Ricevo, con permesso di pubblicazione, questo intervento di Beppe Sebaste, che vi giro:
“Ma sono solo io a sentire tanto provincialismo nel dibattito che avviene sui cosiddetti weblog, o blog, in seguito all’articolo, peraltro sacrosanto, di Carla Benedetti sull’ Espresso? In esso, la critica letteraria mette a fuoco il “genocidio culturale” che l’industria editoriale rischia di commettere nella sua “monocultura del best seller”, non solo nella produzione di titoli (i romanzi di Faletti, ad esempio, osannati da certi critici in malafede come buoni romanzi) ma anche, aggiungo, nella distribuzione che, come la holding delle librerie Feltrinelli insegna, rischia di discriminare una serie di libri di picole case editrici che sempre meno saranno visibili ai lettori. Il problema, quindi, è l’invisibilità cui vanno soggetti molti buoni libri, a vantaggio di prodotti ipervisibili, quasi televisivi, che occupano lo “spazio della letteratura” (uno spazio su cui occorrerebbe, con calma, davvero soffermarsi). E’ un problema vecchio, certo, ma con connotati nuovi, come si addice alle nuove frontiere della merceologia e della vendita (leggi, della pubblicità). La diagnosi, anch’essa vecchia e che ormai mi si incolla alla bocca a furia di ripeterla, è la perpetua confusione tra ciò che ha successo (cioè qualcosa che si constata) e ciò che ha valore (che è qualcosa che si giudica). L’eclissi della facoltà di giudizio è tutt’uno col predominio della constatazione di un successo, che richiede ben pochi sforzi cognitivi. Ma da qui a parlare di vecchie categorie storico-letterarie (De Sanctis-Croce-Gramsci) come “nazional-popolare”, ne corre. Vi ricordate quando Pippo Baudo, dall’alto della sua ignoranza, si era offeso perché qualcuno gli aveva detto che le sue tramissioni erano “nazional-popolari”? Ecco, rischiamo lo stesso buffo equivoco, ma all’inverso. E’ un’ovvietà quella di Edoardo Sanguineti, che cultura è tutto, anche le Lecciso. Ma non per valorizzarle, bensì per descrivere il mondo in cui viviamo. Ma questo cosa c’entra colla ricerca di valori che rendano le nostre vite meno esposte alla banalità, alla noia, alla barbarie? Cosa c’entra con le motivazioni che sono alla base dello scrivere, del fare arte musica o anche fare ricerca, ricerca se vogliamo della verità e della bellezza, o di uno spazio di libertà? C’è tanta pessima musica in giro, prendiamone atto, sì, ma non per questo dovremmo rinunciare a valorizzare (e creare discrimini, certo) tra i migliori gruppi o solisti a favore di Gigi D’Alessio (o Masini, o Al Bano, che ne so). Il “rumore del tempo di lavoro” era un bel titolo di un vecchio numero di una rivista di (allora) “controcultura”, L’erba voglio. Me la ricordo perché mi colpì. Era l’epoca, naturalmente, in cui una certa politica si pronunciava contro la cultura del lavoro. Vi si parlava della differenza tra scelte musicali, una contigua e anzi complice con tutto ciò che opprime, aliena, idiotizza, o, come scriveva Adorno, “ci rende piu’ stupidi e piu’ cattivi” (lui lo scriveva di certi film, dell’effetto che fanno quando si esce dal cinema). Dall’altra parte, invece una musica (o una letteratura, ecc.) irriducibile al “rumore del tempo di lavoro”, disalienante, diversa di natura e non di grado da quanto ci opprime. Oggi viviamo sotto un regime politico che è soprattutto un regime linguistico, quello pubblicitario. E d’accordo che non è stato Berlusconi ad instaurarlo, per quanto lo abbia preparato in anni di televisione e di strategie linguistiche, ma lo ha trovato bell’è pronto per metterci il cappello; ma ci vogliamo rendere conto che flirtando con queste categorie, col rispetto alla merce piu’ venduta, che siano Faletti o