BIBLIOGRAFIA DISARMATA: IL DECALOGO DEL BUON DANESE

Il decalogo del buon danese (1940-1945). Dicono, scrivono che il pacifismo è da salotto. Dicono, scrivono, sempre più spesso direi, che i pacifisti sono tutti filo-Putin, non si comprende bene perché. Dicono, scrivono, che i pacifisti non servono a nulla. Va bene. Parliamo di guerra e di invasione.
Nel 1940 la Germania invade la Danimarca, che all’inizio della seconda guerra mondiale si era dichiarata neutrale. La resa, in quel 9 aprile 1940, fu quasi immediata.
Quello che si ricorda meno è come reagirono i danesi, che attuarono una forma di resistenza diffusa e non violenta. Fu uno studente di 17 anni, Arne Sejr, a diffondere il volantino che ne riassume le iniziative. Si chiamava Il decalogo del buon danese:

1.Non andare a lavorare in Germania o in Norvegia;
2.Lavorare male per i tedeschi;
3.Rallentare il lavoro per i tedeschi;
4.Distruggere macchine e strumenti importanti;
5.Distruggere ciò che può essere di beneficio per i tedeschi;
6.Ritardare tutti i trasporti;
7.Boicottare film e giornali tedeschi e italiani;
8.Non acquistare nei negozi tedeschi;
9.Minacciare i traditori in ciò che sta loro a cuore;
10. Proteggere coloro a cui i tedeschi danno la caccia.

Non si trattò soltanto di scioperi e boicottaggi e blocchi ferroviari: il risultato più importante fu il  salvataggio di 7.220 ebrei danesi dalla deportazione nei campi di sterminio, sui 7.695 residenti.

La resistenza non violenta colpì Hannah Arendt che scrisse: ”si dovrebbero tenere lezioni obbligatorie in tutte le università per dare un’idea della potenza enorme della nonviolenza e della resistenza passiva, anche se l’avversario è violento e dispone di mezzi infinitamente superiori. Fu l’unica volta che i nazisti incontrarono una resistenza aperta, e il risultato fu a quanto pare che quelli di loro che che si trovarono coinvolti cambiarono mentalità. Non vedevano più lo sterminio di un intero popolo come una cosa ovvia”.

Lo storico Jacques Semelin ( Senz’armi di fronte a Hitler. La resistenza civile in Europa, 1939-43, Sonda, Torino, 1993) dirà ancora:

”La nostra memoria è selettiva. Si perde nel tempo restituendoci del passato solo ciò che rafforza i nostri schemi mentali e le nostre convinzioni . Il problema della difesa si fonda in gran parte sull’esperienza che ci proviene dal passato . Se la nostra memoria collettiva non conserva che i fatti violenti, è evidente che le soluzioni che troveremo per l’oggi al problema della guerra non potranno che essere soluzioni militari. Al contrario,se recuperiamo dal passato le tracce di un’altra storia, di un’altra difesa, di una resistenza non militare che ha mostrato qua e là la sua efficacia nel corso dei secoli, allora il moderno discorso sulla difesa non potrà che essere radicalmente trasformato”.

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