Ancora sul giallo, o meglio: ancora sul rapporto fra letteratura e realtà (che è una delle strade possibili, bisogna ribadire, ma non l’unica). E per due motivi: esce sul quotidiano di oggi un articolo della sottoscritta su Attenti al Gorilla di Sandrone Dazieri (ancora non on line, poi metterò il link). Era, comunque, un giallo del 1998, dove il Dazieri medesimo immaginava un protagonista che gli somigliava molto, dotato di un "doppio" che probabilmente gli metteva paura. In due parole, la personalità numero Uno veniva dritta dritta da quella che si chiamava "cultura antagonista" (all’epoca, Leoncavallo e underground), la personalità numero Due cominciava a mettersi la giacca e la cravatta. A prescindere dalle valutazioni e dal gusto di ognuno, quel libro raccontava, in effetti, quel che stava davvero accadendo in quegli anni: e non solo perchè nel romanzo apparivano i punkabbestia e i rapper metropolitani.
Ed è quel che fa, d’abitudine, la cosiddetta scuola gialla italiana: quella che usa le dinamiche investigative per capire e raccontare quel che ci circonda. Buffo ripeterlo così spesso, dal momento che il genere, il buon genere, fa d’abitudine esattamente questo. Poi, certo, arriva quello che in molti hanno descritto come una sorta di overbooking editoriale: il giallo italiano vende? Facciamone tanti, anzi tantissimi. Col risultato che si finisce (ed ecco il secondo motivo) con il dover essere d’accordo con quello che Alberto Bevilacqua scrive sul Corriere della Sera di oggi ("almeno un po’ di sangue versato in azioni mortali, altrimenti non si è allineati"), e ci si sta male.
Ah, segnalazione in coda: i romani che si trovassero oggi alle 18 alla Mel di via Nazionale, potrebbero imbattersi in una persona assai degna. Ovvero, Daniele Scaglione, già presidente di Amnesty International. Si presenta il suo libro Diritti in campo. Storie di calcio, libertà e diritti umani. Si replica domani alle 20 a "Più libri più liberi", al Palazzo dei Congressi, Eur.
Loredana, posso scrivere che “una sorta di overbooking editoriale” come lo chiami tu, significa, detto in modo più approfondito: “una miriade di funzionari nell’editoria e nei media […] con parametri di mercato invece che direttamente ideologici […] fanno passare una letteratura lobotomizzata” (Carla Benedetti, L’Espresso” del 18 novembre 2004, un articolo su Dovlatov in cui si mostravano le analogie tra letteratura sotto l’Unione Sovietica e attuale scena editoriale italiana).
Loredana, stai diventando gommosa.
Magari lo sono, Andrea, chi può dirlo?
ERRATA CORRIGE: la presentazione bis di Scaglione non è domani ma il 10 dicembre, stesso contesto.
Naturalmente puoi.
Tra le segnalazioni in coda, se mi è permesso, accoderei la seguente: un pò + in là di via nazionale esiste via Cavour e proprio una sua traversa, via dei quattro cantoni, ospita un simpaticissimo wine art dove con alcuni amici stiamo tentando, tutti i giovedì di proporre un pò di genuina letteratura dando ampio spazio ai piccoli editori e ai giovani esordiente … il tutto free e nello spirito che contraddistingue il buon leggere: l’ascolto. Non è pubblicità questa, ci tengo a sottolinearlo perchè al Bracolo, questo è nome del posto, contiene soltanto 30 persone e credo che tra amici e amanti del buon vino … saremo ci saremo tutti. Il mio invito è invece per un’atenzione alla piccola editoria che, con fare artigianale, si ritaglia il proprio spazio e promuove, oltre che un buon libro, anche un bell’incontro.
Girolamo
Fra letteratura e realtà: c’è un bel discutere, anche da me.
Chi vuole, sa come trovarmi. Chi non vuole, sa bene come non trovarmi. E tanto fa.
Saludos.
Iannox
Girolamo, fornisci qui qualche appuntamento, dai.
Iannox, trovato.
Cara La Lipperini,
sì, ho visto e ho letto che m’hai trovato. Non era difficile.