le Lecciso, stiamo contribuendo anche noi al “genocidio” di cui parla Carla Benedetti? E’ la stessa riposta che darei alla domanda, anch’essa dal suono provinciale, di Mauro Covacich, in risposta alle osservazioni di Tiziano Scarpa su Nazione Indiana: se è possibile oggi un romanzo scandaloso. E’ almeno dai tempi di Dante che l’arte e la letteratura vivono per rispondere, cercare di rispondere, a questa domanda. Vi ricordate il Grande Moloch di cui parlavano Kerouac, e Ginsberg., eccetera? E’ sempre lì, pronto a fagocitare, quindi ad annullare, ad assimilare in una pubblicità di Calvin Klein tutto quanto si oppone al sistema su cui prospera Calvin Klein (per esempio), come quando nella vetrina a Parigi di Sonia Rykiel avevo visto campeggiare una copia del “No logo” di Naomi Klein (carino, no?). E tuttavia, è proprio nel continuare ad inventare linguaggi altri, storie altre, affermazioni diverse (di natura, non di grado) all’impasto mediatico che ci circonda e inghiotte, che noi facciamo arte e “letteratura” (storie, libri, frasi). E lo scandalo si ha, si fa, quando non si presa il fianco, o lo si presta il meno possibile, a quanto già viene valorizzato e quindi svuotato di senso… Ignorare, spesso è meglio di riflettere o di rappresentare.
Infine, sui blog. Scusate la domanda: ma non è buffo che su una tribuna così minoritaria, diciamo in un circuito di amici, si fa l’apologia del “popolare”, e poi il Corriere (che popolare, in confronto, lo è eccome, con le sue 700.000 copie vendute) lo riprende in terza pagina, e si salda così il cerchio – quello di un’elite di volontari che scambia le proprie chiacchiere con qualcosa di effettivamente popolare? Che popolare allora voglia soltanto dire “ciò che ha potere” (cioè visibilità), in un modo o nell’altro? Non è anche questo qualcosa su cui pensare? Un caro saluto
Beppe Sebaste
Inoltre, per chi non lo avesse visto: on line un lungo intervento del Miserabile Scrittore
scusate, e grazie a loredana dell’ospitalità. il commento di vittorio merlo mi fa capire che manca qualcosa al mio intervento (manca sempre l’essenziale). ovvero che l’ideologia del best-seller, per così dire, con i loro tratti caratteristici e populisti, non toglie solo o tanto la visibilità a certi altri libri, ma soprattutto a quelle forme discorsive, a quei “giochi linguistici” diversi di natura, che possono appunto essere “lunghi”, o complessi, o “inutili”, ovvero non efficaci, non omogenei né omogenizzati a delle attese e delle logiche che il mercato volente o nolente impone sui nostro orizzonti. Forme non consolatorie, non rassicuranti, che non confermino a se stessi; forme che non portano da nessuna parte, o perfino che “finiscano male per il lettore” (come scriveva qualcuno tanto tempo fa). E’ questo che vorrei chiamare a difendere un po’ ovunque, nello scrivere frasi, romanzi o teorie, nella musica e nelle arti.
Cerco di seguirvi,
i temi mi interessano ma …
sbaglio o chi si occupa di letteratura spesso manca di capacità di sintesi?
Non mi riferisco in particolare solo a questo intervento,
è difficile seguire interventi così prolissi…
un caro saluto dal Lussemburgo
Vittorio
caro genna, perdonami, come è sta storia delle teorizzazioni? cosa hai fatto se non teorizzare nel tuo ultimo post su i miserabili?? libero di farlo.ma perchè accanirsi contro questo intervento che mi pare il più lucido in assoluto nel contesto delle ultime polemiche?
l’idea di leteratura di sebaste mi pare molto più definita e onesta della tua, che balzelli di qua e di là, tronfio, peraltro spesso servendoti di un parlare gratuitamente volgare, insesatamente.sembri lo sfigato del liceo che è scoppiato poi all’università!misurati, per la miseria!!
