Tornata da Ravenna con emozione, ne esprimo qui un’altra. La prendo da lontano. La prima cosa che ho visto appena uscita dalle prove di Omissis al Teatro Alighieri è stata una manifestazione di donne. Donne di tutte le età, unite in solidarietà verso le donne iraniane. A Ravenna come in ogni parte del nostro paese. Con i corpi, non solo con le bacheche.
Ora.
Se c’è un’argomentazione che trovo, senza mezzi termini, ignobile, è il “dove sono le femministe?”. Viene brandita dalle destre, d’abitudine, con quei bei titoloni che fanno tanto comodo a coprire sprezzo e distrazioni. A volte viene brandita anche dalle donne, a sorpresa: avvenne, a mia memoria, per le donne curde, quando chi nelle lotte non si era mai visto twittava la stessa frase. Non so quali siano i motivi: se disinteresse, disinformazione, altro (e sull’altro non indago). Ma sono arrivata a Ravenna carica di rabbia per quanto ha scritto Anilda Ibrahimi, una scrittrice, dunque una che usa le parole per lavoro, su Domani. In particolare, questo:
“Le nuove generazioni si indignano sui social: non dico che le giovani sorelle femministe avrebbero dovuto tagliarsi i capelli su Instagram in segno di solidarietà, ma un segnale, uno qualunque, me lo sarei aspettata. Le donne iraniane sono lasciate completamente sole a combattere la loro battaglia.
Esiste forse una graduatoria nelle battaglie dei movimenti femministi, e se sì in base a cosa si sceglie? In base a ciò che ci tocca da vicino. E l’Iran è così lontano… Ma anche l’America è lontana e noi in piazza per il loro diritto d’aborto siamo scese.
Mi stupisco dell’indifferenza dell’opinione pubblica verso la repressione in Iran a livello internazionale. Capisco che sia difficile se non impossibile in questo momento contrastare il potere reazionario della Repubblica Islamica di Khomeini, ma fuori da ogni considerazione di natura geopolitica ammetto a malincuore che le donne iraniane non hanno sorelle.
E penso con nostalgia a Oriana Fallaci quando nel 1979, alla fine dell’incontro acceso con Khomeini, si tolse il velo e lo buttò per terra e l’Ayatollah si alzò, scavalcò il chador e sparì dietro la porta.”
Ecco, per dirla tutta sono stufa dei pregiudizi e del maternalismo. Sempre colpa delle giovani, eh? Dal risultato del voto alla presunta, presuntissima, mancata protesta. Il che è un falso. Perché tutto c’è stato tranne che l’indifferenza.
Allora, ben felice che si scriva, il più possibile, delle donne iraniane. Ma non pro domo propria, mai pro domo propria. E soprattutto, senza scrivere bugie. Abbiamo bisogno di tutto, tranne che di questo, cara Anilda Ibrahimi, che conosco e stimo, e proprio per questo sono sbigottita per quanto hai scritto. A meno che tu, con quel “dove sono le femministe?” non intendessi “alcune” femministe, e ti chiedessi perché Tizia e Sempronia non avessero parlato. Se così fosse, la risposta è semplice: non sono necessarie le singole, è necessaria la comunità. E quella c’era, eccome se c’era.
concordo pienamente. qualsiasi cosa accada, è sempre colpa di chi ha cercato di cambiare le cose.
non ci curiamo delle donne iraniane…non cresciamo maschi femministi…non accogliamo le sorelle sfortunate….È un”arma antica quella che viene usata: il SENSO DI COLPA