Rispondo anche qui, tanto non sono OT: la commistione di generi non dico sia assolutamente da evitare. M’accennavi alla possibilità di unire due generi, fantascienza e fantasy: a tutt’oggi, a mio avviso, il miglior risultato italiano l’ha avuto Donato Altomare, tra l’altro vincitore d’un Premio Urania. Ma la vera sorpresa è stata con Stefano Marcelli, autore che trovo particolarmente importante non solo per lo stile (che è abile commistione di generi) ma anche per i contenuti. Credo d’esser stato uno dei pochi ad aver parlato di Marcelli e del suo ultimo romanzo (per i tipi Fazi): ne parlai su SdM/Clarence qui per chi fosse interessato:
http://www.clarence.com/contents/cultura-spettacolo/societamenti/archives/001323.html
La stessa intervista e recensione fu poi replicata – non so più bene neanche io – non so da quante altre parti. E’ un peccato che di questo autore se ne parli poco. Eppure, almeno per me, è uno dei pochi autori italiani che “osano” per dare al pubblico storie originali dove la commistione di generi è d’obbligo quasi. Marcelli è uno dei pochi autori che “intorpidisce” le acque, ma con sapienza: giudizio mio, magari qualcuno non sarà d’accordo. Andando oltreoceano, Jonathan Lethem, ma è troppo confusionario, almeno per me: anche lui ama le commistioni, ma gli riescono solo a metà. China Miéville invece trovo che sappia scrivere decisamente bene, molto di più che non Lethem, anche se quest’ultimo è maggiormente osannato. Ma l’inviolata guru della fantascienza rimane Ursula K. LeGuin, tra l’altro ristampata e dall’editrice Nord e da Mondadori (in diverse collane).
In quanto al thriller: in Italia, dopo Faletti (che non mi piace), trovo che non ci siano grandi scrittori tout court. Faletti non scrive male, ma almeno a me m’annoia. Spendo qui due parole per “Noi Saremo Tutti”, che ho finalmente finito di leggere: bello, a mio avviso – adesso posso dirlo – superiore ad “Antracite” che m’aveva lasciato un po’ perplesso. E spero di riuscire a scucire a Valerio una breve intervista (lui sa che sono inquisitore chilometrico nelle interviste). Sandrone Dazieri mi piace, anche se ultimamente non ho letto niente di nuovo di suo. Il thriller migliore rimane quello di Eraldo Baldini (non dico dell’ultimo suo romanzo, in quanto ancora non l’ho letto). Eraldo Baldini scrive dei thriller aspecifici, con inserti fantastici o orrorifici a volte, ma senza abusare: cio’ me lo fa amare.
Be’, ci sono un po’ di spunti, forse utili. Vediamo che diranno gli altri.
Cari saluti,
Iannox
Colpo di scena nelle indagini: il movente si suicidò non appena scoprì il vero nome dell’assassino.
ma è destino inevitabile del giallo quello di morire.
Qualcuno indagherà su movente e assassino, e ne trarrà un libro
e Lucius Shepard, allora? non scriveva delle belle prove di miscuglio, lui?
@ Overbooking: sono contento che gli addetti ai lavori si siano accorti della cosa. Quando vidi in libreria il primo thriller meteorologico cominciai a rimuginare sulla faccenda.
Il quale era l’autore del thriller meteo, suppongo (speraben, questo lo ignoravo proprio).
Sulla fantascienza bisognerebbe fare un discorso ancora a parte: personalmente, sono d’accordo con coloro che sostengono che la fantascienza sia sempre politica (nel senso più vasto del termine) nel descrivere, nei fatti, le dinamiche del presente. Come, appunto, fa il buon “genere” in assoluto.
La storia dell’assassino metereopatico che uccide in corrispondenza delle variazioni climatiche, potrebbe diventare un bestseller. Ed il titolo, inquietante, potrebbe essere: “Il ritorno delle mezze stagioni”.
Per servirvi ecco il meteo-thriller: alessio grosso, apocalisse bianca, pubblicizzato appunto come il primo meteo-thriller italiano.
(che poi magari è anche bello, non è che qui si vuole valutare senza avere letto).
Franz Krauspenhaar ha scritto un noir che uscirà per Baldini&Castoldi. Sono sicuro che sarà un bellissimo libro perché la forma del noir è autenticamente sua. Franz ha un immaginario goyesco, e per certi aspetti (solo per certi)condivide con Moresco la drammaticità nella scrittura e un certo approccio verso la vita. Mi viene in mente qualcosa che ha scritto proprio Moresco, l’occasione era l’invito nella villa di San Michele di Axel Munthe a Capri, un luogo dedicato agli artisti: “[…] non vorrei e non avrei voluto per me questa protezione e questa tutela, sono contento di non aver avuto questa ciambella di salvataggio e questa limitazione, di non essere vissuto in uno spazio rappresentativo e protetto, in questa bambagia culturale e in questa dimensione predisposta e allevata. Lo scrittore è uno che si scava a forza fondamenta abrasive dentro la vita e lo spazio dell’esperienza. Lo scrittore non deve essere trattato come una specie in via di estinzione, deve avere le spalle al muro, deve sempre sentire contro le proprie spalle e l’intero corpo il muro contro cui, tanto più in questa epoca, è collocato, così che non gli resti che inventarsi uno spazio ulteriore e un drammatico movimento in avanti.”