poi volevo ripostare un mio intervento già apparso su nazione indiana che mi sembra inerisca:
“fermarsi al luogo ameno di popolare=intramato per bene e leggibile, mi pare significhi non perseguire il fondo identitario proprio del vero scrittore. è sommamente ingeneroso parlare di emarginazione e inesistenza, a tal proposito. sinonimo di appiattimento.ci sono cose che è comodo non voler vedere, perchè tutto troppo chiaro. imposizione di norme a che pro? chi ha veramente da dire è più popolare di chi si immette nel fluido binario della macchina letteratura.
e poi cosa sarà mai questa categoria di “popolare” in letteratura? è tautologia.sei popolare perchè non perdi la capacità di essere nel e col popolo, prima ancora di essere uno scrittore. Lo scrittore può benissimo non esistere, tenetene conto, è una propaggine.”
Gentile Sebaste, io ho molto apprezzato – moltissimo, anzi, e devo dire come al solito – l’intervento di Sanguineti. E però, nel tentativo di capire le chiedo, può spiegarmi meglio cosa intende con la frase “alla ricerca di valori che rendano le nostre vite meno esposte alla banalità alla noia alla barbarie”? La banalità di chi? Nostra o degli altri? Quali valori, quelli che già abbiamo, che vorremo vedere confermati, o altri, che cerchiamo, con cui magari vorremmo sostituire i nostri, che forse non ci piacciono più per qualsiasi motivo? Quale noia, quella che proviamo, quella che temiamo, quella che proviamo ma non vorremmo? E la barbarie? Quella in cui ci sentiamo coinvolti? Quella da cui ci sentiamo esenti?
Per Wu Ming: ho visto tardi la risposta al post sotto. Anche io lo credo. C’è voglia di mettersi in gioco. Vediamo. Il gioco è bello per quello.
In Bielorussia le modelle sono biele.
(scusate la cazzata, oggi è il mio compleanno, siate pietosi)
Se non la smettete di citare Adorno e Zizek, prendo il primo aereo per la Bielorussia, laddove hanno vietato alle modelle di espatriare. Andate a citare Adorno in Bielorussia: lì ha ancora senso. Tutto ciò che c’è di provinciale, secondo me, risiede in questo atteggiamento di finta descrizione del mondo, di banalissima presa di coscienza che un alfabeto è fatto di lettere, di critica preventiva a luoghi che non si suppongono popolari. Non è possibile scambiare il Corriere, mercé le settecentomila copie, per qualcosa di popolare. Questo equivoco è provinciale. E, come sostengo, di fronte a queste analisi tocca tornare indietro di chilometri per ritrascinare avanti la discussione. C’era gente, nel ’95, che nemmeno discuteva di queste cose, ma le sventrava pubblicando testi che si dissero inutili o giovanilisti. Quella gente scazzò in prassi non criticoletteraria, bensì direttamente in letteratura. A distanza di dieci anni si deve tornare indietro? il tempo non passa mai per chi si occupa dei micropoteri? Non vi viene il sospetto che vivete in un’idea cristallizzata della storia, e quindi antistorica? Ritenete che il dibattito su giornalismo e verità sia attuale o sia ucronico (un’ucronia in direzione retroattiva)? Intendo, Beppe: il tuo libro su L’ULTIMO AUTISTA DI LADY D. non è secondo me abbastanza potente da superare queste critiche testuali? E’ quella la strada, a mio avviso. Bisogna parlare di quel libro (nel mio piccolo, ne parlerò e fino d’ora lo consiglio a chiunque: http://www.internetbookshop.it/ser/serdsp.asp?shop=1&c=RNO47T6PZMIFT). Ciò che si dice deriva, delirio, desiderio è una pratica creativa che prescinde dalle teorizzazioni paradorniane!
Questo dibattito inaugurato dalla Benedetti non fa, a mio parere, che ripetere e rievocare la vecchia disputa (tipica della sinistra) tra letteratura (?) di massa e Letteratura con la L maiuscula. Tra gusti della critica (e dei critici) e gusti del pubblico, ecc.
E’ certamente vero che oggi tale distinzione, come dice Genna, tende a perdere di significato (e allora perchè dibatterne ancora?). Il problema in effetti è un non problema. Ognuno, secondo me, può leggere quello che più gli aggrada: Faletti o Harry Potter, Kafka o Joyce, Evangelisti o Landsdale, Leonard, ecc.
