Per chi fosse interessato alla questione del simbolismo cristiano ne "Le cronache di Narnia" di CS Lewis, The Guardian ha pubblicato un articolo di John Mullan che prende in esame l’intero ciclo (e non il solo episodio due, da cui è tratto il filmone). Scrive Mullan:
"The challenge of a novel sequence, of course, is to bring it to its proper end (listen to JK Rowling’s audible apprehension on the subject). In The Last Battle, the final Narnia book, Lewis provides the end of all ends, a literal apocalypse. It attracts the ire of those who dislike Lewis’s Christian purposes because it takes us to the Last Judgment. Notoriously, the ultimate ending excludes Susan, who was brave enough in earlier novels but now prefers "nylons and lipstick and invitations" to the chance of eternal life. Through the Stable Door stream the chosen, while others are turned away. "I don’t know what became of them," says the narrator, with some awkwardness, about the rejected. (Should we not be told?) Yet the problem is not the Christian symbolism, but the total closure effected. (Literally so, as Peter locks the door for eternity on the created world.) The reader cannot impertinently wonder about what happens afterwards to the characters. A heavenly afterlife means no fictional one".
Per chi fosse interessato alla tematica del Last Judgment, ripesco un breve testo di Paolo Fabbri in materia, da rimeditare:
"L’Apocalisse è certamente uno dei libri meno conosciuti della nostra tradizione religiosa, anche se fa parte della Rivelazione. Perché non lo leggiamo? Forse per la lentezza della storia, forse perché siamo piuttosto distanti dalle immagini che propone e dai suoi angeli intenti a divorare libri cosparsi di miele. Truculenze a parte, l’Apocalisse porta nella nostra cultura l’idea di una fine desiderata. Perché tale è l’idea dell’Apocalisse: la fine del mondo è necessaria perché rinasca un nuovo mondo, un mondo trascendente a cui tutti dovremmo in qualche modo aspirare. Ne abbiamo paura? Certamente sì: in generale, la cultura contemporanea teme la fine. Anzi, la esclude: nemmeno la morte individuale, in una certa misura, viene presa in considerazione come esistente.
Bisognerebbe, a questo punto, tentare una piccola tipologia delle culture: alcune sono culture che cominciano, dunque mettono l’accento sull’origine (la fondazione della città da cui si svilupperanno, per esempio), poi puntano la storia a partire da questo episodio e non finiscono. Laddove l’inizio è messo in evidenza, cioè, non ci si cura troppo della fine. Le culture contrapposte sono quelle che non si pongono il problema di quando e cosa è cominciato: niente Big Bang, niente formazione dell’universo, niente apparizione dell’uomo sulla terra. Marcano soltanto la fine, vivono in funzione del Big Crunch.
Infine, esistono le culture più savie: quelle che concepiscono sia i miti dell’origine che i miti della fine. E dunque l’Apocalisse. Poi c’è la cultura contemporanea: assolutamente straordinaria. Infatti, non si preoccupa del proprio inizio (inducendo gli studiosi ad interrogarsi su quella che viene chiamata perdita di senso della storia), non si preoccupa della fine, rimuove l’apocalisse. Al punto che un uomo straordinario come Franz Kafka ha potuto scrivere che il giorno del Giudizio tutti aspetteranno il Messia: che però sarà in ritardo e arriverà probabilmente il giorno dopo.
Questa è la situazione in cui ci troviamo: ammettiamo di utilizzare toni apocalittici quando parliamo di un mondo che potrebbe avere una fine, ma questa fine viene sempre differita. L’Apocalisse, però, non finisce di morire: qualcuno ha scritto che l’arte era morta, qualcun altro ha detto che dopo Auschwitz non era più possibile fare poesia. Nonostante tutto, però, questi annunci apocalittici sono sempre accompagnati dalla continuazione della pratica dell’arte e della poesia. Questo significa che l’Apocalisse non ha fine. Dovremmo, allora, cambiarle nome. Chiamiamola Ipercalisse".