Ecco il noir va bene per certi scrittori non perché è un buon genere (se praticato secondo certe regole, cioè raccontare la realtà) ma perché è un modo naturale per loro di esprimere la drammaticità.
Tutto questo se chiediamo che la letteratura possa avere un senso nella vita di chi la legge. Altrimenti, se cerchiamo un passatempo, va bene un po’ tutto e con qualche cenno alla realtà il tempo passa ancora meglio.
cara LOredana,complimenti per il blog…chi ti scrive è stato definito cattivoo buono a seconda dei casi,come gli eroi dei gialli.
Che in Italia si facciano libri gialli buoni,non so…
so solo che dopo aver letto Maigret o Chandler,o altri ,difficile ambientare buon gialli a Milano o Roma…
poi se uno si accontenta di FALETTI vero scandalo…
ti volevo chiedere un favore a te,e ai tuoi amici bloggers,se per favore visitate il mio blog adelante,perchè sto male,e vorrei avere,se non delle risposte,almeno dei consigli……anche se poi uno si consiglia da solo,come IL Bernhard della “Cantina”…ti ringrazio..un saluto
stefano
Carissima la mia Loredana,
mi chiami pure come meglio crede, anche mentecatto,
tanto questi motti sono transeunti più che mai ed io e dio( mi si perdoni l’eresia o meglio l’apostasia) con essi, quindi sia come Ella preferisce, per quanto Mario è il mio( nostro) fratello minore, detto il povero Mario, colui che scrive e vaneggia e vanifica i miei sforzi di renderlo atto a forgiare o sfornare prodotti utili al commercio all’ingrosso ed al minuto ( tipo appunto racconti/piadine, ossia di poco momento).
Nel contesto presente, per brevificarsi, che oramai devo recarmi ad A* per acquistare una ulteriore seminatrice, vedo le parole vergate dal sodale Andrea il quale cita un romanzo di futura pubblicazione dell’ottimo Krauspenhaar, mai abbastanza lodato.
Già mi sento incuriosito anzi assatanato all’idea stessa di poter leggere un ulteriore prova del bravo Franz che eccelle nella manipolazione della lingua, nella costruzione psicologica vuoi psicopatologica dei personaggi e nella industre elaborazione di tante minute, carognose vicende.
Sono perciò anche irato, un pochetto, con il detto stesso Franz, con cui sono in strettissimo rapporto epistolare, che non volle darmene pronta notizia forse per suo insito pudore, io credo.
Tuttavia, nel qui dilungarmi, vedo accenni al professor Moresco: e ciò quasi mi indigna che l’accostamento è quanto mai indebito, che io giudico la fama del detto romanziere usurpata ed accostarlo al Krauspenhaar subito mi rende quanto mai nervoso.
Trovo le opere del Moresco pesanti, noiose ove l’artificio sormonta la forma, la vicenda, pretestuose e lamentose come poche: persino “Gli esordi” tanto vantati come esempio di gran tecnica e profondità elucubrative mi appaiono come una gemebonda geremiade fuori tempo, fuori luogo, fuori ( e ciò al Moresco tanto piace e ci si crogiola: sentirsi messo fuori anche quando ha venduto molte migliaia di copie).
Per non parlar dei “Canti”…
Il povero Mario che li acquistò, li gettò ad un certo punto nel pollaio indignato per l’erotismo nero che vi sovrabbondava.
Io lo recuperai, che non mi piace veder libri tra lo sterco dei volatili.
Io lo nettai e di gran buona voglia, sforzandomi di rimuover pregiudizi, mi gettai nella narrazione. Mi fermai prima della metà, arcistufo, con un peso sullo stomaco, per cui mi recai al caffè, dalla Armida, ove mi bevvi un ferneth e le consegnai il caotico testo che essa pare vogliosa di vicende ammorbate e apocalittiche.
E ciò dire mi spiace e più ancora dissentire dal motto precedente dell’ amorevole sodale Andrea.
Ahimè,
tuttavia,
sono il suo devotissimo Anodino.blog
Io ho delle cose da dire non tanto su Krauspenhaar (aspettiamo il noir, per esser pignoli aggiungo che Franz è autore di Avanzi di balera e Le cose come stanno, si trova su Nazione Indiana, e poi qui: http://www.uffenwanken.splinder.com/ http://web.tiscali.it/akrab/franzkrauspenhaar.htm).
