LUIGI DE MAGISTRIS ci dà il “benvenuto nel nuovo schiavismo” Fiat;
se un suo collega come BEPPE GIULIETTI afferma che finalmente saremo alla pari con Corea del Nord e Birmania.
se un sociologo come LUCIANO GALLINO puo’ sostenere che la legislazione amerikana sul lavoro è quella di un paese arretrato e sottosviluppato;
se un giurista come STEFANO RODOTA’ parla di ritorno al medioevo…
se la nostra élite (parlavamo di mentalità…) reagisce con questo genere di iperboli…
… Potrà bene il popolo, qui nella persona di don cave, parlare di “fanatismo” allorchè si pensi anche solo lontanamente di migliorare un pochetto superando quei “libertarians” del Burkina Faso nelle classifiche di competitività economica che finiscono sulla prima pagina del Wall Street Journal un giorno sì e l’ altro pure.
Qualche considerazione, da dilettante.
Difficile attrarre investimenti stranieri in Italia. Però, la scorsa estate, Vendola è tornato dall’Expo di Shangai con in tasca un contratto da 30 milioni di euro per la Puglia (e futuri 100 milioni per altre località del meridione da individuare): la CECEP (China Energy Conservation & Environment Protection Group) costruirà pannelli solari. E, si badi, il contratto parte da accordi con la regione del Guangdong, che pure è luogo di forti conflitti operai (qui: ma agli investitori cinesi non sembrano interessare la limitazione preventiva dei diritti degli operai italiani (mentre sono costretti ad aumentare quelli degli operai cinesi), quanto il numero di giorni di sole per un potenziale mercato del solare. Naturalmente il contratto non nasce dal nulla, ma è stato preparato da un’azione di tessitura di relazioni tra Puglia e Guangdond, da una diplomazia politico-economica che ha fatto di Vendola una specie di ambasciatore dell’Italia all’Expo: ma non è questo che la politica dovrebbe fare, soprattutto là dove la “libera impresa” non è capace?
Seconda considerazione. La FIAT costruirà a Mirafiori i SUV per il mercato americano. Un veicolo che sta diventando sempre meno appetibile perché sempre più costoso in termini di consumo, non un’utilitaria a baso costo e ad alto rendimento per periodi di crisi. Non sentite odore di cerino acceso lasciato nelle mani dell’operaio italiano, che si scotterà le dita quando il mercato del SUV calerà ulteriormente, e qualcuno si renderà conto che per starci dentro i SUV bisognerà comunque trasferirli a Belgrado? Io sì.
Terza considerazione. Se oggi vuoi comprare un’auto, la paghi cara, perché te la vendono già fornita di gadget di dubbia utilità (condizionatore, alzacristalli elettrico, GPS, impianto stereo, sedile termoriscaldato, macchina del caffè espresso e grattaascelle di serie). Il modello asiatico, cioè indo-cinese, di auto, prevede invece l’auto “nuda”, a basso costo, e i vari gadget à la carte: si parte da tot euro (l’equivalente di una macchina usata messa male, che quindi costa poco ma consuma assai e inquina anche di più), poi i gadget li paghi uno per uno. È così difficile pensare, come alternativa ai ricatti di Marchionne e al suo Progetto Italia che nessuna ha ancora visto, chiedere a mister Ratan Tata, o a un suo giovane e rampante concorrente indiano, se e a che condizioni gli interesserebbe produrre una nuova macchina di produzione italiana e di concezione indiana, a prezzi convenienti in un periodo di crisi globale, a Mirafiori, Pomigliano e Termini Imerese?
@broncobilly: mi sfugge il nesso logico tra recupero di competitività e riduzione di diritti. A me sembrerebbe vero il contrario: personale non schiavizzato, immagino, potrebbe condividere di più e meglio il progetto d’impresa, mettendo maggiore impegno nel supportarlo. Tanto più che qui stiamo parlando di Mirafiori, dove non mi pare si possano accampare gli alibi invocati per Pomigliano, tutti incentrati sulla lazzaronaggine delle maestranze recalcitranti, sabotatrici e assenteiste. A Mirafiori, mi pare, la gente il suo dovere l’ha fatto sempre, e ha fatto anche di più. La verità è che questi atteggiamenti da padrone delle ferriere Marchionne se li può permettere perché abbiamo una classe politica di fantocci, governo e opposizione. E un presidente del consiglio per il quale avrei bisogno di aggettivi che non sono ancora stati inventati. Una classe politica vera avrebbe detto al signor Marchionne, con una sola voce bipartisan: “se vince il no lei se ne può andare, è un suo diritto. Chiaramente, da quel giorno lei in Italia non venderà più neppure un triciclo”. E voglio vedere poi a chi sarebbe andato a venderli, quei catorci che escono dalla brillante mente dei suoi ingegneri.
Ma non si tratta tanto di “lazzaronaggine” visto che la concorrenza al ribasso tra lavoratori c’ entra molto molto relativamente.
E, se non si fosse capito, vorrei ribadirlo ancora con qualche dato: negli ultimi trent’ anni (1980-2009) “solo” il 30% degli investimenti all’ estero ha preso la via dei “paesi in via di sviluppo”, il 43% ha preferito investire nei paesi del G8, ovvero con costo del lavoro molto più elevato (fonte). Tanto per dire, il paese che ne ha ricevuti di più, gli USA, in questi trent’ anni hanno aumentato gli stipendi del 25% al netto dell’ inflazione (fonte).
Tu mi dici che l’ operaio non schiavizzato rende di più. Sono d’ accordo, ma se lo sappiamo noi grazie ad una mera intuizione vuoi che non lo sappia Marchionne? Il fatto che ci metta i soldi lo garantisce dal sospetto di doppi fini.
Cosa conta, allora? Contano i fattori di competitività, ed è proprio a quelli che accennavo.
Perdo ancora un secondo per menzionare un parametro: la produttività del lavoro. Questo paramentro ha due caratteristiche: 1)è fondamentale 2)in Italia ha un andamento disastroso.
Da cosa dipende la produttività? L’ indagine internazionale più approfondita è forse quella di Prescott/Parente che conclude mettendo sul banco degli imputati in primo luogo gli interessi corporativi (sindacato): la loro eccessiva tutela politica crea immobilismo e paralisi nell’ innovazione. L’ innovazione contrattuale è decisiva e molta contribuisce alla stagnazione nelle forme contrattuali.retorica sui diritti . Meno cultura dei diritti e più cultura del contratto, almeno per chi non fa politica ma fa sindacato.
In altre parole: domani le cose cambieranno certamente nel settore dell’ auto. Marchionne sta forse investendo in un paese flessibile dove potrà cambiare la sua organizzazione tenendo il passo?
Sento ora che i “sì” hanno vinto di misura e quindi i sindacati più politicizzati continueranno probabilmente a far sentire forte la loro voce. A Marchionne mi sento solo di dire quello che altri hanno detto ai giovani: via da qui.