Cara Loredana, scusa il clamoroso OT, ma quando capiti nelle Marche? Io già ci sono…
Michele
OT per OT: molto molto presto 🙂
OT per OT per OT: le state seguendo le intercettazioni dei simpatici scalatori finanziari smascherati? Che linguaggio! Che forme!! Quanti di voi usano quello stesso tono quando trattano di “affari”, fossero anche “affarini letterari”? Ho la sensazione che i sospetti di “cricca” nascano da un retroterra del genere, che attecchisce tanto in chi sta fuori (e vorrebbe star dentro, sempre più in alto) quanto in chi si è scelto il ruolo di umiliato e offeso. Non è più naturale un livellante e rilassante augurio a tutti di “viva la f*ca”??
Lippa e Michele. Sono a Fano solo oggi e domani. Ma la ricetta dei cappelletti alla fanese è nel mio blog. Provatela.
certo, bella l’ipercalisse, proprio bella. e perchè non l’apocralisse, l’apocalisse apocrifa?
Angelini è a Fano? E chi se ne frega? Costui è peggio di Iannox e di Georgia messi insieme. Non perde occasione di spammare per pubblicizzare il suo blog.
Franco
Didimi clerici prophetae minimi Hypercalipseos liber singularis.
(Ugo Foscolo)
Franco, il mio messaggio era per Lippa e Michele (nelle Marche anche loro). Del tuo contributo mi frega meno che a te del mio blog.
@ FRANCO
Io ho fatto un voto: quello di non rompere. TU vedi di evitarmi, in ogni modo maniera situazione. Anche citandomi. T’è chiaro?
No, a natale non mi sento più buono, soprattutto nei tuoi confronti. T’è chiaro?
Non il mio nome invano, TROLLACCIO del piffero.
Va bene che oggi è tutto un OT, però, gente, si litiga fuori, ok?
Pacem in terris.
ps. E poi Franco non è quel Franco: è un signore/a con parecchie personalità.
Io non ho fatto OT, o Lippa, io ho citato l’operetta di Foscolo che tratta di Hipercalissi, ecco,
invero,
son quasi offeso,
nessuno mi da più retta, piango lacrime di aleatico e mi ritiro sul monte Athos o Aramis o nonso, forse Portos,
nun se sape
MarioB.
Scendi giù dal monte, Mario: ce l’avevo con me stessa medesima, in primis 🙂
Va da sé che quello che si firma “Franco” NON sono io. Il blog di Angelini mi piace eccome e non credo affatto che Angelini sia peggio dei due innominabili putribondi chiamati in causa.
Franco Melloni, sapevo che l’altro Franco non eri tu, ma uno dei soliti troll anonimi e inaciditi alla Andreina Campolmi:-/
Ho visto il film con mia figlia.
‘na bojata…
E io che non so cosa siano le OT? Se voi sapeste quanto trovo irritanti questi vezzi di usare un linguaggio da iniziati! Il filosofo Karl Popper diceva: “la chiarezza è un obbligo morale”. Per quanto riguarda il ciclo di Narnia e l’Apocalisse, il romanzo IL LEONE LA STREGA E L’ARMADIO (da cui è tratto il film) non c’entra nulla. E’ invece una trasposizione in chiave fantastica della morte e resurrezione di Gesù Cristo, unita all’importanza dell’impegno umano nella scelta tra decisioni eticamente giuste o ingiuste. Sono Luciano / Il ringhio di Idefix, laico e valdese. Oltre che scrittore di libri per ragazzi.
Benvenuto Luciano. Se Idefix smette di ringhiare porgo due piccole precisazioni:
l’articolo del Guardian si riferiva all’ultimo racconto del ciclo di Narnia, che apocalittico è indiscutibilmente (del resto Apocalisse e Cristianesimo, e dunque morte e resurrezione, sono argomenti fra di loro connessi, giusto?).
Quanto al termine “OT”, sta per “Off Topic”, o anche, sbrigativamente, “fuori tema”.
Attento al cielo, mi raccomando 🙂
Grazie per la chiara spiegazione di “O.T”. Idefix ringhia, ma essendo piccolo piccolo finisce solo col far ridere. Sì, certo: per i cristiani la resurrezione (non solo di Gesù Cristo ma quella di tutti) è il cuore della fede (che vuol dire “fiducia”). Però l’Apocalisse è appunto l’ultimo dei libri biblici, così come il suo rifacimento di Lewis chiude il ciclo di Narnia. Posso mandarti il mio ultimo romanzo per ragazzi? Il titolo è NON FARE IL FURBO, MICHELE CRISMANI (edito da Einaudi Ragazzi). Un saluto da Luciano / Il ringhio di Idefix