Ho delle cose da dire sulla frase di Moresco che Andrea cita, e sul come la cita.
Diffido istintivamente delle definizioni dogmatiche o intese come tali di cosa è lo scrittore e cosa dovrebbe fare lo scrittore. Se devo limitarmi a quanto ho letto solo negli ultimi venti giorni, ne viene fuori un’immagine stillante sofferenza che mi puzza di romanticismo di ritorno.
Come se l’unica letteratura possibile fosse quella che agonizza nel suo stesso sangue, come Divine in Notre Dame des fleurs.
Può essere anche questo, ma non è solo questo. Voglio dire che ai manifesti intesi come diktat ad esclusione, oggi, non credo. Credo invece che ogni scrittore abbia un progetto esistenziale e culturale proprio, sul quale può incrociare altri percorsi di scrittura che ritiene affini.
La creazione fittizia di contrapposizioni, l’evocazione di un luogo benedetto e incontaminato dai mali della visibilità editoriale, non fa bene a nessuno.
E, scusami, la letteratura, per me, può dare un senso alla vita di chi legge e può anche far passare bene il tempo. Non voglio pensare che le due cose debbano escludersi.
Ehm, Signor Fattore, sono d’accordo che i Canti del Caos li scagli nella porcilaia, per quella roba lì non ci sono le vie di mezzo (non credo chi definisce Moresco semplicemente “prezioso” che è una variante salottiera di “carino”). Per me è un grande scrittore perché ogni due o tre righe mi spiazza con un’immagine a mio parere straordinaria. Per te è un obbrobrio, ok, qui non si tratta di avere ragione ma di chiedersi se i Canti ti mettono in subbuglio e se non è così vuol dire che avrai altri libri, sono sicuro, che ti innescano e ti cambiano. Sulla malafede di Moresco invece non sono d’accordo, le righe che ho riportato su sono autenticamente vissute e, indipendentemente dal giudizio sulla scrittura, meritano rispetto. Non ho conosciuto Moresco personalmente però lo stesso ho una simpatia umana verso per lui, sento che veramente è uno che non ha mai comandato nessuno e non è stato mai comandato da nessuno. Mario, ma nemmeno le “Lettere a nessuno” ti sono piaciute?, è un libro bellissimo.
Andrea, non mi pare di aver parlato di malafede a proposito di Moresco. Se leggi bene, parlo del modo in cui vengono utilizzate le cose che scrive: ciò detto, malafede non è la parola più adatta. In questo caso, penso più ad un uso improprio della fede, assolutamente sincero peraltro 🙂
Intanto un caro saluto a Loredana. Sono stato citato da Andrea e da Mario, che ringrazio. Pubblicherò un noir non tanto perchè è il genere che “tira” di più; è che ci sto dentro – in quelle acque nere- come un palombaro di Cousteau;-) Il libro precedente, uscito nel 2003, non era un noir; si puo’ chiamare “romanzo epistolare”. Ma per il resto è più nero del nero, anche se il crimine non viene consumato, il crimine sta nell’aria asfittica che circonda l’io narrante e i personaggi evocati dallo stesso protagonista monologante. Moresco personalmente lo rispetto molto e lo trovo coraggioso. Io però credo in una letteratura il più possibile comprensibile a tutti, che non vuol dire, come scrisse Henry Miller a proposito degli irlandesi, “baciare il culo al Papa”. Con Loredana sono d’accordo quando parla sostanzialmente di “incasellamenti”. Io per esempio non sopporto la parola “genere”. E’ da tempo che vado dicendo che, almeno tra noi che scriviamo e siamo come suol dirsi nel “giro”, sarebbe salutare parlare di libri riusciti o meno, di letteratura che colpisce o non colpisce. Perchè si tratta più che altro di colpire, di emozionare, per quanto credo io. Si puo’colpire in tanti modi e tramite forme diversissime tra loro. Non è neanche vero che il noir rappresenti meglio di altri generi “la realtà odierna”. Questa affermazione è una paraculata da marketing editoriale che gli scrittori di genere ripetono a macchinetta da 15 anni, un mantra che ha rotto le scatole. Se io mi servo delle tinte nere è perchè mi ci trovo dentro con tutti e due i piedi, tutto qui. Tra l’altro mi piace la trasversalità e non sopporto gli “scaffali”. In un certo senso, si potrebbe dire che anche Moresco fa del noir. Forse del noir metafisico. Uno scrittore ostico, che anch’io come Mario non sono riuscito a finire nella lettura. Ma massimo rispetto a chi, come lui, tenta strade diverse. Anche dalle proprie.