Il problema è allora questo: non si tratta tanto di una distinzione
sul valore letterario quanto della possibilità di garantire a lettori per dir così di nicchia (tra i quali mi metto, pur non didegnando in assoluto il best seller o similia) di continuare a leggere gli autori che rispondono ai loro gusti (non so quanto venda un Wallace, un Lansdale, un Leonard, ma desiderei continuare a leggerli, vale lo stesso per i Wu Ming) e che non si arrivi a un momento in cui si vendano solo i best seller. Credo anche che una certa attenzione ai gusti del pubblico da parte degli autori debba esserci sempre, se no, anche l’autore un po’ di nicchia, non ti viene proprio voglia di leggerlo.
Infine, dal punto di vista degli autori, ognuno faccia la propria scelta. Se ha le ambizioni e le capacità di fare il genio segua l’esempio dei grandi squatrrinati e scriva la sua Opera. Se invece vuole fare i soldi e ne ha la capacità, faccia pure come Faletti o magari scriva in Inglese e diventi milirdario come Brown o la Rowling.
ma non mi basto io.
No tu. Tu, Beppe Sebaste. Tu, noi.
rispondo come viene, in fretta come in fretta era scritto l’intervento. che la questione sia vecchia, anzi antica, l’ho detto anch’io. ma qual è l’orizzonte di chi critica le mie parole? la neutralità? l’accettazione dell’esistente? che in fondo va bene tutto, tanto uno può leggere quello che vuole? Ma siamo sicuri che sia spossibile, che la gente legge davvero quello che vuole? mah. se io dico: la realtà da tempo si sta televisizzando, voi cosa capite? scusate se io sono un po’ piu’ inquieto e insoddisfatto di voi, le cose pubbliche mi annoiano, ho fame di luoghi e di spazi e di forme diversi da quelli/e oggi “popolari”, ed è ovvio quindi che la questione è politica. ed è così che rispondo alla buona domanda di “il postodeilibri”: parlo di una qualità della vita che è insieme una domanda politica, in senso ampio; cioè ecologica, perché non c’è dubbio che piu’ che l’estinzione dei panda mi interessa l’estinzione delle forme e delle idee, dei linguaggi, delle immagini creative di vita, delle forme di vita (delle nostre vite immanenti). la barbarie è il restringimento degli spazi, il monologo, i consumi uniformati, le coazioni a pensare a dire a comprare a desiderare. Quanto a GG (Genna): la citazione di Adorno, ne converrai, è tutt’altro che accademica (perdio!), e tutt’altro che adornianamente triste… lo stato d’animo di uscire dalla visione di un film “piu’ stupidi e piu’ cattivi” mi sembra molto attuale, anche se, ahimè, oggi non si va nemmeno piu’ al cinema, ma si resta stupidi e cattivi seduti sul divano, mentre la televisione CI guarda. se non ti piace adorno (che è un mio vecchio e caro ricordo), mettici sebaste. per il resto, G., ti ringrazio per quello che dici del mio libro, e sono d’accordo: a me basta.
No, Sebaste, è che mi chiedo – è sempre una domanda – “le denunce” – e voglio immaginare che a chi scrive su questo blog l’esistente non vada del tutto bene, e che lo si voglia “criticare” e condivido – non devono essere precise, circoscritte? Non si corre il rischio di girare a vuoto, se no, e di farsi dire, come nella battuta geniale del film di Moretti, “Tu ti annoi perchè sei noioso”? (Palombella Rossa, Valentina, la figlia, al padre)?
