La crociata dei bambini di Birmingham (1963). La storia di oggi entra tra le faccende controverse, o complesse, se ancora siete disposti a leggere questa parola. Si disse, all’epoca, che i bambini dovevano essere tenuti fuori dalla protesta. Già, la protesta. Birmingham, Alabama, era fra le città più razziste degli Stati Uniti, al punto che Martin Luther King la definì “la città della segregazione”. La campagna di Birmingham fu guidata proprio da King e da Fred Shuttlesworth della Southern Christian Leadership Conference. Iniziò con boicottaggi verso le aziende per spingerle ad assumere anche neri, proseguì con sit-in nelle biblioteche e nei ristoranti. Nelle chiese, anche: i fedeli neri entravano nelle chiese riservate ai bianchi e, semplicemente, si inginocchiavano. Le reazioni furono quelle che immaginate: nei negozi i manifestanti non venivano serviti. In alcuni ristoranti si sputava loro addosso.
Poi cominciarono le marce. Prima degli adulti e poi degli studenti delle superiori, e infine dei bambini e delle bambine delle elementari. James Bevel della SCLC parlò a lungo ai ragazzi della nonviolenza e organizzò una marcia dalla chiesa battista al municipio. Il 2 maggio 1963 la studentessa Gwendolyn Sanders aiutò a organizzare la marcia degli studenti, inclusi centinaia di bambini che uscirono dalla scuola, a dispetto dei tentativi del preside che cercò di bloccare i cancelli.
Marciarono, dunque, per incontrare il sindaco. Marciarono tenendosi in contatto con i walkie-talkie, cantando We Shall Overcome, entrando nelle chiese e nei centri commerciali. Vennero arrestati in seicento: ridevano.
E King? Era già in carcere da aprile. Proprio dal carcere di Birmingham scrisse una lettera famosissima, dove dice fra l’altro:
“Potreste chiedere: “L’azione diretta nonviolenta cerca di creare una crisi così acuta, di suscitare una tensione così insopportabile, da costringere una comunità, che si è sempre rifiutata di trattare, ad affrontare la situazione. L’azione diretta nonviolenta cerca di accentuare gli aspetti drammatici del problema in modo tale che non si possa più ignorarlo.
Potrà suonare piuttosto scandaloso che io consideri la creazione di uno stato di tensione un aspetto dell’attività di chi aderisce alla resistenza nonviolenta: ma devo confessare che la parola “tensione” non mi fa paura. Mi oppongo sempre con fermezza alla tensione violenta, ma esiste un genere di tensione costruttiva e nonviolenta che è necessaria per crescere. Come Socrate stimava necessario creare una tensione nella mente, così che gli individui si liberassero dalla servitù dei miti e delle mezze verità, elevandosi fino al regno dell’analisi creativa e della disamina oggettiva, allo stesso modo dobbiamo comprendere la necessità che questi pungoli della nonviolenza riescano a creare nella società la tensione capace di aiutare gli uomini a sollevarsi dagli abissi tenebrosi del pregiudizio e del razzismo fino alle maestose altezze della comprensione e della fratellanza.
Il nostro programma di azione diretta si propone di creare una situazione così satura di crisi da aprire inevitabilmente la strada al negoziato. Perciò nel vostro appello alla trattativa io concordo con voi. La nostra amata terra del Sud è rimasta troppo a lungo sprofondata in una palude, nel tragico tentativo di vivere nel monologo invece che nel dialogo”.
Un anno dopo venne approvata la legge sui diritti civili che abolì la discriminazione razziale sui luoghi di lavoro e nei servizi pubblici.