“Io ho sempre pensato che il mio lavoro fosse quello di far innamorare chi legge. Ho un solo consiglio da dare a chi vuole provare ad immaginare il proprio futuro: quello di vivere la vita con il massimo della passione, cercando di impegnarsi nel proprio campo con ingegno ma soprattutto con amore. Io volevo scrivere e amavo la letteratura, in sessant’anni non ho mai tradito il mio desiderio per la scrittura e il mio amore per la letteratura, non ho passato un solo giorno della mia vita senza leggere o scrivere qualcosa e credo che questo abbia contribuito a far si che il mio futuro fosse sempre brillante, anche quando le cose non andavano esattamente come io speravo. E poi bisogna riempire i propri occhi di meraviglia, cercare sempre cose nuove, esplorare il mondo come se si avessero davanti solo dieci minuti di vita. Il mondo, da questa prospettiva, è più fantastico di qualsiasi sogno, e il presente è il futuro più meraviglioso che c’ è”.
Questo è Ray Bradbury, di cui parlavo ieri su Facebook, perché quest’anno, nel pullular di liste e classifiche e consigli di lettura per Natale, ho deciso di suggerire solo riletture. E non perché non abbia letto, in questo 2019, buoni e anche ottimi libri freschi di stampa: ce ne sono stati, eccome, italiani e stranieri, e magari, all’ultimo secondo, qualcuno ne consiglierò.
Ma perché è così faticoso, questo impermalirsi generale. Lo ripeto ogni anno, e sono anche affaticata dal ripeterlo: non si fa un torto a nessuno se si suggerisce un libro e non un altro. Quel riempirsi gli occhi di meraviglia, quella disponibilità a incuriosirsi dei libri altrui, e quella felicità dello scrivere di cui parla Bradbury dovrebbero essere la norma, e non lo sono. E’ ovvio che con decine di migliaia di titoli pubblicati non si possono leggere tutti: e non si possono leggere fino in fondo, per esempio, e se a volte si tace, è perché non si è convinti.
Ma che lo ripeto a fare?
Quella disponibilità alla meraviglia mi sembra così affievolita, in tempi in cui auspico per me soltanto una cosa: conservarla, la meraviglia, stupirsi per un libro che non conosco, per una serie televisiva, per un film, per un videogioco. Non incasellarsi, non farsi incasellare, questo dovrebbe essere il tentativo. E conservare le passioni, le passioni vere, non quelle che fanno di noi un’icona o un simbolo.
(Che poi, quasi mai i simboli corrispondono al reale. In questi giorni, chiacchierando con mia figlia, mi è tornato in mente un episodio che avevo dimenticato, laddove un personaggio attualmente iconico della sinistra intelligente girò a mia insaputa un video mentre stavo bevendo un drink – probabilmente un gin tonic – con la cannuccia, trasformandolo in una fellatio alla cannuccia, perché fa ridere, giusto? Pubblicò il video, per la cronaca. “CHE COSA?” ha protestato mia figlia. “Svergognalo”. No, ma in effetti lo cito: per far capire che siamo molto più complessi di quel che si crede, e che abbiamo luci e ombre, come tutti, e siamo imperfetti, come tutti. E questo dovremmo tenerlo presente anche nel nostro piccolo e soffocante mondo letterario, dove lo stigma e il disprezzo e le passioni tristi sono così facili, e uccidono le passioni che ci mantengono vivi, quelle di cui parla Bradbury).