Troppi libri troppo uguali troppo visibili dei soliti che scrivono e scrivono e scrivono. Ma che scrivano pure, ma che non tolgano spazio ai libri, a quelli molto validi di piccole case editrici con grandi autori però, poco conosciuti purtroppo. Non è possibile che le librerie abbiamo sempre i soliti in bella vista e pure i supermercati adesso: questa non è cultura, è mortificarla, e non è neanche divulgazione, è mercificazione. Se entro in una libreria voglio – vorrei – trovare dieci libri di Tizio (molto conosciuto) e dieci di Caio (che rispetto a Tizio è poco conosciuto): devo aver possibilità di scelta; se non ce l’ho, allora me la prendo anche con gli autori che invandono le librerie e che le tappezzano pure di tazebau pubblicitari. E invadono, invadono, tutto e tutti, internet e pure la buca delle lettere in alcuni casi.
Saludos
Iannox
Mi permetto di segnalare un mio breve intervento sul “popolare” (c’entra con quello che si sta discutendo da giorni) su http://www.uffenwanken.splinder.com
Grazie.
OT: per chi fosse interessato, un’intervista ad Eraldo Baldini, a mio avviso, molto interessante. Era già apparsa, ma penso sia giusto riproporla, perché più che mai attuale, come attualissimi e importanti i libri di Eraldo Baldini. I motivi li ho spiegati, e correva l’anno 2002…
Qui:
http://biogiannozzi.splinder.com/1107429620#3977346
Saludos
Iannox
Oddiomio! Posso dire Oddiomio? L’ho detto.
Tanto per: la provocazione (!) di Edoardo Sanguineti è tale e non lo è, in quanto è lo stesso Edoardo Sanguineti a scrivere per un pubblico colto che è non è quello popolare. Che poi legga il popolare per “frammischiarlo” alla poesia e alla cultura che fa e sa, bene, questo è un altro paio di maniche. Ma dubito fortemente che scriverebbe sulla Lecciso un libro intero, così come Gramsci non avrebbe speso per una finta ballerina una sola riga e neanche per i cantanti del profondo sud che si son fatta strada. Il Popolare quand’è destinato a durare ha quelle qualità che furono di Dumas, un Popolare con P maiuscola; quando si scrive tanto per rimpinzarsi le tasche e svuotar quelle degli allocchi, allora il popolare diventa una truffa. Intendiamoci: una truffa in cui cadono gli allocchi, quelli pronti sempre a spalancar la bocca e che ogni boccone gli sta bene, e non si curano di saper se il masticare è per carne di vitellino agnellino o piuttosto quella d’un ben più tristo moscone. E qui non ci si trovi allusione, perché il mio è discorso in generale, un po’ provocazione e un po’ tanta verita, almeno per quanto mi riguarda. Poi, guardate quanto popolare con p minuscola è stato scritto e dimenticato: e io dico, “Per fortuna!” altrimenti il critico oggi avrebbe di che mettersi le mani fra i capelli. Vale sempre che l'”inutile” si elimina da sé, anche se il'”librosistema”, che dovrebbe portar e tener equilibrio, non funziona affatto. Ma tant’è: l'”inutile” si perde, si perde e tanto fa. Non è un discorso di sinistra o di destra: è piuttosto un discorso di sopravvivenza.
Cari saluti.
Iannox
Non capisco la chiusa sui blog. Sebaste dice che si discute sul blog per andare sul Corriere della Sera?
“Vorrei l’indirizzo di posta elettronica di Beppe Sebaste per comunicazione privata”. Marco Guadagni
A Sebaste gli rode assai perché il suo libro su Lady D. non ha venduto quasi nulla e ormai nessuno più ne parla, e allora si inventa questa confusa polemica che non si capisce dove intenda arrivare. Peraltro Lady D. non era male, anche se un po’ snob nelle citazioni…
Caro operaio-orco e altro: hai per caso un blog? Se sì, le illazioni sulle altrui rosicate riservale per la tua magione. Se no, prendi in considerazione l’idea di aprirtene uno per tuo conto.
Grazie
d’accordo, la pornografia della banalita’ ossessiona questa societa’ guardona. il piccolo-borghese grasso e pago di se’ si autocelebra, e tu intelletuale, lo guardi, ne ridi e in fondo ti fa comodo. se non ci fosse, con che cosa paragoneresti certa tua letteratura?
sebaste e’ uno scrittore sublime e del sublime lui scrive. uno dei pochi.
un caro saluto a te,
caterina