A presto,
Franz
Ciao Franz, benvenuto.
Sono d’accordo e in disaccordo: è vero, verissimo, che bisogna parlare di libri riusciti o non riusciti. Ugualmente vero che il marketing si sia appropriato ciecamente dell’appeal della parola genere. Un poco meno vero, visto dalla parte di chi legge e col massimo rispetto verso chi scrive (che è posizione più rischiosa di per sè) che il cosiddetto genere non possa aiutare a capire, attraverso la sua drammatizzazione, il mondo che ci sta intorno. Poi, certo, se lo si usa a freddo e si scrivono libri a temperatura emotiva altrettanto bassa, il risultato è quel che è.
Quanto a Moresco: se non vado errata, tra l’altro, a lui piacciono i libri di Valerio Evangelisti 🙂
Aspettiamo il tuo noir: quando esce?
Cara Loredana, tutto giusto. Forse mi sono espresso male (ahi ahi ahi): il “genere” aiuta a capire il tempo in cui viviamo meglio di altri ma fino a un certo punto. Ma gli incroci sono talmente tanti (e meno male) che parlare di genere secondo me non fa piena giustizia a tutta la letteratura. Sono un po’ refrattario ai cataloghi, è colpa mia, un mio limite. C’è chi bastardizza – da vero “bastardo”, e fa bene; l’importante, come sempre, è il risultato. Moresco apprezza Evangelisti? E fa bene. Ho anche saputo che è andato a vedere Collateral e che gli è piaciuto. Io preferivo Heat la sfida, però… Quando esce il “noir goyesco” – (come lo definisce Andrea Barbieri)? A metà maggio, semprechè non succeda qualcosa di grave. Non a me: al mondo in guerra…;-) (Sorriso amaro). Ti verrò a trovare spesso; e grazie per aver messo il link del mio blog “fabbricone” Markelo Uffenwanken GmbH &Co KG (Società in accomandita a responsabilità, ovviamente, LIMITATA…)
Ciao, un caro saluto.
Franz
I conti tornano, anche a me piace Evangelisti, e anche Gaiman e Alan Moore.
Inoltre da oggi su http://www.nazione indiana.com si può leggere tutto quanto l’articolo da cui ho tratto la prima discussa citazione di Moresco su scrittori e spalle al muro.
Qui un articolo importante di Moresco sull’argomento:
http://www.nazioneindiana.com/archives/000139.html
In cui si dice tra l’altro:
“Così ognuno fa a gara nel mostrarsi estimatore della letteratura “di genere”. Senza riflettere, senza guardare dentro alle cose. Anche persone intelligenti cadono spesso in questa trappola culturale e si prestano a questo gioco.
Io non disprezzo affatto la letteratura cosiddetta “di genere”. Ero un ragazzo con molte difficoltà di apprendimento (sono ancora così) e sono riuscito a cominciare a leggere solo perché esisteva Salgari, che amo ancora. E anche adesso, sinceramente, tra Fogazzaro e Salgari, scrittori tra loro contemporanei e rappresen-tanti il primo della “letteratura con la L maiuscola” e il secondo di quella “di genere”, preferisco Salgari. Come anche oggi sono molti gli scrittori cosiddetti “di genere” che leggo con abbandono e passione, più che altri autori di libri di letteratura in posa da letteratura. Non solo americani e di altri paesi, ma anche italiani, come Valerio Evangelsti, per fare un esempio, i cui libri “di genere” sono a volte carichi di un’invenzione e di una passione -anche di conoscenza- impossibile da trovare nei libri di tanti abatini della scrittura letteraria, per non parlare dei molti cialtroni che credono di esibire il proprio status spalmando marmellata sopra le loro pagine.”
Qui c’è la seconda parte dell’articolo, dove si parla di Simenon:
http://www.nazioneindiana.com/archives/000138.html
Fai bene a segnalarlo, Andrea: non solo perchè è un articolo importante, ma perchè, a ben leggere, andiamo a scoprire che in fondo tu ed io sosteniamo cose molto simili. Nessuno qui, ha difeso il genere (comincio a stancarmi anch’io della parola, ma tant’è), come unica via possibile. Anzi: quel che si è detto è semmai che non esistono le “vie uniche”, ma che è capitato, recentemente, che diversi scrittori -bravi-scegliessero quella strada. Sono due cose diverse. Ribadisco: quel che a me fa paura è la definizione univoca. Perchè è quella, eventualmente, a condurre lo scrittore ad essere considerato la specie in via di estinzione di cui parla Moresco. Che poi ad alcuni piaccia moltissimo essere considerati così, è un’altra faccenda.